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[Fantascienza con personaggi lgbt]
Recensione di Giovanni Dall'Orto
Un riuscito innesto tra il romanzo tradizionale e il romanzo di fantascienza
Questo romanzo è un (bellissimo) ircocervo, mezzo pesce e mezzo donna, mezzo romanzo di fantascienza (genere che l'autore ha palesemente frequentato, dato che lo cita ripetutamente) e mezzo romanzo tradizionale.
Com'è tipico della cultura italiana, nemmeno qui i due generi riescono ad amalgamarsi armoniosamente trovando un linguaggio comune, anche per colpa dell'orrore con cui i lettori del genere tradizionale guardano alla mésaillance con qualsiasi e plebea "letteratura di genere" (bastino per capirlo le recensioni su Anobii, che quando nominano la fantascienza lo fanno con espressioni decisamente più adatte ai romanzi porno di serie Z!).
Quale
che sia la causa del fenomeno, resta il fatto che quando l'autore sposta
la manopola sull'indicazione "fantascienza", ovvero nel finale, lo stacco
si avverte nettamente.
Non
che la cosa sia sgradevole in sé, però sembra quasi di passare
da un romanzo a un altro, come diversi recensori prima di me hanno già
notato (e in qualche caso anche deprecato).
Ciò
non dipende da un'incapacità di scrittura dell'autore, ma proprio
dalla difficoltà di giostrare contemporaneamente su questi due
registri troppo distanti, difficoltà pari a quella di chi pretendesse
di stare a cavallo di due tapis-roulants che viaggiano a velocità
molto diversa.
In
parole più povere, in Italia ci sono stati finora troppi pochi tentativi
di "contaminazione" fra i due generi perché un tentativo quale questo
di Avoledo non portasse con sé un retrogusto d'impacciata "sperimentazione".
Dalla letteratura mainstream l'autore ha preso il ritmo leeeeento, la cesellatura dei personaggi e dei loro patemi d'animo, lo squadernamento delle nevrosi affettivo-sessuali non necessariamente gradevoli, l'assenza del lieto fine (quasi obbligatorio in SF), e non ultimo, visto che in Italia non siamo abituati a romanzi di fantascienza che parlino di noi, l'ambientazione italiana. (E infatti, nell'ultimo quarto del libro, quando esplode infine l'elemento fantascientifico, l'azione si sposta bruscamente e senza motivo a Londra. In una letteratura ripiegata sul passato qual è quella mainstream, immaginare l'Italia del futuro risulta ancora improponibile!).
Dalla letteratura di SF l'autore ha preso innanzitutto l'idea centrale del viaggio nel tempo, e poi (ma nella sola sezione d'impronta più fantascientifica) la maggior attenzione concessa a idee e scenari rispetto allo scavo interiore nei personaggi.
A
cavallo fra i due generi si colloca invece l'insolito disinteresse
con cui avviene il disvelamento immediato dell'idea su cui si regge il
romanzo: lo sconosciuto che si presenta alla porta in quel modo è
topico della fantascienza, dove o è un alieno camuffato, o (per
l'appunto) un viaggiatore temporale, o un compagno dell'io narrante a cui
è stata cancellata la memoria. Però di solito la sua identità
sarà svelata solo alla fine.
Qui
invece, dopo aver dato via gratis subito l'idea centrale, l'autore si prende
tutto il tempo del mondo, come nei romanzi mainstream, per cesellare
le premesse e le conseguenze della visita di quel particolare essere umano.
Con risultati sorprendenti.
Anche
la domanda che fa da pilastro a tutto il romanzo (lo strillo in copertina
chiede esplicitamente: "Quanto lontano sei disposto a spingerti per
salvare un amore?") non è tipica della fantascienza, dato che
si focalizza più sui sentimenti e sulle motivazioni che sulle azioni.
Questa
domanda è: se vi fosse possibile un unico viaggio nel tempo, lo
usereste per salvare dall'autodistruzione la donna che avete amato, anche
se farlo comporterebbe la certezza che non vi sareste mai incontrati e
amati? Anche se sapeste che, al ritorno dal vostro viaggio, vi trovereste
accanto una moglie che non avevate partendo, e una serie di ricordi che
prima non esisteva?
Avoledo
ha qui aggiunto, attingendo dagli attrezzi del romanzo tradizionale, una
ricchezza di sfumature, emozioni, sentimenti, che normalmente nei racconti
di viaggi nel tempo è assente.
A
tratti questo implica che il ritmo sia eccessivamente lento, fermandosi
a un millimetro dal confine con la noia, ma in questo modo l'autore concede
al/la suo/a lettore il tempo per fermarsi a riflettere su una marea di
dettagli umani e psicologici che nei "normali" racconti di fantascienza
non si ha mai il tempo per considerare.
A me
è piaciuto immensamente questo anziano scrittore e poeta, provato
dalla vita, che torna indietro per veder nascere e crescere la donna che
un tempo, ormai perduto nel ricordo e nel... futuro, aveva amato e perduto.
C'è
un'atmosfera d'intimità, affetti, sentimenti semplici, che quasi
mai trova spazio nei romanzi che dello Spazio e del Tempo han fatto la
loro ragion d'essere.
Alla
fine della vicenda l'anziano scrittore raccoglierà in un romanzo
autobiografico il ricordo del suo grande amore mai esistito, romanzo che
chiuderà a chiave e destinerà ad essere pubblicato solo dopo
la propria morte.
Ma
ha dimenticato, proprio lui!, i viaggi nel tempo, e quando la donna che
ha salvato lo leggerà, e riconoscerà alcuni dettagli "segreti"
di sé, lo verrà a trovare per un ultimo, malinconico ma bellissimo
incontro sul quel che era stato, e su quel che avrebbe solo potuto essere.
Maledettamente
malinconico, perfino un pizzico deprimente, ma immensamente bello.
Il
solo punto debole che ho trovato (ed è un difetto non proprio
secondario per un romanzo che cresce come un cristallo intorno al nucleo
d'un amore capace di andare oltre la Morte) è la trattazione
della sessualità.
Quella
dell'anziano protagonista con una donna che potrebbe essere sua figlia
l'ho trovata un po' morbosa, e non certo per la differenza d'età
(non sono una suora), ma per una nota falsa che vi ho percepito,
come se gli elementi della fantasia erotica interferissero con l'esperienza
umana che l'autore ha trasformato in letteratura.
Aggiungo
poi che come omosessuale io ho trovato particolarmente fuori luogo
la descrizione, macchiettistica e "vecchia", dell'unico omosessuale presente
nella vicenda. Quest'uomo sembra uscito pari pari dal 1955 (ma che razza
di gay conosce, Avoledo? Il nonno di Oscar Wilde?).
"Ovviamente",
essendo gay, lavora nel campo dello spettacolo, ovviamente è un
miscuglio di petulanza, isteria e narcisismo, ovviamente è ricco
(come si suol dire, "Un gay povero non è gay, è solo frocio",
oh yeah), ovviamente è stato sposato, ovviamente è larvatamente
misogino, ma ovviamente (qui nessuno è razzista!) gli si concede
anche un gran buon cuore.
La
cosa buffa qui è che l'autore s'è sforzato di farne un personaggio
positivo, tant'è che fra le cose che il protagonista farà
per salvare la donna amata ci sarà un intervento per impedire la
morte per malattia di quest'uomo, destinato a diventare nei momenti difficili
confidente e sostegno morale della madre della donna amata.
Mi
sa però che al di là delle buone intenzioni alla fine Avoledo
sia solo riuscito a dirci che "il gay è il migliore amico dell'Uomo"...
A parte queste défaillances (che ho visto che alcune lettrici anobiane hanno già rilevato per conto loro, sbottando contro lo stereotipo dei salvatori senza macchia e senza paura di fanciulle biondissime, magrissime, giovanissime, bellissime e... velocissime nel darla via) l'atmosfera semi-magica di questo romanzo m'ha pervaso a poco a poco, al punto che per qualche giorno non ho visto l'ora che arrivasse la sera per poterne leggere un altro pezzo.
Io
lo raccomando sia ai lettori abituali di fantascienza (fra i quali mi colloco),
sia a tutti gli altri: se si sa in anticipo che ci si troverà di
fronte a un testo insolito, il senso di straniamento che questo libro provoca
sia agli uni che agli altri non risulterà sgradevole, ma anzi sarà
un motivo in più per apprezzarlo.
Dopo
tutto, chi vuole leggere romanzi scontati (a parte che al momento dell'acquisto,
ovvio)?
P.S. Se occorressero paralleli fantascientifici, nonostante Philip K. Dick sia l'autore più citato da Avoledo (al punto che ne fa il profeta involontario d'una religione del futuro), è semmai a Theodore Sturgeon che Avoledo somiglia per la sensibilità.