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Recensione di Giovanni Dall'Orto
Finalmente un bel romanzo italiano di fantascienza con personaggio gay!
Io non amo la fantascienza italiana.
A parte
Valerio Evangelisti e
pochissimi altri nomi (li conto su una mano... e non è detto che
si tratti d'una mano umana piuttosto che aliena, a tre dita), gli
autori italiani, usciti impregnati di neoidealismo dalla scuoletta del
fascistissimo ministro Gentile, "sentono" la fantascienza come un genere
letterario "inferiore" alla Vera Poesia, cui aspirano ognor. Quindi sotto
sotto si vergognano di scriverla, e non sono capaci di abbandonarsi al
banalissimo piacere di raccontare.
Che
è roba per spiriti inferiori, tipo gli americani, così volgari
da scrivere libri solo perché milioni di persone li leggano, e mica,
come noi italiani, per raggiungere la Vera Poesia Universale, anche a costo
di farsi leggere solo da se stessi/e.
E così, nel bel mezzo dello scontro fra le armate dei due mondi che decideranno il destino della galassia, mentre i raggi positronici degli infami Ragni Verdi di Deneb sfrecciano sgretolando un pianeta dopo l'altro, ecco il protagonista che interrompe la vicenda (e la suspence!) per sei pagine di tormento interiore costellato da domande sul senso della vita, nelle quali cita Kant, Hegel e Heidegger... per dire banalità da liceale ("la vita è sogno", "tutto scorre", "tutto è vano", "siamo solo polvere, sia pure galattica"...) di cui nessuno sentiva il bisogno.
E che dire dei romanzi che iniziano più o meno con: "Quel ramo della Galassia centrale che volge a Ponente, fra due catene non interrotte di quasars"? E poi dici che se uno vede un cognome italiano è come se avesse letto l'avviso "ATTENZIONE, NON COMPRARE: nuoce gravemente all'intelligenza"? E certo, che è "come se"...
Insomma, quando mi è arrivato questo Rupes recta, con cortesissima richiesta di recensione, confesso che ho messo il libro sul tavolo e l'ho aperto da distanza di sicurezza con un bastone, per verificare che non mi mordesse qualche Messaggio Poetico Universale sul Senso Ultimo della Vita nascosto fra le pagine.
Cinque
minuti dopo ero seduto col volume fra le mani, divorandone le pagine una
dietro l'altra, senza riuscire a staccarmi fino a che non l'ho finito.
Wow!
Che
perfida questa Clelia Farris: fingere di essere italiana per farsi
notare, quando poi scrive come un qualsiasi scrittore di fantascienza normale!
Ecco qui una vicenda ambientata sulla Luna fra mille anni, in una società matriarcale, con un protagonista omosessuale (yes sir, l'omosessualità adesso pare esistere pure in Italia... magari passando prima per la Luna!) che fa il mestiere di "ricordante" (è capace di assimilare ricordi con una precisione superiore a quella dei computer).
In questo contesto si scatena una serie d'omicidi piuttosto lugubri, nel cui mistero e nella cui soluzione si trova coinvolto anche il protagonista stesso, per un momento anche nel ruolo d'imputato.
La vicenda mescola insomma giallo e fantascienza, e riesce a rispettare perfettamente le regole d'entrambi i generi, senza mai scivolare nel grottesco e nel "vorrei-ma-non-posso". Peccato che per questo motivo io non possa rivelare la trama, che si basa molto sulla sorpresa - riuscendoci.
L'autrice riesce a gestire la complicata società che ha creato, popolata di bizzarre creature frutto della manipolazione genetica più sfrenata e a-morale, con tutta la disinvoltura necessaria, senza mai scadere nel grottesco e nel ridicolo. Riesce per esempio a suscitare il voluto raccapriccio senza scadere nello splatter perfino nella scena, memorabile, in cui il protagonista scopre nella cucina d'un ristorante una bambina lessata, che è in realtà un esperimento genetico fallito, un pesce alieno in cui erano stati innestati geni umani: "È ottima con la maionese". Ma lui esige - e ottiene - l'arresto del gestore del ristorante e i funerali per il povero lesso.
Nello stesso modo Farris riesce a gestire l'omosessualità del protagonista con nonchalance ammirevole: mi spiace rovinarvi la sorpresa, ma la scena d'apertura del romanzo presenta l'eroe mentre con una pomata cerca di lenire i dolori di una parte del corpo, che non sta davanti e non sta in alto, di cui la notte prima ha abusato un po' troppo in un sex-club gay, subendo i rimproveri del convivente, un octopode semiumano un poco petulante:
"In questo momento il mio problema è tutto de recto. E brucia. Gran Dea, se brucia!Come inizio, per essere alla seconda pagina, non c'è male...
- Insomma... Se vuoi fare il vizioso dovresti farlo con regolarità. E se vuoi essere casto dovresti seguire la via dell'astinenza. Gli eccessi, caro Mikhail, sono perniciosi...-.
(...)
- L'ho fatto apposta - sibilo tra i denti cercando di apparire minaccioso. - Va bene? Sono andato alla Galleria d'Arte Notturna e mi sono fatto rompere il culo nella Selva Nera senza alcun lubrificante, va bene? E mi è piaciuto. Mi ha fatto male, ma mi è piaciuto -".
In realtà anche qui l'autrice, dopo averci un po' spaventati ("se questo è l'inizio, chissà il seguito: stiamo forse per leggere Dhalgren-2, la vendetta?") tiene per tutto il resto del romanzo l'omosessualità un po' sullo sfondo, pur non permettendoci mai di dimenticare che c'è: un po' per l'atteggiamento non proprio gay-friendly di molti lunariti, e un po' per il rimpianto del protagonista per il suo defunto compagno (assieme al quale aveva cresciuto la figlia) che è sempre presente, sullo sfondo, sotto forma di un dolore sordo e di un vuoto nella sua vita.
Eppure il tema dell'omosessualità tornerà all'improvviso sulla scena alla fine, con una fiammata, come chiave di volta che spiega la vicenda. Ma fin est mon commencement...
Il romanzo è perfettamente riuscito, non ha punti deboli, il mondo immaginato è coerente (per quanto crudele per molti aspetti, primo fra tutti il raccapricciante uso di androidi: schiavi costruiti in laboratorio con le biotecnologie e considerati macchine, e non esseri umani... un po' come gli extracomunitari nella società presente), la scrittura è essenziale, veloce, elegante ma senza impaludamenti ampollosi.
L'elemento di thriller è trattato in modo adeguato, fornendo a poco a poco gli indizi che alla fine s'incastrano per dare la spiegazione dell'avvenuto. (Sì, lo so che tutto questo è solo il minimo che si chiede a un buon romanzo, di qualunque tipo... ma non è colpa mia se fino ad oggi gli scrittori italiani hanno fatto orecchio da mercante a tale richiesta minima...).
La
sola critica che mi sento di muovere è che mille anni di
distanza appaiono troppi per una società in cui la gente ama troppo
discutere di musicisti e scrittori del XX secolo, e va spesso a vedere
film del XX secolo... Non so quanto spesso la gente vada oggi a sentire
un concerto di Perotinus
Magnus (che non dista da noi nemmeno mille anni, oltre tutto),
o legga i testi dell'anno Mille. Poco o nulla, temo.
Forse
qui l'autrice ha un po' sottovalutato ciò che il Tempo, perfido
gentiluomo, può fare alla memoria della razza umana...
Dubito che fra mille anni, se esisterà ancora la razza umana, qualcuno si ricorderà non dico di noi, ma dei film e delle musiche che abbiamo amato. I lunariti della Farris hanno quindi gusti un po' troppo "contemporanei"...
Ma tanto sapevamo già che la fantascienza ci parla sempre del nostro presente, e mai del nostro futuro.
[Nota:
sciaguratamente i libri della Delos books non sono in vendita nelle librerie,
ma solo per corrispondenza attraverso il
sito, o scrivendo all'associazione Delos Books, piazza Bonomelli 6/4,
20129 Milano. Il volume costa ben 14 euro, ma li vale per il contenuto,
nonostante la veste grafica spartana - ma curata.
Dal
2010 ne esiste anche un'edizione ebook.].