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Nicola Griffith, Ammonite, Perseo Libri, Bologna 2007 [1992].
 
Copertina di ''Ammonite'' di Nicola Griffith.
[Fantascienza con personaggi lgbt]

Recensione di Giovanni Dall'Orto


Un pianeta di sole donne molto "New Age".

Quando sono arrivato al brano in cui la protagonista di questo libro giunge nel bel mezzo d'un cerchio di menhirs vibranti di strane energie elettromagnetiche, ho pensato divertito che in quel punto il romanzo somigliava a un libro per signorine di buona famiglia inglese, inzeppate di fuffa New Age, che vanno a celebrare grotteschi riti "druidici" a Stonehenge.
Un po' di pagine dopo, però, il divertimento m'è passato, quando mi sono reso conto del fatto che questo libro non somiglia: lo è.

Ora, è un po' imbarazzante per me recensire quest'opera. L'autrice l'ha scritta avendo in mente un mercato e un tipo di lettore (o meglio: di lettrice) molto preciso. E se si tiene in mente il suo target, ha fatto un lavoro superbo, infilando in Ammonite tutto ciò che quel segmento di mercato librario chiede e vuole. Mica per altro, il libro ha vinto un sacco di premi letterari (Tiptree award, Lambda Literary Award, Arthur C. Clarke...).
Il problema è solo che di quel pubblico che le ha tributato quei premi, nonché recensioni a cinque stelle praticamente ovunque sul web, io non faccio parte... ahimè.


Ammonite s'inscrive nel tipico sotto-genere fantascientifico del "Mondo senza maschi". C'è il solito pianeta alieno su cui è naufragata la solita astronave coloniale quattro secoli prima della narrazione. C'è la solita avida Compagnia mineraria che ha riscoperto il pianeta e brama mettere gli artigli sporchi di sangue sulle sue ricchezze minerarie. E c'è il solito virus alieno che ha sterminato il 100% della popolazione maschile dell'astronave originaria, e il 20% di quella femminile, costringendo le superstiti a creare una società di sole donne, delineata da Griffith con tratti presi alla rinfusa da quella degli indiani d'America, dei nomadi della Mongolia, e del New England coloniale del XVI secolo.
Rimescolare, frullare, condire con vibrazioni New Age, insaporire con un tocco di Wiccan, non dimenticare il pepe del lesbismo generalizzato, e servire in tavola. Ed ecco a voi... Ammonite!


Il disagio che ho provato nella lettura è nato anche dal fatto che l'autrice ha scritto un'opera che inizia coi tratti del romanzo di fantascienza ma poi, se si eccettuano alcuni appunti di microbiologia nei quali entra perfino nei dettagli, di scienza si disinteressa nel modo più sfacciato.
Per dirne una, come fanno le donne a riprodursi? Semplice: entrano in comunione mentale mentre fanno l'amore, e con la forza della mente fecondano l'ovulo della partner.
Ora, di generi letterari in cui le donne vengono fecondate dal potere della mente ne conosco solo due: uno sono i Vangeli (ed escludo che Ammonite ne faccia parte), e l'altra sono i romanzi di fantasy.
E in effetti, alla lunga è questo che è in realtà Ammonite: fantasy, coperto da un sottile strato di fantascienza (le astronavi, le slitte volanti, le armi a raggi... e poco più). Ma quando si comincia a immaginare che nei cromosomi vengano codificate le memorie delle generazioni precendenti, qui di "scienza" non c'è proprio più nulla: siamo nella religione New Age, e basta.
Perfino in campo medico le praticone e curanderas indigene, intervenendo grazie ad arcani poteri sulle Forze e le Vibrazioni e le Aure delle malate, se la cavano molto meglio della scienza medica e di quanto essa avrà scoperto fra mezzo millennio... Mi si consenta almeno d'essere un attimino scettico su tutto questo fastidioso pastrocchio hippy...


La protagonista della vicenda è un'antropologa che deve far da cavia a un nuovo vaccino contro il terribile virus, e al tempo stesso esplorare il pianeta. Sul quale sono bloccate le superstiti del primo corpo di spedizione inviato cinque anni prima (anche qui i maschi sono stati sterminati in quattro e quattr'otto), e che la Compagnia non ha alcuna urgenza di riportare a casa, visto il rischio di scatenare il virus su tutti gli altri pianeti. Specie nel caso in cui il vaccino si rivelasse inadeguato.

Partita da sola, la protagonista viene (è scontato) catturata, tenuta prigioniera da cavallerizze selvagge simil-mongoliche e indottrinata/istruita, poi evade, rischia di morire congelata, ma trova una comunità agricola simil-New England che la salva, poi fa una "cerca interiore" simil-indiana e... se pensate che a questo punto cada in trance alla ricerca del suo Nome Interiore e del suo vero io... allora avete già capito dove va a parare la Griffith.

Aggiungo che si scoprirà verso la fine che tutto il pianeta è pervaso di vibrazioni armoniche (che il virus permette di percepire), il che fa pensare alle good vibrations dei più ritriti stereotipi sui fricchettoni New Age. E il punto è che non è che il romanzo "faccia pensare" a quelle teorie: le condivide!
O Santa Dea!


Trovatasi una partner, e passata sull'altra sponda (sessualmente parlando) senza battere ciglio, la protagonista rimane incinta, entra a far parte del mondo delle indigene come bardo/sciamana/tuttofare, riuscendo a porsi come intermediaria culturale nel momento d'una grave crisi politico-sociale che rischia di far letteralmente saltare in aria il pianeta. Il resto scopritelo voi.


Per parafrasare le regina Vittoria, "We are not impressed". Una volta capito in quale filone si colloca il volume, tutto il resto è conseguenza scontata. Invano ho aspettato il colpo di scena, che non è arrivato mai. Anzi, il libro pullula di spunti accennati e non sviluppati (per esempio: chi sono i misteriosi goth, alieni intelligenti, costruttori del cerchio di pietre magiche? Non si saprà. Chi è la traditrice che si nasconde alla base? Non si saprà. E così via.)

E tutto ciò non avviene certo per il fatto che la Griffith non sappia scrivere. Per cavarsela a scrivere se la cava, nonostante certe spataffiate liriche sui bronzei tramonti del pianeta a me facciano venire il latte alle ginocchia (mentre invece molte recensioni online ne sono rimaste incantate).

Il punto è che, come ho già detto, ha scritto un'opera di nicchia. E per amarla al 100% occorre farne parte.
In caso contrario, la si può trovare "carina", come ho fatto io, ma priva di situazioni che non siano già state narrate, e in modo decisamente più convincente, dalla Bradley o dalla Le Guin.

Sono certo del fatto che le mie amiche lesbiche a cui piace Xena, lo adoreranno. Ma io non sono lesbica, dato che non mi attraggono le donne. E non ho neppure mai visto una sola puntata di Xena in vita mia. Quindi...


E visto che siamo arrivati infine a parlare di lesbismo, dirò che uno degli aspetti che mi hanno infastidito nel romanzo è la superficialità con cui è trattata la questione lesbica.

Intendiamoci: la Griffith ha voluto, con questo romanzo, dare una risposta anti-ideologica alla fantascienza lesbofemminista degli anni Settanta, quella di Les guérillères di Monique Wittig, o del Female man di Joanna Russ.
Aver letto almeno una di queste opere aiuta a capire il senso di Ammonite, che è una risposta diretta (e garbatamente polemica) alle distopie guerriere delle opere di questo filone. (Per chi però non fosse addentro al sottogenere (ovvero, il 99% di quanti leggeranno queste righe), segnalo che l'introduzione alla traduzione italiana, scritta da Riccardo Gramantieri, si rivela insolitamente informata e illuminante sulla questione. A comprendere il senso di Ammonite contribuisce altresì la nitida postfazione della Griffith, che consiglierei di leggere prima del romanzo, nella quale l'intento polemico della scrittrice è reso esplicito in poche, ma chiarissime parole).

Ciò concesso, il problema è che la Griffith ha sostituito l'ideologismo nichilista delle sue colleghe degli anni Settanta, con un'altra ideologia, che se quando il libro è stato scritto poteva sembrava ultra-"moderna", nel 2011 è già bell'e che invecchiata.
L'indifferenza con cui le donne passano dall'eterosessualità al lesbismo, "data" la narrazione, denunciandola come prodotto dell'immaginario lesbo-femminista degli anni Ottanta del secolo scorso (Ammonite è del 1992), che vedeva in ogni donna la presenza d'un potenziale amoroso innato verso le altre donne (partner molto più "naturali" degli uomini, narcisistici e innamorati della violenza), che aspettava solo d'esser risvegliato attraverso la pratica della "sorellanza". Proprio come avviene in questo romanzo.
E come invece non avvenne nella realtà: andò a finire che l'orientamento sessuale di ognuna prevalse sulle ideologie, e il 95% delle "compagne, amiche e amanti" scoprì che il corpo continuava a desiderare quei bastardissimi maschi che la mente disprezzava e l'intelletto aborriva.


D'altro canto, sul piatto positivo della bilancia, non si può mancare di notare come il lesbismo sia qui ormai un dato di fatto scontato: non ha bisogno d'essere rimarcato di continuo, magari calcando la mano (ci sono appena due brevissime scene di sesso in tutto, di cui una necessaria per spiegare il meccanismo del concepimento partenogenetico).
In altre parole, la tematica lesbica qui non è più, come invece accadeva in precedenza, un elemento estraneo e magari esotico aggiunto alla narrazione: è la narrazione.
La Griffith non ci permette mai di dimenticare che siamo in un pianeta di sole donne. Se si esclude il padre della protagonista (lontano, su un altro pianeta) e i defunti (amen), non esiste un solo personaggio maschile in tutto il romanzo. Quanto non viene detto apertamente è quindi implicito: su un pianeta così, chi vuole amore ha un solo modo per trovarlo.
Persino la comandante della base della Compagnia ha la sua compagna e i suoi affetti. E così le donne-soldato che la circondano.

Quanto all'eterosessualità, non esiste, neppure come fantasia d'una minoranza sessuale. Le donne della Compagnia non sognano ex amanti e mariti. Non sentono la mancanza dei maschi. Non ripensano ai loro amori eterosessuali. Semplicemente, i maschi sono l'ultimo dei loro pensieri.
I maschi sono irrilevanti per tutte, terrestri e indigene, allo stesso modo.
Questo ci mostra che non ci troviamo in un romanzo di fantascienza antropologica, bensì in una fiaba, in una fantasia, in una fantasticheria ad occhi aperti, al limite in un'utopia lesbica, nata a partire dal materiale creato per l'immaginario collettivo della comunità lesbica anglosassone.

Un immaginario che sembra piacere a molte persone (specie donne) che lesbiche non sono, nello stesso modo in cui l'immaginario al 101% gay di Lady Gaga piace a un pubblico composto in prevalenza di eterosessuali.
Ma dopo tutto, com'è noto, "è bello ciò che piace".


Per concludere. A me pare che questo libro si spieghi come un gioco letterario abbastanza raffinato e inizialmente destinato, nelle intenzioni dell'autrice, a una cerchia molto ristretta ma anche molto omogenea di potenziali lettrici (diciamo, qualche centinaio). Una volta pubblicato, è però inaspettatamente piaciuto (ad appassionati di fantasy, donne, New ager, ed anche critici letterari) molto al di fuori da tale cerchia, catapultando alla notorietà l'autrice.
E buon per lei.


(In margine, una nota (polemica) sul prezzo. Il fatto che il volume costi ben 25 spropositati euro, e che sia difficile procurarselo, renderà inevitabile che l'opera rimanga semiclandestina e arrivi a disposizione del grande pubblico solo se riuscirà ad essere ristampata in qualche collana economica, tipo "Urania". Trattandosi d'un romanzo che molti salutano come un "classico", potrà anche accadere. Ma non prima di parecchi anni.

Quindi il mio consiglio a chi, leggendo questa recensione, fosse invogliata/o a cercare il romanzo, è fare una colletta e comprarselo in comproprietà con amiche/amici.
Dopodiché, per decidere chi se lo terrà si può sempre tirare a sorte. Oppure metterlo in palio in un torneo di braccio di ferro, o all'arma bianca con gli spadoni: dopo tutto, questo è ciò che farebbe Xena, no?).


 
 
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