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Recensione di Giovanni Dall'Orto
Un pianeta di sole donne molto "New Age".
Quando
sono arrivato al brano in cui la protagonista di questo libro giunge nel
bel mezzo d'un cerchio di menhirs vibranti di strane energie elettromagnetiche,
ho pensato divertito che in quel punto il romanzo somigliava a un libro
per signorine di buona famiglia inglese, inzeppate di fuffa New
Age, che vanno a celebrare grotteschi riti "druidici" a Stonehenge.
Un
po' di pagine dopo, però, il divertimento m'è passato, quando
mi sono reso conto del fatto che questo libro non somiglia: lo è.
Ora,
è un po' imbarazzante per me recensire quest'opera. L'autrice l'ha
scritta avendo in mente un mercato e un tipo di lettore (o meglio: di lettrice)
molto preciso. E se si tiene in mente il suo target, ha fatto un
lavoro superbo, infilando in Ammonite tutto ciò che quel
segmento di mercato librario chiede e vuole. Mica per altro, il libro ha
vinto un sacco di premi letterari (Tiptree award, Lambda Literary Award,
Arthur C. Clarke...).
Il
problema è solo che di quel pubblico che le ha tributato quei premi,
nonché recensioni a cinque stelle praticamente ovunque sul web,
io non faccio parte... ahimè.
Ammonite
s'inscrive nel tipico sotto-genere fantascientifico del "Mondo
senza maschi". C'è il solito pianeta alieno su cui è
naufragata la solita astronave coloniale quattro secoli prima della narrazione.
C'è la solita avida Compagnia mineraria che ha riscoperto il pianeta
e brama mettere gli artigli sporchi di sangue sulle sue ricchezze minerarie.
E c'è il solito virus alieno che ha sterminato il 100% della popolazione
maschile dell'astronave originaria, e il 20% di quella femminile, costringendo
le superstiti a creare una società di sole donne, delineata da Griffith
con tratti presi alla rinfusa da quella degli indiani d'America, dei nomadi
della Mongolia, e del New England coloniale del XVI secolo.
Rimescolare,
frullare, condire con vibrazioni New Age, insaporire con un tocco
di Wiccan, non dimenticare
il pepe del lesbismo generalizzato, e servire in tavola. Ed ecco a voi...
Ammonite!
Il
disagio che ho provato nella lettura è nato anche dal fatto che
l'autrice ha scritto un'opera che inizia coi tratti del romanzo di fantascienza
ma poi, se si eccettuano alcuni appunti di microbiologia nei quali entra
perfino nei dettagli, di scienza si disinteressa nel modo più
sfacciato.
Per
dirne una, come fanno le donne a riprodursi? Semplice: entrano in comunione
mentale mentre fanno l'amore, e con la forza della mente fecondano l'ovulo
della partner.
Ora,
di generi letterari in cui le donne vengono fecondate dal potere della
mente ne conosco solo due: uno sono i Vangeli (ed escludo che Ammonite
ne faccia parte), e l'altra sono i romanzi di fantasy.
E
in effetti, alla lunga è questo che è in realtà Ammonite:
fantasy, coperto da un sottile strato di fantascienza (le astronavi,
le slitte volanti, le armi a raggi... e poco più). Ma quando si
comincia a immaginare che nei cromosomi vengano codificate le memorie delle
generazioni precendenti, qui di "scienza" non c'è proprio
più nulla: siamo nella religione New Age, e basta.
Perfino
in campo medico le praticone e curanderas indigene, intervenendo
grazie ad arcani poteri sulle Forze e le Vibrazioni e le Aure delle malate,
se la cavano molto meglio della scienza medica e di quanto essa avrà
scoperto fra mezzo millennio... Mi si consenta almeno d'essere un
attimino scettico su tutto questo fastidioso pastrocchio hippy...
La protagonista della vicenda è un'antropologa che deve far da cavia a un nuovo vaccino contro il terribile virus, e al tempo stesso esplorare il pianeta. Sul quale sono bloccate le superstiti del primo corpo di spedizione inviato cinque anni prima (anche qui i maschi sono stati sterminati in quattro e quattr'otto), e che la Compagnia non ha alcuna urgenza di riportare a casa, visto il rischio di scatenare il virus su tutti gli altri pianeti. Specie nel caso in cui il vaccino si rivelasse inadeguato.
Partita da sola, la protagonista viene (è scontato) catturata, tenuta prigioniera da cavallerizze selvagge simil-mongoliche e indottrinata/istruita, poi evade, rischia di morire congelata, ma trova una comunità agricola simil-New England che la salva, poi fa una "cerca interiore" simil-indiana e... se pensate che a questo punto cada in trance alla ricerca del suo Nome Interiore e del suo vero io... allora avete già capito dove va a parare la Griffith.
Aggiungo
che si scoprirà verso la fine che tutto il pianeta è pervaso
di vibrazioni armoniche (che il virus permette di percepire), il che fa
pensare alle good vibrations dei più ritriti stereotipi sui
fricchettoni New Age. E il punto è che non è che il romanzo
"faccia pensare" a quelle teorie: le condivide!
O
Santa Dea!
Trovatasi una partner, e passata sull'altra sponda (sessualmente parlando) senza battere ciglio, la protagonista rimane incinta, entra a far parte del mondo delle indigene come bardo/sciamana/tuttofare, riuscendo a porsi come intermediaria culturale nel momento d'una grave crisi politico-sociale che rischia di far letteralmente saltare in aria il pianeta. Il resto scopritelo voi.
Per parafrasare le regina Vittoria, "We are not impressed". Una volta capito in quale filone si colloca il volume, tutto il resto è conseguenza scontata. Invano ho aspettato il colpo di scena, che non è arrivato mai. Anzi, il libro pullula di spunti accennati e non sviluppati (per esempio: chi sono i misteriosi goth, alieni intelligenti, costruttori del cerchio di pietre magiche? Non si saprà. Chi è la traditrice che si nasconde alla base? Non si saprà. E così via.)
E tutto ciò non avviene certo per il fatto che la Griffith non sappia scrivere. Per cavarsela a scrivere se la cava, nonostante certe spataffiate liriche sui bronzei tramonti del pianeta a me facciano venire il latte alle ginocchia (mentre invece molte recensioni online ne sono rimaste incantate).
Il
punto è che, come ho già detto, ha scritto un'opera di nicchia.
E per amarla al 100% occorre farne parte.
In
caso contrario, la si può trovare "carina", come ho fatto io, ma
priva di situazioni che non siano già state narrate, e in modo decisamente
più convincente, dalla Bradley
o dalla Le
Guin.
Sono certo del fatto che le mie amiche lesbiche a cui piace Xena, lo adoreranno. Ma io non sono lesbica, dato che non mi attraggono le donne. E non ho neppure mai visto una sola puntata di Xena in vita mia. Quindi...
E visto che siamo arrivati infine a parlare di lesbismo, dirò che uno degli aspetti che mi hanno infastidito nel romanzo è la superficialità con cui è trattata la questione lesbica.
Intendiamoci:
la Griffith ha voluto, con questo romanzo, dare una risposta anti-ideologica
alla fantascienza lesbofemminista degli anni Settanta, quella di Les
guérillères di Monique
Wittig, o del Female
man di Joanna Russ.
Aver
letto almeno una di queste opere aiuta a capire il senso di Ammonite,
che è una risposta diretta (e garbatamente polemica) alle distopie
guerriere delle opere di questo filone. (Per
chi però non fosse addentro al sottogenere (ovvero, il 99% di quanti
leggeranno queste righe), segnalo che l'introduzione alla traduzione italiana,
scritta da Riccardo Gramantieri, si rivela insolitamente informata e illuminante
sulla questione. A comprendere il senso di Ammonite contribuisce
altresì la nitida postfazione della Griffith, che consiglierei di
leggere prima del romanzo, nella quale l'intento polemico della scrittrice
è reso esplicito in poche, ma chiarissime parole).
Ciò
concesso, il problema è che la Griffith ha sostituito l'ideologismo
nichilista delle sue colleghe degli anni Settanta, con un'altra ideologia,
che se quando il libro è stato scritto poteva sembrava ultra-"moderna",
nel 2011 è già bell'e che invecchiata.
L'indifferenza
con cui le donne passano dall'eterosessualità al lesbismo, "data"
la narrazione, denunciandola come prodotto dell'immaginario lesbo-femminista
degli anni Ottanta del secolo scorso (Ammonite è del 1992),
che vedeva in ogni donna la presenza d'un potenziale amoroso innato verso
le altre donne (partner molto più "naturali" degli uomini, narcisistici
e innamorati della violenza), che aspettava solo d'esser risvegliato attraverso
la pratica della "sorellanza". Proprio come avviene in questo romanzo.
E
come invece non avvenne nella realtà: andò a finire
che l'orientamento sessuale di ognuna prevalse sulle ideologie, e il 95%
delle "compagne, amiche e amanti" scoprì che il corpo continuava
a desiderare quei bastardissimi maschi che la mente disprezzava e l'intelletto
aborriva.
D'altro
canto, sul piatto positivo della bilancia, non si può mancare di
notare come il lesbismo sia qui ormai un dato di fatto scontato: non ha
bisogno d'essere rimarcato di continuo, magari calcando la mano (ci sono
appena due brevissime scene di sesso in tutto, di cui una necessaria per
spiegare il meccanismo del concepimento partenogenetico).
In
altre parole, la tematica lesbica qui non è più, come invece
accadeva in precedenza, un elemento estraneo e magari esotico aggiunto
alla narrazione: è la narrazione.
La
Griffith non ci permette mai di dimenticare che siamo in un pianeta di
sole donne. Se si esclude il padre della protagonista (lontano, su un altro
pianeta) e i defunti (amen), non esiste un solo personaggio maschile
in tutto il romanzo. Quanto non viene detto apertamente è quindi
implicito: su un pianeta così, chi vuole amore ha un solo modo per
trovarlo.
Persino
la comandante della base della Compagnia ha la sua compagna e i suoi affetti.
E così le donne-soldato che la circondano.
Quanto
all'eterosessualità, non esiste, neppure come fantasia d'una
minoranza sessuale. Le donne della Compagnia non sognano ex amanti
e mariti. Non sentono la mancanza dei maschi. Non ripensano ai loro amori
eterosessuali. Semplicemente, i maschi sono l'ultimo dei loro pensieri.
I
maschi sono irrilevanti per tutte, terrestri e indigene, allo stesso modo.
Questo
ci mostra che non ci troviamo in un romanzo di fantascienza antropologica,
bensì in una fiaba, in una fantasia, in una fantasticheria ad occhi
aperti, al limite in un'utopia lesbica, nata a partire dal materiale creato
per l'immaginario collettivo della comunità lesbica anglosassone.
Un
immaginario che sembra piacere a molte persone (specie donne) che lesbiche
non sono, nello stesso modo in cui l'immaginario al 101% gay di
Lady Gaga piace a un pubblico composto in prevalenza di eterosessuali.
Ma
dopo tutto, com'è noto, "è bello ciò che piace".
Per
concludere. A me pare che questo libro si spieghi come un gioco letterario
abbastanza raffinato e inizialmente destinato, nelle intenzioni dell'autrice,
a una cerchia molto ristretta ma anche molto omogenea di potenziali lettrici
(diciamo, qualche centinaio). Una volta pubblicato, è però
inaspettatamente piaciuto (ad appassionati di fantasy, donne, New
ager, ed anche critici letterari) molto al di fuori da tale cerchia,
catapultando alla notorietà l'autrice.
E
buon per lei.
(In margine, una nota (polemica) sul prezzo. Il fatto che il volume costi ben 25 spropositati euro, e che sia difficile procurarselo, renderà inevitabile che l'opera rimanga semiclandestina e arrivi a disposizione del grande pubblico solo se riuscirà ad essere ristampata in qualche collana economica, tipo "Urania". Trattandosi d'un romanzo che molti salutano come un "classico", potrà anche accadere. Ma non prima di parecchi anni.
Quindi
il mio consiglio a chi, leggendo questa recensione, fosse invogliata/o
a cercare il romanzo, è fare una colletta e comprarselo in comproprietà
con amiche/amici.
Dopodiché,
per decidere chi se lo terrà si può sempre tirare a sorte.
Oppure
metterlo in palio in un torneo di braccio di ferro, o all'arma bianca con
gli spadoni: dopo tutto, questo è ciò che farebbe Xena,
no?).