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[Fantascienza con personaggi lgbt]
Recensione di Giovanni Dall'Orto
Un buon romanzo, anche se non eccessivamente inventivo.
Questo
romanzo di fantascienza offre una buona esperienza di lettura, pur non
brillando in originalità.
Gli
elementi costituivi infatti sono già tutti abbastanza noti agli
appassionati del genere: un pianeta su cui è naufragata un'astronave
terrestre, i discendenti dei naufraghi che hanno perso memoria delle loro
radici e in gran parte anche della tecnologia avanzata, tornando a una
società preindustriale, due grandi stati totalitari costantemente
in guerra fra loro...
L'elemento
in più, rispetto al solito, consiste qui nella presenza d'una razza
aliena in guerra (non molto brillantemente) con la razza umana.
Gli
alieni scoprono il pianeta e decidono di usarlo come terreno d'un esperimento
per cercare di comprendere l'assurda logica della razza umana. Una razza
che per la sua aggressività e violenza avrebbe dovuto essersi autodistrutta
da molto tempo, com'era già avvenuto ad altre simili razze prima
di lei.
La
vicenda ruota attorno a una protagonista, Ayrys, cacciata da una
delle due città-stato, Delys, per il suo atteggiamento "eretico"
nei confronti delle tradizioni e dei tabù del sapere ufficiale.
Quando
gli alieni costruiscono una grande città in mezzo alla natura selvaggia,
R'Frow, scegliendo un certo numero di esseri umani da rinchiudere per la
durata dell'anno dell'esperimento, Ayrys sarà fra i prescelti.
A tutti
i partecipanti, in cambio della partecipazione, viene offerto il sapere,
che include l'uso e la conoscenza di nuove armi.
La
quasi totalità degli umani, di entrambe le città, è
interessata esclusivamente alle armi: solo un gruppetto molto esiguo risulta
affascinato dalle cognizioni scientifiche che gli alieni dispensano a chiunque
sia interessato ad ascoltarli. Ayrys è fra loro.
La
vicenda è complicata dagli elementi sentimentali. Se Delys
è una banalissima società di casta, patriarcale, governata
da un'aristocrazia di guerrieri (eterosessuali), la sua rivale, Jela, s'è
evoluta su basi blandamente matriarcali, con una casta di donne-guerriere
ben separate dal resto della popolazione. (Le due società somigliano
molto, e intenzionalmente, ad Atene e Sparta nel periodo classico).
Per
evitare che le gravidanze intralcino la loro bellicosità, alle donne
guerriere di Jela è fatto assoluto divieto d'avere qualsiasi rapporto
eterosessuale: la loro sessualità è pertanto interamente
lesbica. Tale è anche la relazione fra due dei personaggi principali,
Jehane e Talot, che ha un ruolo importante nello svolgimento della
trama.
L'aspetto
curioso di quest'idea (che non è nuova: le guerriere lesbiche
sono ormai quasi un luogo comune della fantascienza e della fantasy
degli ultimi trent'anni) è che agli uomini non viene chiesto un
simile sacrificio, ed a loro è consentita la frequentazione di prostitute
(in genere prigioniere nemiche o loro figlie).
Alle
caste basse di Jela sono poi consentite le relazioni eterosessuali, mentre
le donne-guerriere si fanno ingravidare solo quando l'età le ha
rese meno efficienti come combattenti, e solo per propagare la casta, dato
che i loro rapporti affettivi rimangono centrati sulle partner dello stesso
sesso.
Confesso che come gay trovo altamente bizzarra questa costruzione: le tendenze sessuali umane non sono affatto tanto plastiche da poter essere piegate a capriccio in questo modo... e forse un po' l'autrice lo capisce, visto che attribuisce a Talot la "colpa" di avere avuto una relazione con - urgh! - un maschio.
La parte più originale della narrazione è, purtroppo, anche la meno condivisibile, ossia la riflessione sul ruolo della violenza per la razza umana, che sfocia nella conclusione secondo cui la violenza costituisce per la razza umana certamente un pericolo, ma anche uno stimolo impareggiabile e insostituibile per il progresso e l'evoluzione...
Questo
è il concetto che gli alieni faticano a capire, dato che per la
loro razza la violenza è un'azione pianificata razionalmente, per
esempio quando sia necessario contendere lo spazio vitale a un'altra razza
(come è successo nel caso dello scontro con la razza umana).
La
violenza senza scopo degli umani, capace di scavalcare alleanze
ed appartenenze di gruppo, è prima di tutto in-concepibile, per
loro.
Gli
alieni sono infatti una razza empatica e quasi simbiotica. Per loro la
violenza contro i simili è addirittura biologicamente impossibile,
provocando uno stato fisico di shock.
Con
questi tratti, a momenti gli alieni appaiono razionali, nobili e saggi,
altre volte invece subdoli, manipolatori, spietati... e soprattutto incapaci
di considerare gli umani come altro che pericolosi animali della cui presenza
è necessario disinfestare l'universo.
Il
bilancio finale tenderà a far prevalere il secondo aspetto della
loro natura. Ma a tutto danno degli alieni stessi.
La
conclusione è purtroppo affrettata e a tratti ben poco credibile.
In
un sorta di Ragnarok
in cui la violenza esplode in tutta R'Frow (mescolando i conflitti tra
le due città a quelli dei cittadini comuni, che si ribellano violentemente
ai loro tiranni) gli alieni decidono di partire in tutta fretta, avendo
infine capito quale sia il vantaggio competitivo degli esseri umani.
Vorrebbero
portare con sé, come involontari consulenti militari, alcuni umani
che sono stati "plagiati" dal sapere che essi hanno concesso, ma Ayrys
frustrerà il loro tentativo comprendendo genialmente
che (a) esistono altri mondi (b) sono abitati da umani (c) essi sono in
guerra con gli alieni i quali (d) stanno ingannando i loro studenti. E
tutto questo per pura intuizione. Direi che qui mi casca proprio l'asino...
A parte questo limite, direi che l'autrice sa fare il suo mestiere, e utilizza sì ingredienti non particolarmente nuovi in modo non particolarmente creativo, tuttavia mai al di sotto di un livello di scrittura dignitoso, professionale, efficace.
Magari
fra un anno ripensando a questo volume lo si confonderà nella memoria
con un'opera di Joanna
Russ o di Elizabeth
Lynn, ma nel corso della lettura il libro il suo compito lo svolge:
intrattiene, diverte, cattura il lettore.
E
tanto basta, credo..