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Kurt Vonnegut, Mattatoio n. 5, Feltrinelli, Milano 2003 [1966 e 1968].
 
Copertina di ''Mattatoio n. 5'', di Kurt Vonnegut.

[Fantascienza con personaggi lgbt]

Recensione di Giovanni Dall'Orto


Parlare contro la guerra usando umorismo e... fantascienza.

Questo originale romanzo racconta in termini semifantastici e molto ironici l’esperienza dell’autore, prigioniero di guerra dei tedeschi a Dresda la notte in cui la città fu deliberatamente distrutta dai bombardieri Alleati con una "tempesta di fuoco".
Oggi sappiamo che la mossa, militarmente assurda perché trascurò gli obiettivi militari accanendosi sui civili, fu soprattutto un “avvertimento” dato ai sovietici in vista della "guerra fredda" prossima ventura, affinché rallentassero la loro troppo rapida marcia di conquista della Germania nazista, dimostrando cosa avrebbero potuto fare i bombardieri Alleati a una città russa se i sovietici non avessero moderato il loro appetito.

Vonnegut fu tra i primi, nel lontano 1966, a descrivere quello che a tutti gli effetti fu un attacco terroristico (in senso letterale: il suo scopo principale era terrorizzare – ovviamente ottenendo l’effetto opposto, come in tutti gli attacchi terroristici: la propaganda nazista seppe fare meraviglie usando questo caso quale simbolo della cieca barbarie dei nemici, tanto che ancor oggi gli storici revisionisti alla David Irving hanno gioco facile nell'esagerare volutamente il numero dei morti e la portata delle distruzioni, allo stesso scopo).
Ponendosi al di fuori della retorica dei “liberatori” che avevano “salvato” il popolo tedesco dal nazismo, nel romanzo fornisce alcuni spunti svagati sui motivi per i quali, vedendo l’effetto delle loro azioni, i “liberati” resistessero fino all’ultimo minuto all’idea di farsi “liberare”.


Ovviamente nel 1966, in piena guerra fredda, metterla direttamente in questo modo era impensabile. Quindi Vonnegut riveste questo suo romanzo contro la follia della guerra (e gli Usa erano all’epoca impantanati da quella del Vietnam, dopo aver finito da pochi anni quella di Corea…) di una veste ironica ed umoristica. Le vicende dell’io narrante nella Germania del 1944 si alternano così a quelle d’un individuo che viene... rapito dagli alieni e trasferito in uno zoo del pianeta Tralfamadore, assieme ad una porno-star…
L’insieme è esilarante, al punto che quella che è la relazione su una grande tragedia storica si legge senza eccessiva angoscia.

E c’è da dire che in effetti, rispetto all’atrocità del bombardamento di Dresda, nel quale decine di migliaia di persone furono bruciate vive, la descrizione data da Vonnegut è veramente all’acqua di rose: recenti monografie storiche su quell’episodio sono infinitamente più sconvolgenti.
L’autore ha scelto infatti di non calcare troppo la mano, sapendo che i suoi compatrioti avrebbero già faticato a credere che la loro nazione potesse essere responsabile di un solo decimo di quel che Vonnegut aveva visto coi suoi occhi. E quindi per raccontare la follia delle guerre si limita a descrivere poco meno di quel decimo, anche se da alcuni cenni rapidissimi (come quello al caso delle persone bollite vive nelle fontane in cui avevano invano cercato di salvarsi dall’arroventamento dell’aria) appare chiaro che sa molto più di quel che scrive e descrive.

Resta il fatto che nonostante per decenni questo sia stato considerato un caposaldo della narrativa antimilitarista, oggi risulta ben poco graffiante.
Il problema non è che siano venuti meno i motivi della protesta di Vonnegut, bensì che i paladini delle guerre “umanitarie” hanno nel frattempo reagito, concordano sul fatto che le guerre sono sempre mostruose follie, e garantiscano che per questo motivo “noi” combattiamo solo “missioni di pace”, che sono tutt’altra cosa, usando magari “bombe intelligenti” che non fanno danni...
Dopodiché qualsiasi giornalista che si azzardasse a raccontare la verità non troverebbe più una sola testata su cui pubblicarla in un panorama informativo totalmente embedded, e in un panorama politico in cui non esiste più un solo partito che si dica contrario agli interventi bellici.
Ma così va il mondo”, direbbe Vonnegut.


Quanto al tema lgbt, nella sua ironia dissacrante Vonnegut si permette di ricordare a p. 94 che fra i nemici che il nazismo sterminava c’erano anche gli omosessuali – ed era cosa che all’epoca non diceva praticamente nessuno.

A p. 109 ironizza sul fatto che gli alieni tralfamadoriani avevano scoperto che sulla Terra c’erano non meno di sette sessi, “cinque dei quali attivi solo nella quarta dimensione”. Fra questi sessi invisibili, ma necessario alla propagazione della razza umana, gli uomini e le donne omosessuali. Come dire che nel sesso possono esserci ragioni non necessariamente visibili ad occhio nudo o “a tre dimensioni”: e bravo Vonnegut.

A p. 130 un compagno di prigionia (implicitamente descritto come omosessuale per i suoi manierismi) dell’io narrante, invitato ad andare a dare via il culo, risponde: “Non credere che non ci abbia provato”.

Infine a p. 186, nell’esilarante descrizione d’un negozio di riviste pornografiche, l’autore nota come alcuni clienti “Si scambiavano occhiate fra loro, invece di guardare la mercanzia”.

L’omosessualità non ha altri ruoli nella vicenda, e vista l’abilità di scrittura di Vonnegut, ciò è un peccato.


 
 
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