Tra Scilla e Cariddi.
Il disagio dell'adolescente glbt
fra società eterosessuale e mondo omosessuale
[da: Cirus Rinaldi e Claudio Cappotto (a cura di), Fuori dalla città invisibile. Omosessualità, identità e mutamento sociale, Ila Palma, Palermo 2003, pp. 141-148].
di: Giovanni Dall'Orto
La copertina degli atti del convegno in cui è
apparso in origine questo contributo.
Un problema "risolto"
L'omosessualità non è più un problema. Certo, forse un po' lo è stato in passato... ma ormai è acqua passata e la società s'è evoluta: per quanto possa verificarsi qua e là qualche sporadico atto d'intolleranza, ormai la persona omosessuale è accettata dagli italiani...
Questa descrizione della realtà è ormai la risposta standard del mondo eterosessuale italiano quando si affronta la questione omosessuale.
Con questa risposta ideologica la società eterosessuale stabilisce i criteri di giudizio, decide quali siano i dati da prendere in considerazione, si auto-nomina giudice e infine - sorpresa! - scopre di potersi assolvere in modo brillante da qualunque disagio denunciato dal mondo omosessuale.
Pur ammettendo che qualche "sporadico" atto d'intolleranza possa ancora verificarsi (le pecore nere, si sa, capitano anche nelle migliori famiglie!) l'idea che la condizione omosessuale possa essere, di per sé, una condizione di disagio, è accolta con fastidio, shock, se non vera e propria ostilità.
Ieri e oggi
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Sono passati ormai molti anni da quando io sono stato un adolescente che cercava una strada per accettare la sua omosessualità. Non è stato facile: nel 1975-76 non esistevano riviste gay nelle edicole, il movimento gay era composto da gruppuscoli senza influenza, il bando della Tv all'omosessualità era totale e i giornali non prendevano in considerazione le notizie gay, la manifestazione del Gay Pride non c'era, non esistevano editori che pubblicassero libri gay, i politici rifiutavano di parlare con le persone omosessuali, in Parlamento non sedeva nessuna lesbica o gay dichiarato. E l'Agedo, o una legge sulle Unioni civili, erano semplicemente impensabili.
A parte il fatto che non esisteva ancora la crisi dell'Aids, era una situazione peggiore sotto tutti i punti di vista, che solo trent'anni di lotta del movimento glbt (cioè "gay, lesbico, bisessuale, transessuale") hanno permesso di modificare.
Eppure, all'epoca il modello di comportamento che mi veniva proposto era chiaro. Potevo dire solo sì o no, ma almeno sapevo a cosa dicevo sì e a cosa rinunciavo se lo facevo.
Oggi questo non è più vero. L'adolescente che vuole venire a patti con la sua omosessualità si trova come chi tenesse i piedi su due nastri di trasporto appaiati che procedono a velocità diversa: se non riesce di tanto in tanto a rimettere in pari i piedi con un salto, rischia di cadere.
E se saltare è un gesto relativamente semplice, nella vita non tutti gli esseri umani ne hanno la capacità: alcuni esseri umani sono - come dice la political correctness? - "diversamente abili".
Chi non riesce a saltare, in senso psicologico ovviamente, cade: nel disagio, nella depressione, nella nevrosi, nel disadattamento.
Il problema con la società eterosessuale
Uno dei due lati del problema è dato dalla realtà eterosessuale, che per quanto si assolva, continua a non accettare l'omosessualità.
All'accettazione di facciata corrisponde un'ostilità diffusa. Benché la società eterosessuale sia sì maturata (e non per dono divino, ma per trent'anni di educazione da parte del movimento gay) per molti la "maturazione" consiste unicamente nel non dire più in pubblico ciò che in privato si continua a pensare. E basta.
Oggi ogni condanna dell'omosessualità, per esempio quelle cattoliche, si apre con un alato preambolo su quanto rispetto si debba agli esseri umani che sono omosessuali. La parte cattiva ora arriva "solo" dopo un: "Ciò nonostante"... però arriva.
Come sempre avviene quando ci sono conversioni di massa troppo rapide, molti scelgono di chiamare col nome nuovo le credenze vecchie, per continuare a pensarla come prima. È così in fondo che tanti dèi pagani si sono trasformati in santi cattolici... E l'accettazione dell'omosessualità assomiglia molto a questo fenomeno. Dopo tutto, oggi i ragazzini non si insultano più dandosi del "frocio" o del "puppo", bensì del "gay".
Non c'è che dire: non si può fermare il progresso!
Addirittura, nel gergo giovanile degli Usa, "gay" è ormai usato come sinonimo di "schifoso", "brutto": quel film che ho visto ieri "is so gay", cioè, "fa schifo".
E ancor oggi, in Italia, affermare pubblicamente che una persona è omosessuale costituisce una delle più gravi forme di diffamazione.
Decisamente, non basta cambiare le parole per cambiare le mentalità.
Gli operatori sociali e della salute mentale che affrontano il disagio di adolescenti omosessuali non possono e non devono ignorare questo dato. Il disagio è spesso qui il logico riflesso d'una realtà sociale che non accetta ancora le persone omosessuali. Non si può darne la colpa all'adolescente stessa/o.
Il problema con il mondo gay
Se la società eterosessuale non facilita le cose, esiste comunque un problema anche dall'altra parte della barricata: nelle proposte di vita che l'adolescente omosessuale si vede offrire dal mondo omosessuale.
Quando gli esseri umani si trovano di fronte a un grave problema, tendono sempre a risolverlo utilizzando il minimo sforzo possibile, optando non per la soluzione migliore da un punto di vista razionale, bensì per la soluzione che offra il massimo risultato con il minimo sforzo.
Applicando questo principio alla realtà omosessuale noi abbiamo, accanto a una piccola minoranza ("di movimento") che ha riflettuto sulla migliore soluzione possibile e che lotta per ottenerla (anche se costa molti più sforzi), la gran massa della realtà glbt, che cerca di cambiare il meno possibile nella propria vita ottenendo quanto più possibile.
Per gli uomini gay (mi si permetta di parlare qui dei soli gay, perché non ho alcun accesso diretto alla realtà delle adolescenti lesbiche) questo implica vivere l'omosessualità al grado zero, cioè al grado minimo al di sotto del quale non è neppure concepibile una vita gay in quanto tale: il sesso. Ottenere, costruire qualcosa di più del puro e semplice sesso, comporta infatti uno sforzo via via maggiore, perché crea sempre nuove domande e pone sempre più problemi da risolvere.
Ad esempio, per vivere una relazione di coppia occorre avere definito chi si è, occorre avere accettato l'idea d'essere omosessuale e di volere una relazione che si può definire solo come omosessuale. Occorre essere pronti a lottare per il rispetto di questa relazione da parte della società, degli amici, dei parenti. In altre parole, richiede coraggio e chiarezza d'idee su se stessi, cioè molta fatica.
Viceversa il sesso può, se propri ci si tiene, essere ridotto a un puro atto meccanico, da compiere con sconosciuti ai quali non è neppure necessario rivolgere la parola. In questo modo si può addirittura avere una cospicua vita sessuale gay autodefinendosi "eterosessuali", o conducendo la "doppia vita" dell'uomo sposato che tradisce la moglie con gli uomini, e che per questo di sente "superiore" ai "froci"...
Come si vede, è un modello di vita che per la sua povertà umana ed affettiva è ben poco attraente, ma che d'altro canto non richiede alcun investimento (intellettuale, umano, sociale) da parte di chi lo sceglie.
Questo spiega il fiorire, negli ultimi anni, di locali d'incontro gay che offrono occasioni d'incontro sessuale.
Per chi esce dall'infanzia e vuole e deve scoprire la sessualità, spesso questi locali (e, sempre più, le chatlines su Internet) si presentano come il Paese dei balocchi. Date libertà di spesa a un bambino al Luna Park ed avrete il corrispondente del comportamento di molti ragazzi quando entrano in contatto con questo "mondo gay". Oltre tutto, in un'età in cui la bellezza (secondo i canoni estetici correnti, che esaltano il giovane tra i 18 e i 25 anni) è massima, e in cui si è quindi massimamente ricercati. Se mi si perdona la metafora un po' audace, si è al tempo stesso come un bambino in un negozio di caramelle, ed una caramella in un nego... in un gruppo di bambini.
O prima o poi, però, arriva la scoperta del fatto che il sesso è solo una componente della vita, non è la vita stessa.
Questa scoperta fa parte del processo di maturazione umana.
Peccato però che il "mondo gay", per come è strutturato oggi, non sia in grado di accompagnare il giovane nel passo successivo della sua maturazione. Ciò che possono offrire i locali è l'occasione consumistica per fare sesso, e basta.
Per ottenere altro (l'accesso all'affettività, a una vita di relazione socialmente riconosciuta) aiuta molto l'appoggio di "altri" (la famiglia, gli amici, lo Stato... per alcuni la Chiesa) che però non solo non aiutano, ma spesso ostacolano attivamente.
E purtroppo a volte, come ho già detto, anche alcuni operatori sociali e della salute mentale (di solito su sollecitazione della famiglia) contribuiscono a questo quadro negativo.
Gruppo di studenti al Gay Pride di Grosseto, 2004. [Foto G. Dall'Orto].
Tre soluzioni al disagio
A questo punto sono possibili tre strade:
Al Gay Pride di Grosseto, 2004. [Foto G. Dall'Orto].
Il ruolo dell'operatore
In questo contesto il dovere professionale dell'operatore è - apparentemente - chiaro: aiutare il giovane a comprendere che la realtà omosessuale è ricca e variegata, che offre numerose possibilità di vita, che il mondo dei locali comprende un 20% al massimo della realtà gay ma che, essendo la parte più visibile, è anche quella più conosciuta...
E dall'altra parte rassicurare sul fatto che non esiste nulla di "sbagliato" in ciò che è, e che il suo conflitto con la società eterosessuale deriva solo dal fatto di fare parte di una minoranza, che come tutte le minoranze non sono benviste dalla maggioranza. Deve solo imparare a difendersi dal razzismo e a reagire in modo composto, ma fermo.
Ma l'operatore è in grado di dare questo tipo di aiuto?
Cosa sa della realtà omosessuale italiana?
Quali alternative può offrire?
Che libri può consigliare di leggere?
Soprattutto, cosa succede se l'operatore non ha presente il fatto che l'adolescente prova disagio solo perché l'omosessualità non è accettata nella nostra società?
Che succede se condivide l'idea che ho discusso sopra, secondo cui l'omosessualità "non è più un problema", e cerca quindi di curare l'omosessualità e non la causa sociale del disagio?
Spesso è a questo punto, purtroppo, che il vecchio modo di pensare si fa vivo, anche se sotto un nome diverso. Io so di casi di operatori che hanno offerto al/la giovane quello che loro consideravano un "aiuto" per superare il disagio... uscendo dall'omosessualità, "diventando eterosessuale" o, più semplicemente, optando per una "scelta" bisessuale, considerata più "semplice" da vivere (nonostante le persone bisessuali giurino che è esattamente l'opposto!).
Si tratta d'una promessa che è impossibile da mantenere, che al massimo può arrivare ad insegnare a reprimere se stessi e i bisogni più profondi... e questo io non lo chiamo certo un "aiuto". Conosco infatti omosessuali che dopo essere stati "aiutati" in questo modo dagli operatori hanno avuto bisogno d'essere aiutati ad uscire dai danni causati dall'"aiuto".
Davvero non si può fare nulla per capire che la società ha il dovere morale di offrire all'adolescente omosessuale proposte di vita omosessuale serena, che reggano il confronto con quelle fatte, da sempre, all'adolescente eterosessuale?
Conclusione
L'operatore sociale e della salute mentale che si confronta con l'adolescente omosessuale è in una posizione delicata. Troppo spesso, infatti, ha in carico la persona sbagliata: per risolvere tale disagio l'aiuto dovrebbe andare ai suoi genitori, al suo parroco, ai suoi compagni di scuola o di lavoro, ai suoi professori... Specie quando la loro insofferenza verso l'omosessualità oltrepassa il confine della vera e propria fobia.
D'altro canto, sarebbe troppo bello risolvere il problema dicendo all'adolescente: "Hai ragione tu ed hanno torto tutti gli altri: entra a far parte del mondo gay e non pensare più a loro". Il mondo non funziona così!
La realtà gay attuale è infatti, come abbiamo visto, contraddittoria e povera di proposte di vita di semplice attuazione che vadano al di là del sesso.
Esistono altre proposte, ma sono faticose, e non sono alla portata di tutti.
Infine, il ruolo che ha la famiglia in un Paese, come l'Italia, in cui l'età media d'uscita di casa è spropositata (35 anni), fa sì che spesso, per risolvere i problemi d'accettazione, sarebbe d'aiuto un coinvolgimento della famiglia del/la giovane... che però talvolta non intende affatto mettersi in questione.
Ecco perché le associazioni di genitori di persone omosessuali e le realtà politiche del mondo gay hanno avuto sempre più importanza, negli anni scorsi, nel definire nuove proposte d'intervento.
Proposte che forse non sono necessariamente valide per tutti e nello stesso modo, ma che possono aiutare l'adolescente omosessuale, e l'operatore che lo segue, a trovare risposte a domande che finora non ne avevano.
Una maggiore integrazione fra questi segmenti della società, un maggiore sforzo comune, non potrà insomma che dare risultati positivi.
Carrozzina al Gay Pride di Grosseto,
giugno 2004. [Foto G. DallOrto].
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