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La violenza è il problema e non la soluzione
(...ma è anche un sintomo di problemi che è diventato impossibile discutere)

[3 luglio 2008]

di: Giovanni Dall'Orto.


Sullo scontro fisico che, leggo dai giornali, avrebbe coinvolto Graziella Bertozzo ed Elena Biagini di "Facciamo Breccia" al recente Pride nazionale di Bologna non sono in grado di dare un giudizio di merito, dato che non ero presente in quell'istante, e dato che le versioni fornite dai perpetratori e dalle vittime dell'aggressione sono del tutto inconciliabili. C'è una denuncia, vedremo come finirà.

Nell'attesa, però, gli elementi sono sufficienti per dare un giudizio di metodo sull'accaduto, almeno per chi come me ha fatto da molti anni una scelta nonviolenta.


Diciamo, per iniziare, che questo incidente va preso come un sintomo patologico di un problema che sta covando come il magma sotto il tappo di un vulcano, e che non ha trovato fin qui vie democratiche per esprimersi. Il problema di sapere chi decide sui "Pride".

Per amor di pace negli ultimi anni abbiamo taciuto tutti sullo scontro sotterraneo che daccapo, come accade ogni tot anni, si sta profilando fra il Mario Mieli (che per una qualche ragione ritiene di avere una specie di diritto divino mistico al monopolio sui gay pride italiani e sui rapporti coi parlamentari) e Arcigay (che per una qualche ragione ritiene di avere una specie di diritto divino mistico al monopolio sulla politica gay italiana).

Quest'anno il Mieli ha convocato il suo Pride romano prima di quello nazionale, per fregare attenzione mediatica e partecipanti a quello nazionale, ed in parte devo dire che c'è riuscito. Da qui a prevedere un'escalation di rappresaglie e contro-rappresaglie il passo è breve.
È chiaro però che su questa strada andiamo daccapo allo scontro frontale fra gruppi, e ai Pride separati, come abbiamo già sperimentato in passato con risultati semplicemente disastrosi per entrambi i litiganti.

Né il Mieli, né Di'Gay project, né Arcigay né tanto meno "Facciamo Breccia" (che su questo Pride ha sputato fino al giorno prima, salvo poi "esigere" diritto di tribuna, dopo aver rifiutato di aderire alla piattaforma politica: misteri della psiche umana!)  vogliono la costituzione di un comitato per il Pride nazionale con reali poteri decisionali, dato che ognuno di loro "vuole tutto".

Ma o iniziamo subito a parlarne o andiamo allo scontro. Che mi permetto di suggerire che non interessi a nessuno, anche perché ogni gruppo ha i suoi altarini da proteggere, e se viene meno la "pace armata" da "cane non mangia cane" osservata negli ultimi anni, ognuno dei contendenti è molto ma molto vulnerabile...

Non è una minaccia: è una considerazione e un avviso. Se il movimento lgbt ha ottenuto tanto poco in questi anni è stato anche (non "solo", ho detto "anche") perché i gruppi più forti (Mario Mieli, Arcigay Cassero, Arcigay nazionale, Di'Gay project, Arcigay CIG Milano) sono tutti ormai delle semplici holding commerciali che hanno troppo da perdere da uno scontro con le istituzioni. Dunque mantengono sempre, "a prescindere", un basso profilo.

Il tempo in cui i gay "non avevano nulla da perdere se non le proprie catene" per questi gruppi è finito da un pezzo, ma purtroppo sono proprio loro, grazie alla loro ricchezza economica, a dare il "la" al dibattito.

Alcune immagini riprese al Gay Pride nazionale di Bologna. 
Altri filmati (6 in tutto) li ho messi online qui: http://it.youtube.com/user/gdallorto .
 

Per quanto appena detto, il fatto che esistano gruppi "guastafeste" come "Facciamo Breccia" è un utile contraltare alla melassa moderata che ha fatto del movimento gay il servo sciocco e masochista di Veltroni, personaggio politico la cui incapacità di svolgere il proprio mestiere è destinata a diventare paradigmatica. Sono quindi contento che ci siano. Purché...

Purché si collochino all'interno del dibattito democratico.

Del quale fa parte, e da sempre, la rinuncia al ricorso alla violenza fisica.

Perché non si possono sostituire le ragioni della forza alla forza della ragione.


Io faccio parte di una generazione che ha visto sgretolarsi le conquiste di anni di lotte di milioni di persone della generazione precedente grazie all'azione violenta di qualche decina di brigatisti, rossi o neri. Vedendolo accadere sotto i miei occhi, ho capito che la violenza è sempre di destra, anche quando si proclama di sinistra.

La violenza è la specialità del Potere, al punto che in filosofia della politica si parla e teorizza senza infingimenti del "monopolio dell'uso della violenza" quale diritto sovrano di uno Stato.

Se si arriva allo scontro fisico, il Potere vincerà sempre. Perché per il banale fatto di essere il Potere ha più soldi, più armi, più specialisti della violenza, di quanto ne possano avere masse anche enormi di persone.
Per questo negli anni Settanta lo Stato fece di tutto per trasferire lo scontro politico dal dibattito nelle fabbriche, nelle scuole, nelle piazze e nelle urne (nel quale le forze reazionarie risultarono ogni volta perdenti) allo scontro armato (nel quale ottenne infine la vittoria schiacciante che cercava, le cui conseguenze stiamo pagando ancor oggi).

Se madame Bertozzo (sugli schiaffi della Biagini a Riccardo Gottardi riterrei più perspicua la categoria del folclore che quella dell'analisi politica, a partire dal fatto che ad alzare maschilisticamente le mani siano - come da barzelletta - sempre le lesbiche e mai i gay) intende portare il confronto sul piano della violenza fisica, le va opposto un rifiuto immediato e netto, come si fece con successo negli anni Settanta coi fascisti ("Coi fascisti non si discute, mai"). Chi si pone al livello dei fascisti, va trattato come loro.

Alcune interviste che ho fatto ai partecipanti al Pride di Bologna. Che dimostrano che i partecipanti sono decisamente migliori dei loro litigiosi e infantili e soprattutto autoproclamati "rappresentanti".
 

"Facciamo Breccia" pone una domanda reale: chi gestisce i Pride e con che criteri? Ma lo fa con il metodo sbagliato che, se utilizzato, porterebbe alla catastrofe tutti noi, come già ha portato alla catastrofe la sinistra italiana negli "anni di piombo".

Allora intendo porla quindi io qui ed ora, la domanda, ma senza rompere il menisco a nessuno e senza schiaffeggiare chi "se lo merita" -- anche perché non so se coloro che prima non aderiscono ad una manifestazione e poi pretendono il "diritto" di parlare dal palco non rientrino fra coloro che se lo meritano alla grande (specie poi se è vero che l'attacco sarebbe avvenuto - se sbalio mi corigerete - mentre stava parlando Porpora Marcasciano, che di "Facciamo breccia" è una degli esponenti di spicco, al punto da autorizzare voci secondo cui la Bertozzo stava solo facendo la primadonna perché avevano fatto parlare la Porpora e non lei, e bla bla bla, e pissi pissi bau bau).

La domanda è: fino a quando la gestione dei Pride continuerà ad essere il frutto di manovre dietro le quinte, mirate a muovere finanziamenti pubblici ed inciuci coi politici?
Con che criterio, per esempio, in un Pride che celebrava i 20 anni del Cassero, si è escluso dal palco Franco Grillini, che di quell'esperienza fu uno dei due o tre motori principali, con la scusa del "nessun parlamentare parlerà dal palco", salvo poi far salire sul palco... Vladimir Luxuria?

Il fatto che nei giorni del Pride il Cassero abbia incontrato Cofferati, candidato ri-sindaco alle prossime elezioni comunali di Bologna, il fatto che Cofferati abbia in quell'incontro - mi dicono - garantito una serie di aiuti economici al Cassero, ed il fatto che Grillini intenda presentarsi alle prossime comunali come candidato anti-Cofferati, sono tutte circostanze che davvero non hanno nulla a che fare con la decisione di escludere dal palco Grillini? La risposta io non la so, ma chi mi legge ha l'inteligenza per darsela da sé.

Sia chiaro che, anche se le cose stessero davvero come sospetto che stiano, un movimento politico ha comunque il diritto di fare le sue scelte, e decidere su quali cavalli puntare di volta in volta, e di escludere i cavalli meno "convenienti". Ma se ciò deve avvenire, allora deve avvenire alla luce del sole, attraverso un dibattito, in modo che la scelta sia condivisa ed approvata non dico da tutti, ma almeno dalla maggioranza.

Altrimenti accadrà daccapo quanto è accaduto in passato: che i partecipanti ai Pride, trattati come mandria da transumare da qui a lì al servizio di progetti e inciuci di cui è totalmente all'oscuro, smetterà di venire ai Pride.
Di sicuro io non tornerò più se devo un'altra volta, come quest'anno a Bologna, farmi il giro delle circonvallazioni senza mai incontrare un solo bolognese, in modo da ottenere un bel Pride imponente ma che non creasse disturbo al generoso sindaco Cofferati e ai suoi "alleati" suddivisi in baciapile, cattolici, molto cattolici, cattolicissimi e preti puri e semplici.
Ma un movimento gay che scomoda, raccoglie e fa sfilare 200.000 persone allo scopo di evitare di dare troppo fastidio è pronto per il ricovero nel repartino psichiatrico -- e ringrazi pure Basaglia!


Tutto ciò premesso, è chiaro che l'aggressione perpetrata da "Facciamo breccia" è un sintomo, doloroso e perfino repellente, ma non è la malattia.

La malattia è la segretezza, il verticismo, l'inciucio elevato a prassi politica, l'abitudine alla manovre dietro alle quinte, la mancanza di chiarezza e dibattito con la quale tutti i grandi gruppi lgbt italiani, dal Mieli al Cassero, da Di'Gay al Cig, conducono le loro attività politica.

E se ricominciassimo allora a dibattere democraticamente, rinunciando a giocare ai Comitati Centrali del Pcus, come fanno ormai tutti questi gruppi italiani?
Parafrasando Gandhi, mi spingo ad affermare: "Il dibattito democratico all'interno del movimento gay? Sarebbe un'ottima idea...".


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