Il papa, il World Pride, e noi
da "Pride" n. 11, maggio 2000, pp. 43-44.
di: Giovanni Dall'Orto
Il recente voto del Parlamento Europeo segna uno spartiacque. E non solo per ciò che rappresenta, ma per il fatto che mai come in questo voto è apparso che nella lotta per i diritti gay la tradizionale distinzione fra sinistra a destra non ha più senso.
Al Parlamento Europeo in effetti la distinzione è stata fra gruppi che si richiamano al Cristianesimo e gruppi laici. Hanno votato a favore dei gay i gruppi social-democratici e socialisti ma anche i partiti di destra liberale e laica, mentre hanno votato contro i gay i gruppi che si riconoscono nei gruppi demo-cristiano e postfascista.
Non passa settimana senza che un vescovo, un teologo, un editorialista o un politico cattolico non attacchino i gay e i loro diritti civili. Le riviste gay come "Pride" non possono non occuparsi in ogni numero dell'ennesima "esternazione" cattolica, dando l'impressione di "intestardirsi" su questo tema… mentre invece è la Chiesa che ha scelto i gay (assieme all'aborto e alla contraccezione) come tema simbolico della propria "specificità".
I gay: non la pena di morte (che il Catechismo ammette, al § 2267) o la fame nel mondo (su cui la Chiesa spende solo parole, non certo scomuniche), o i diritti dell'Uomo (che il Vaticano non riconosce).
No: proprio noi, i gay.
E allora accettiamo una buona volta l'idea d'essere stati scelti come nemico numero uno dalla Chiesa cattolica, e reagiamo una buona volta di conseguenza.
Certo, avremmo vissuto benissimo anche senza questo potentissimo nemico, anzi tutto sommato ci andava meglio la Chiesa degli anni Settanta, che ci condannava sì, ma almeno una volta ogni cinque anni, e non una volta alla settimana.
Però ci piaccia o no ormai abbiamo il monarca assoluto di uno Stato straniero che non perde occasione per dire che le leggi della Repubblica italiana, uno Stato sovrano, devono discriminare i gay.
Quando Fini disse che gli insegnanti gay devono essere licenziati si scatenò il putiferio, lo si accusò (anche da parte cattolica!) d'essere un fascistone.
Eppure la stessa identica cosa è scritta a chiare lettere (par. 11) nel documento: Alcune considerazioni concernenti la risposta a proposte di legge sulla non discriminazione delle persone omosessuali, promulgato dal Santo Uffizio il 24-7-1992 , e tutti fingono di non saperlo.
Perché mai allora il papa deve essere al di sopra di ogni giudizio?
Perché deve essere al di sopra delle leggi?
Perché ha il diritto di mancare impunemente di rispetto ogni settimana a me, alla mia relazione affettiva, alla mia vita e alle mie scelte democratiche di cittadino italiano?
Perché quando si discute del World pride ormai tutti i gay italiani di preoccupano tanto di non "mancare di rispetto" a "Sua Santità" e mai, dico mai, del contrario?
Osservando le grandi manovre per il Word Pride del prossimo luglio noto Piero Badaloni, candidato (cattolico) della sinistra alle elezioni regionali per il Lazio, fare dichiarazioni assolutamente in linea con quelle del suo oppositore Francesco Storace, candidato della destra.
Ribadendo in questo modo che per noi gay la distinzione corre ormai fra cattolici e laici, e non più fra destra e sinistra.
Quando Alleanza Nazionale candida alle elezioni comunali di Bolzano un gay dichiarato e militante come Enrico Oliari, ed Alessandra Mussolini - con quel cognome! - si dichiara favorevole all'adozione per le coppie gay, è palese che è finita l'epoca in cui essere di sinistra era la garanzia di un atteggiamento più aperto verso i gay.
Dobbiamo capire che da oggi in poi la discriminante passa fra "laici" e "cattolici", tant'è che un partito ferocemente di destra ed anti-operaio ma coerentemente laico come la Lista Bonino, vanta verso i gay benemerenze che la sinistra si sogna.
Eppure mentre cresce la campagna cattolica contro i gay, il movimento gay, nella sua maggioranza, arretra, minimizza, finge di non vedere. Il World pride, lanciato tre anni fa con Roma come sede e nell'anno del Giubileo "Contro duemila anni di oppressione cattolica", è diventato, nelle ultime dichiarazioni stampa degli organizzatori, una manifestazione "a favore della libertà di religione", lungi da qualsiasi intento di contestare il "Santo Padre" (così lo chiamano!).
Se davvero le cose stanno così, allora si sposti l'evento in altra città o in altra data e morta lì.
Ma organizzare un World Pride proprio alla Mecca nel duemillesimo anno della nascita di Maometto e poi giurare che non si ha intenzione di contestare l'Islam è cosa che non si sa se faccia più ridere o sconcertare.
Eppure lo scorso dieci marzo [2000] Vladimir Luxuria, del comitato organizzatore, ha dichiarato: "Nessuna dissacrazione del Giubileo. La parola d'ordine che stiamo facendo girare è quella di non preparare per l'8 luglio carri mascherati all'insegna dell'anticlericalismo, o sfilare nudi o con atteggiamenti che qualcuno possa definire osceni".
Se penso a quanto ho dovuto discutere io negli anni passati per difendere il diritto civile di Vladimiro di partecipare ai gay pride con le sue mises da Torta Nuziale (che hanno scioccato più gay benpensanti che astanti etero), o i suoi travestimenti femminili in cuoio e fil di ferro, stento un po' a raccapezzarmi. Cosa può averlo convinto a venire (tra)vestito in giacca e cravatta e a chiedere a noi di fare lo stesso?
Tutti già dicono: i trecentocinquanta milioni di contributo che il Comune di Roma ha promesso… ma non senza porre drastiche condizioni.
Ma se così fosse, allora ce lo si dica una volta per tutte.
La politica è l'arte del possibile, e non ci sarebbe nulla di disonorevole nel barattare un favore per l'altro. Quella somma è il triplo di quanto è stato concesso all'intero movimento gay italiano per la campagna Aids dello scorso anno!
E se una rinuncia temporanea può, in cambio, dare vantaggi "sonanti" come questo, allora è il caso di prenderla seriamente in considerazione.
Però, diamine, ce lo si dica. In questo modo capiremo che le attuali sconcertanti dichiarazioni filopapali del comitato organizzatore sono solo una furba mossa strategica, in vista di risultati più importanti, e non ci preoccuperemo più.
Il papa è nostro nemico, non si vergogna di ricordarlo ad ogni istante.
E se mi si chiede di andare a Roma, anziché a contestarlo, a baciargli la Santa Pantofola, mi si spieghi almeno perché.
E lo si spieghi soprattutto ai gay dei Paesi protestanti, che cinquecento anni fa ruppero col papa sulla questione della vendita d'indulgenze, cioè quella cosa che sta avvenendo, su scala mai vista nella storia, in questo anno a Roma. Staranno zitti anche loro? Ho qualche dubbietto…
E i gay nuovaiorchesi, abituati a farsi arrestare in massa davanti alla cattedrale di San Patrizio per protestare contro l'omofobo Cardinale O' Connor, accetteranno di baciare il Santo Pedalino pure loro? Temo di no.
E alle "Sorelle dell'Indulgenza Perpetua", chi andrà a spiegarlo di non travestirsi più da suore su pattini a rotelle, come fanno da vent'anni in qua, per non "dissacrare il Giubileo"? Io no di certo.
Ed io? Potrò venire a Roma abbracciato al mio ragazzo? Potrò baciarlo per strada? No, certo, dato che si tratta, per usare le esatte parole di Luxuria, di "atteggiamenti che qualcuno potrebbe definire osceni". Ahi ahi.
Sono domande che penso meritino risposta.
Se proprio dobbiamo onorare il nostro principale nemico, almeno diteci perché.
L'anticomunista Churchill si alleò con il dittatore comunista Stalin, ma almeno aveva un buon motivo per farlo: sconfiggere il nazi-fascismo.
Il ministro comunista Togliatti nel dopoguerra accettò di amnistiare i fascisti, ma almeno aveva un buon motivo per farlo: pacificare l'Italia dopo anni di guerra civile.
Di esempi così la storia ne offre mille.
Ma nel nostro caso, il buon motivo qual è?
Ed io, cosa ci guadagno?
Ditecelo.
O almeno smettetela di giurare che tutti i gay del mondo verranno a Roma senza intenzione di contestare il loro nemico numero uno.
Parlate per voi.
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