"World Pride 2000": i miracoli esistono
da "Pride" n. 13, luglio 2000, pp. 6-7.
di: Giovanni Dall'Orto
La forsennata campagna antigay del Chiesa cattolica ha ridato importanza ad una manifestazione, il World Pride, che per una serie di risse intestine del movimento gay sembrava fino a poco prima destinata ad avere poco rilievo. A questo punto è impensabile non parteciparvi.
Nota: questo articolo fu scritto poco prima del World Pride. Per un commento successivo, si veda l'articolo: Possiamo rifarlo.
Dopo che il movimento gay italiano non aveva brillato nell'organizzazione del World Pride, quando tutto preannunciava un mezzo fiasco (anche perché è idiota promettere, come si è fatto, "un milione di partecipanti" sapendo che in Italia tale obiettivo è pura fantascienza) ecco che la più forsennata, sciocca, rabbiosa campagna antigay mai vista in Italia ha fatto del World Pride non più una marcia gay, bensì una bandiera e un simbolo dei diritti civili e dei diritti costituzionali di tutti gli italiani, e non solo dei gay.
Partecipare al World Pride non è più, ora, una questione di fierezza gay o meno: è ormai una questione di sopravvivenza primaria, di resistenza nonviolenta contro chi dice che esistono in Italia esseri umani che non solo non devono avere il diritto ad amarsi, ma neppure diritti costituzionali, neppure il diritto di parola… nulla di nulla.
Non c'è bisogno di essere un militante arrabbiato, ora, per sentire il bisogno di andare a Roma. Basta essere una persona che ritiene di avere il diritto di parlare ed esprimersi come qualunque altro essere umano in Italia.
La rabbia è montata in decine di migliaia di gay che non avevano nessuna voglia di muoversi (me compreso), e ora il passaparola è uno solo: bisogna esserci, per fare capire a chi crede di essere padrone delle nostre vite che noi siamo invece liberi, e padroni dei nostri corpi, delle nostre menti, delle nostre parole, delle nostre scelte.
Fino a poco fa il World Pride era un azzardo: una partecipazione sotto le 30.000 persone (dopo le promesse "milionarie") sarebbe stata un fallimento. Ora invece, dopo che s'è fatto di tutto per impedire che ci fosse, il solo fatto che la manifestazione si svolga, anche con dieci sole persone, sarà comunque un successo. Avrà dimostrato che in Italia non esistono cittadini di serie "A" che possono sequestrare per un intero anno la capitale di uno Stato, e cittadini di serie "B", che non possono nemmeno passeggiarci per qualche ora.
Eppure questo risultato esaltante non era scontato. Chi conosce la storia del World Pride sa che esso era nato come gesto di resistenza verso quella Chiesa cattolica che in questi giorni ha dimostrato in modo sbalorditivo tutta la sua intolleranza e il suo fanatismo imbellettato da zuccherose ipocrisie d'amore e pace.
Ben presto però quello che era nato come progetto unitario era degenerato. Il gruppo romano ne aveva fatto l'occasione di una prova di forza con l'Arcigay, per mostrare di essere il "vero" leader del movimento gay italiano.
Da parte loro i gruppi Arcigay non si erano certo mostrati migliori: molti circoli locali avevano infatti parteggiato per il circolo "Mario Mieli" ma non per spirito di collaborazione, bensì nella speranza miope di indebolire la sede centrale per strapparle così qualche briciola di "potere".
In questa partita a scacchi l'Arcigay nazionale ha giocato una mossa azzeccata: s'è ritirata dall'iniziativa lasciando però ai singoli circoli la decisione se rimanervi o meno.
Per un attimo è sembrato che il disegno di Mieli si realizzasse, ma è bastato poco perché l'impressione si dissipasse, quando i singoli circoli Arcigay hanno mostrato defilandosi di non avere voglia di liberarsi dalla "tutela" della sede nazionale solo per cadere sotto quella del "Mieli". Che si è trovato quindi solo, completamente solo (come si suol dire: "nella merda"), a gestire il progetto.
E il progetto si è presto rivelato superiore alle sue sole forze. Le due ultime marce dell'orgoglio gay a Roma, che dovevano essere la "prova generale" con un sempre crescente numero di partecipanti, hanno al contrario visto la progressiva diminuzione di presenze, che non hanno mai più raggiunto le diecimila della primissima, unitaria: i gay erano stanchi di beghe e polemiche che pochi capivano.
E qui allora gli organizzatori hanno abbassato il tiro. Hanno capito che era impossibile affrontare da soli il potere degli ayatollah cattolici. Ma consideravano fuori discussione chiedere l'aiuto degli altri gruppi dopo che il World Pride era diventato ormai di fatto il "Mario Mieli Pride"!
L'iniziativa è stata così rimpicciolita, è diventata un'iniziativa che nulla aveva a che fare con la contestazione al potere clericale: è diventata un'iniziativa "a favore della libertà di religione" a cui ci si chiedeva di venire tutti in giacca e cravatta… e così via. Un'iniziativa sempre meno coraggiosa, sempre meno significativa, soprattutto sempre meno necessaria. Da qui la mia poca voglia di partecipare.
Non si capiva infatti a questo punto perché tanta ostinazione nel volere a tutti i costi il World Pride a Roma proprio nell'anno del Giubileo giurando nel contempo massimo rispetto, deferenza ed obbedienza a "Sua Santità", strillando che nessuno intendeva contestarne la Santa e Illuminata Parola eccetera.
Non si capiva… se non pensando che il problema era diventato, a quel punto, l'ingente investimento economico che il Mieli aveva buttato nel progetto: un investimento che rischiava di sfumare nel nulla se l'evento non si fosse tenuto.
Poco prima che il miracolo avvenisse mi ero convinto che la mossa più pagante politicamente sarebbe stata a quel punto accettare che la manifestazione fosse proibita d'autorità. Era la strada per andare alla Corte Europea dei diritti dell'Uomo, e farvi condannare l'Italia. Mostrare al mondo come i diritti civili dei gay in Italia siano ogni giorno conculcati sarebbe stato, da un punto di vista politico, un'arma esplosiva per mostrare quanto sia falso che in Italia i gay stiano "ormai" tutti bene, come invece ripetevano ossessivamente fino a ieri i mezzi di comunicazione di massa e la gente per strada.
Purtroppo però il circolo "Mario Mieli" non poteva permettersi la strada di scontrarsi con una proibizione: troppo era il denaro investito (centinaia di milioni di lire). La proibizione di sfilare sarebbe stata sì una vittoria politica (come hanno poi dimostrato i fatti dell'ultimo mese) ma una spaventosa débâcle economica.
E le considerazioni economiche avevano infine soffocato quelle politiche.
Ma poi è accaduto il miracolo. Un gruppo di cardinali, le cui simpatie per o addirittura la franca appartenenza all'ala filofascista della Chiesa (l'Opus Dei) era nota, ha iniziato ad attaccare apertamente l'iniziativa non suggerendo, non chiedendo, bensì pretendendo, esigendo e comandando che fosse proibita.
A peggiorare la cosa la sbandierata "solidarietà" della sinistra s'è sciolta come neve al sole, il capo del governo di "sinistra" s'è disgustosamente lamentato del fatto che "purtroppo" (purtroppo!) esiste una Costituzione che gli impediva di proibire puramente e semplicemente ai gay di parlare, Gerardo Bianco ha dichiarato che era inconcepibile che i gay pretendessero di sfilare "nella città del papa" (dimenticando che Roma sarebbe a tempo perso, fra un Giubileo e l'altro, la capitale della Repubblica italiana di cui lui è deputato… e poi dicono che è Bossi a minare l'unità della nazione!), Rutelli ha rinnegato vent'anni di anticlericalismo e s'è chinato al potere e al denaro del papa… ("Una poltrona val bene una Messa").
Lo spettacolo è stato talmente indecente da scioccare gli italiani, che vedevano la loro classe politica priva di qualunque decenza, di qualunque ideale che non fosse l'ossequio per chi ha più soldi e più potere.
Persino giornali di centro-destra mai stati particolarmente illuminati verso i gay, con infinita riluttanza hanno dovuto ammettere che si stava andando troppo in là, che quanto accadeva ricordava l'Iran degli ayatollah…
E alla fine un ministro della Repubblica ha fatto per la prima volta nella storia italiana un coming out, ancorché bisex, proprio per protestare contro il clima folle che s'era creato!
Se me lo avessero predetto, io non ci avrei mai creduto.
I froci hanno insomma fatto perdere il self control ai cardinali, l'odio e il disprezzo per questa minoranza ha mandato all'aria anni di public relations di una Chiesa che a furia di chiedere scusa a destra e manca (ma non ai gay) aveva quasi finito per dare a bere d'essere moderna e tollerante.
E invece no, non lo è mai stata, e l'esibizione del vero e sgradevole volto del fanatismo religioso ha rovinato decenni di sforzi. La Chiesa ora è la paladina dei nazisti di Forza Nuova, che hanno già minacciato di prendere a botte tutti i froci.
Davvero "il buon Dio" ha bisogno di questi sgherri per farsi rispettare? Povero "buon Dio"!
Invano un vecchio volpone di destra sì, ma più avvezzo ai giochi di potere, il cardinale Maggiolini, ha ammonito che continuare a sparare contro i gay significava solo fare loro pubblicità. Maggiolini lo sapeva bene: preso di mira da una manifestazione gay nella sua città, Como, il 22 maggio 1999, non ha alzato dito, lasciando che l'iniziativa si svolgesse senza clamore… e quindi senza quasi attenzione da parte della stampa.
Invano: per giorni e giorni il World Pride è stato sulle prime pagine di tutti i giornali. Nemmeno investendo miliardi in pubblicità si sarebbe ottenuto altrettanto!
Solo grazie al Vaticano insomma il World Pride è tornato quello che era all'inizio: un confronto fra due visioni del mondo: una intollerante ed una favorevole alla tolleranza. Una manifestazione nonviolenta contro l'intolleranza, la bigotteria, il fanatismo. Contro gli ayatollah di Cristo.
Solo grazie al Vaticano è tornata in gioco (nelle interviste, nella mobilitazione, nel passaparola) tutta quella parte del movimento gay che dal World Pride si era estraniata… perché a questo punto non è più il "Mieli Pride", anzi non è nemmeno più un gay Pride: è la manifestazione di chi crede che in Italia come nel resto del mondo Chiesa e Stato debbano essere due entità diverse e separate.
"Libera Chiesa in libero Stato".
Di fronte allo spettacolo di cardinali che parlavano come presidenti del Consiglio e di un presidente del Consiglio che parlava come un cardinale, molti si sono detti che si era passato ogni limite.
E molti di costoro (anche cattolici) saranno a Roma assieme a noi, perché senza volerlo i cardinali dell'Opus Dei hanno mostrato quali sono per loro i rapporti fra Stato e Chiesa: la Chiesa comanda e lo Stato finanzia ed obbedisce. E per chi dissente giù botte da Forza Nuova.
È questa l'Italia che vogliamo?
Quando questo giornale uscirà mancheranno ancora pochi giorni al World Pride.
Mentre scrivo non so ancora quante persone ci saranno alla manifestazione, se davvero 30.000 o forse anche di più, chissà, magari molte di più (anche se il Mieli adesso ne promette "solo" 200.000: va be', amen).
Ma a questo punto il numero conta relativamente poco, perché lo shock che il dibattito ha causato è destinato a durare a lungo. Senza volerlo, la Chiesa ha gettato la maschera, i "sepolcri imbiancati" di cui parla il Vangelo sono stati scoperchiati per mostrare di essere bianchi fuori e pieni di putrefazione dentro.
Perché questa débâcle è avvenuta in un anno che si svolge all'insegna dell'amore e del perdono. Amore e perdono, sissignori, mentre dalle stanze vaticane non è arrivato altro che odio, sprezzo, insofferenza verso i froci. Non una sola parola di amore… non parliamo del perdono.
Aprite allora la vostra Bibbia, leggete chi ha condannato Gesù. Sadducèi e farisèi: vale a dire, le alte gerarchie religiose e i più ferventi religiosi. Oggi si chiamano cardinali e ciellini, oppure Curia e Opus Dei: sadducei e farisei. Se Cristo nascesse oggi, lo crocifiggerebbero di nuovo, perché lui le gerarchie religiose "osava" contestarle eccome, e criticarle, e buttava all'aria i loro affari nel Tempio… non le riveriva certo nel modo osceno in cui le riveriscono oggi tutti i politici (e troppi gay!) italiani. "Non è mai lecito criticare le gerarchie!", strillano i discepoli di colui che ha fondato la loro religione contestando le gerarchie religiose, e pagando un prezzo salato per averlo fatto.
Costui (fosse uomo o dio qui non importa) nella parabola del buon samaritano ha insegnato che vale più l'eretico samaritano pietoso, che il religiosissimo fariseo che passa accanto alla sofferenza umana e finge di non vedere.
Figuriamoci quando è il fariseo stesso a crearla a bella posta, la sofferenza umana.
Eppure oggi i farisei cattolici, con la loro fanatica lotta contro il preservativo, sono fra le cause prime di una catastrofe umanitaria senza precedenti, specie in Africa del Sud. L'Aids sta facendo diminuire la popolazione di intere nazioni africane, milioni di bambini sono orfani.
Ma no, il preservativo non si può usare.
Ebbene: il fondatore di quella religione che ne proibisce l'uso ha detto che la Legge divina è fatta per l'uomo, e non l'uomo per la Legge divina.
Ma i guardiani di quella Legge hanno dimenticato, pretendono ora che gli esseri umani siano schiavi dei loro capricci nel nome di quella legge.
Se Gesù di Nazareth nascesse oggi, sarebbe certo in manifestazione assieme a noi, assieme agli altri eterosessuali che hanno promesso di esserci.
In fondo lui capì il centurione romano innamorato del suo schiavo malato al punto di umiliarsi col santone-guaritore di un popolo sconfitto, e gli guarì lo schiavo tanto amato.
Così dicono i Vangeli, almeno...
Sì, lui sarebbe certo con noi.
E ovviamente i sadducei lo crocifiggerebbero da capo, se solo potessero, come vorrebbero crocifiggere noi, privandoci del nostro diritto ad amare ed essere amati.
Non permettiamo che ciò accada.
Mostriamo con la nostra presenza non violenta, pacifica, rispettosa ma non per questo succube e indecisa, che dopo tutto noi siamo l'unico movimento di liberazione che chiede ad alta voce di poter fare ciò per cui il Giubileo proclama di esistere. Amare.
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