|
Umanista.
Nacque a Diano di Lucania, figlio illegittimo di un Giovanni Sanseverìno, principe di Salerno (il cognome "Pomponio Leto" è uno pseudonimo umanistico). Trasferitosi a Roma per seguire le lezioni dell'umanista Lorenzo Valla, vi rimase poi ad insegnare e a vagheggiare una ricostruzione dell'antichità classica romana. Verso il 1464
fondò addirittura nella propria casa sul Quirinale l'Accademia
Romana, a cui fecero capo vari umanisti dell'epoca (fra i quali
Filippo
Buonaccorsi e Niccolò
Lelio Còsmico), caratterizzata da un culto fanatico e quasi
religioso dell'antichità pagana.
A Venezia Pomponio aveva iniziato ad insegnare a due figli dei nobili Andrea Contarini e Luca Michiél, quando nel 1468 avvenne una doppia catastrofe. Dapprima fu messo sotto inchiesta dal Consiglio dei Dieci per il sospetto che avesse sedotto gli allievi che, si disse, aveva cantato con eccessivo ardore in poesie latine (che non ci sono giunte). Gli accusatori del Consiglio dei Dieci parlano "di un 'libro disonesto' vergato di sua mano, e di certe indiscrezioni, lasciate sfuggire dalla sua bocca; affermano peraltro, nel modo più energico, l'esistenza, a suo carico, d'un 'manifesto sospetto di sodomia" [1].Contemporaneamente, a Roma il papa anti-umanista Paolo II mise sotto accusa l'Accademia, accusata di organizzare un improbabile colpo di Stato pagano (!) e repubblicano. Pomponio era, assieme al Buonaccorti, fra i principali imputati e, arrestato a Venezia, fu estradato a Roma per esservi processato. Paradossalmente l'estradizione fu per lui provvidenziale: "Dal verbale della seduta del Consiglio dei Dieci (...) risulta che Pomponio doveva essere riconsegnato alla Repubblica, se non fosse stato condannato alla pena capitale (...), per essere punito del reato di sodomia (...) che a Venezia comportava la pena capitale. (...)Egli infatti fu sì incarcerato in Castel sant'Angelo fino alla primavera del 1469, ma infine venne assolto e liberato. Ovviamente si guardò dal rimettere piede a Venezia, e per maggior sicurezza si affrettò pure a prendere moglie. Dalle carceri
Pomponio si difese con una celebre perorazione in latino [3]
affermando d'aver sì cantato i due ragazzi con amore, ma con un
amore paterno e "socratico", come insegnante.
"Dopo quello che trovammo scritto nel regesto dei Dieci, questa non è una difesa efficace, è una divagazione"[4].Una volta scarcerato, Pomponio Leto riformò l'Accademia (che sarebbe sopravvissuta alla sua morte) e tornò ad insegnare alla Sapienza. Fra i suoi studenti fu anche Girolamo Balbi. L'importanza di Pomponio per la storia della cultura sta soprattutto in questa attività d'insegnamento, dato che i testi da lui pubblicati sono solo, per lo più, dispense di corsi universitari, oppure commenti a opere classiche, nei quali gli mancò il rigore filologico di altri grandi umanisti del Rinascimento. Alla sua morte
fu sepolto nella chiesa di san
Salvatore in Lauro a Roma (dove la tomba oggi non esiste più).
L'autore ringrazia fin d'ora chi vorrà aiutarlo a trovare immagini e ulteriori dati su persone, luoghi e fatti descritti in questa scheda biografica, e chi gli segnalerà eventuali errori contenuti in questa pagina. |
Note
[1] Vladimiro Zabughìn, Giulio Pomponio Leto, La vita letteraria, Roma 1909-1912, 2 voll., vol. 1, p. 32. [2]
Gioacchino Paparelli, Callimaco Esperiente, Beta, Salerno 1971,
p. 71.
[3] Isidoro Carini, 'La "difesa" di Pomponio Leto'. In: Nozze Cian-Sappa-Flandinet, Istituto italiano d'arti grafiche, Bergamo 1894, pp. 153-193. [4] Vladimiro Zabughìn, Op. cit., p. 36. [5] Venezia, Biblioteca nazionale marciana, Manoscritto latino classe XII n. 210 = 4689, fol. 98v. |