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Recensione di Giovanni Dall'Orto
Un romanzo d'esordio con difetti narrativi evidenti, ma in definitiva gradevole.
Su Anobii i pareri su questo romanzo tendono a polarizzarsi fra il "disastro" e il "capolavoro". Se dovessi essere obbligato con la violenza a schierarmi anch'io, d'istinto mi collocherei fra i primi, anche perché trattandosi d'un autore italiano si fatica a scacciare il sospetto che dietro agli entusiasti che gridano al "capolavoro" ci siano cognati, colleghi ed amici.
Ad ogni modo, se mi è concesso di non essere obbligato con la violenza a schierarmi, il mio giudizio si colloca in realtà a metà strada fra i due estremi. I difetti narrativi ci sono, ma dopo aver faticato anch'io ad addentrarmi nel romanzo, una volta sopravvissuto alla noia dell'inizio (farraginoso e confusionario) ho trovato che dopo un po' la macchina narrativa, cigolando, sferragliando e gemendo, riesce infine a mettersi in moto. Tant'è che una volta arrivato alla fine ho scoperto di poter pronunciare le fatidiche parole: "Mhhh, sì, mi è piaciuto!".
Questo è un romanzo d'esordio, e non tutti "nascono 'mparati". Certe asprezze e certe scelte narrative suicidali si possono quindi spiegare col fatto che questo è un Opus primum. E nonostante io abbia proclamato a più riprese la mia insofferenza per gli autori italiani di fantascienza, è palese come a furia d'insistere qualcosa di buono dai "Premi Urania" stia venendo fuori.
I difetti di Morellini sono quelli tipici di un po' tutti gli scrittori italiani di fantascienza.
In primis gli appesantimenti psicologici,
inevitabili come la morte e inutili come l'opposizione quando è
fatta dal Pd, che vorrebbero arricchire la vicenda e invece si limitano
ad appesantirla e basta.
Nel nostro caso, abbiamo il solito detective
fragile e complessato, a causa di tremende torture nascoste nel suo passato.
Per far fronte ai suoi fantasmi interiori è tossicodipendente (ma
dai? Che novità narrativa!).
Ebbene, anche senza tutti questi patè
d'animo la narrazione avrebbe funzionato: si tratta perciò di puro
orpello. Ciò che conta nel personaggio è infatti la sua capacità
di notare dettagli che agli altri sfuggono (il che in un poliziesco fa
sempre comodo), e un sistema immunitario in grado di metabolizzare a velocità
strabiliante qualsiasi tossina, una caratteristica genetica che lo ha reso
unico per entrambi gli antagonisti che si scontrano nella vicenda, sia
pure per ragioni opposte.
In secondo luogo, l'ambientazione futura
e l'Italia a venire sono ridicole, implausibili oltre ogni
dire. Questo è ormai un difetto quasi universale, in un Paese in
cui nessuno di noi sembra più riuscire a pensare al futuro, se non
come a un incubo. La fantascienza italiana, in effetti, sembra paradossalmente
cavarsela meglio col passato (i viaggi nel tempo) che col futuro: ogni
volta che ci si muove in quella direzione si scivola o nel "Bar Sport"
o nell'incubo.
In questo romanzo l'Italia a venire è
divisa fra una megalopoli di dodici milioni d'abitanti situata nel cuore
dell'Emilia, e "il resto". Uno pensa all'inizio che si tratti d'uno spunto
per fare un discorso sul presente (tutta la fantascienza, parlando
del futuro, non ha mai fatto altro che parlare del presente), visto che
lo sfondo del romanzo è la secessione della Polis Aemilia
dal resto d'Italia... e invece no.
Nessun intento d'analisi politica superiore
a quella del sullodato "Bar Sport", nessun intento satirico, nessuna riflessione
sull'oggi, nessun rapporto fra l'oggi e il domani: il nostro futuro nasce
dal nulla (il che è solo un modo diverso per dirci, italianissimamente,
che il nostro presente non va in nessuna direzione, tantomeno verso il
futuro).
Per non parlare del finale con deus
ex machina e secessione rientrata per il rinsavimento spontaneo
dei leghisti del futuro. Ridicolo.
Il terzo difetto, forse il più grave, è la scelta narrativa di chiarire l'antefatto degli avvenimenti narrati nella vicenda solo nelle ultime pagine, nonché d'introdurre ripetutamente dialoghi fra personaggi senza specificare chi stia parlando e chi stia dicendo cosa. Voleva essere una scelta "stuzzicante", invece è solo un pasticcio, che porta a non capire chi sia a dire cosa.
Qui non c'è un disvelamento graduale e continuo, come avviene in molti altri romanzi di questo tipo, tale da stuzzicare il lettore con il flusso delle rivelazioni e la suspence: lo scrittore onnisciente tiene gelosamente per sé tutte le sue carte, facendoci vagolare in una realtà che in mancanza di elementi che ci aiutino a capirla ci appare assurda e priva di fondamento. Poi, a poche pagine dalla fine, ecco il disvelamento di tutto (compreso il motivo del bizzarro titolo, che si chiarisce quando ormai la mano destra stringe solo pochi fogli).
Tra i dettagli che apprendiamo quando ormai
non ci servono più, c'è il fatto che il romanzo si svolge
fra duecento anni nel futuro (cosa che sarebbe stato meglio dire subito,
dato che nel romanzo nulla lo lascia intuire, vista l'assoluta "contemporaneità"
della tecnologia e dei personaggi - ragazzi, fra duecento anni ci saranno
ancora i carabinieri! Davvero, "nei secoli fedeli!"). C'è
al più qualche olo-gadget, ma nulla che non apparisse già
in una puntata di Star Trek di qualche decennio fa (che so, il telefonino
da polso).
L'antefatto non raccontato comprende anche
una disastrosa guerra mondiale che avrà cambiato gli assetti e frantumato
l'Unione Europea (che ovviamente fra due secoli si chiamerà ancora
così!).
Questo mio non è uno spoiler,
bensì una premessa necessaria per comprendere il romanzo, un po'
come la scritta che scorre sullo schermo prima di "Guerre stellari".
Purtroppo all'autore - da bravo italiano
- manca il gusto di immaginare il progresso: a parte la fanta-politica
(noiosissima!) tutto è assolutamente identico al presente, salvo
il fatto che la gente si muove in elicottero anziché in auto. Che
dite? Gli elicotteri esistono già oggi? Ecco, spiegatelo a Morellini,
però.
Una volta ho letto, per curiosità,
un romanzo francese del XVIII secolo che immaginava Parigi nel XX secolo.
In esso si scopriva che nel 1978 o giù di lì ci sarebbero
state strade più larghe, ponti più lunghi, carrozze a cavalli
più molleggiate, lacchè più aitanti, nobiluomini più
raffinati, parrucche meglio incipriate... Ecco, quel romanzo mi è
stato richiamato alla mente da questo. Fra due secoli avremo megalopoli
più grandi, hacker più bravi, carabinieri più carabinieri,
politici più infingardi, cellulari che sono "olo" ma funzionano
esattamente come quelli di adesso... e palazzi a levitazione magnetica.
Ah, il progresso!
Ah, dimenticavo, avremo anche raggi laser.
Che dite? Che li abbiamo già ora? Be', sapete a chi dovete andare
a spiegarlo.
Iniziando invece ad elencare le cose positive,
mi sento di dire che la prolissità non è una colpa dell'autore.
La colpa è della scomparsa della figura del redattore (o se volete
fare gli anglofili, editor), che un tempo aiutava l'autore a sfrondare,
snellire, chiarire, rendere scorrevole il testo. All'estero esiste ancora,
in Italia, per un piccionesco senso del risparmio, è sparita. All'autore
si chiede di "nascere 'mparato", e se non ci riesce, c... suoi.
A dimostrazione di questo scarico di colpe,
abbiamo, a fronte di un inizio leeeento e noioso, la scena dell'attacco
al carcere di Imola che è pura adrenalina, perfettamente azzeccata
nei ritmi e nello svolgimento. Una volta iniziata, le pagine girano da
sole, tutto "si tiene" e la narrazione "regge", con colpi di scena ben
costruiti, un senso del ritmo che non viene mai meno fino alla conclusione.
Perfetta!
Dunque, Morellini è capace di scrivere.
E dunque, se qualcosa di mal scritto appare,
è solo perché avrebbe avuto bisogno d'essere guidato, indirizzato
e laddove necessario potato, esattamente come qualsiasi albero da
frutto. Ma siccome nessuno pare più disposto a spendere, per farlo,
in futuro dovrà guidarsi e indirizzarsi da solo col metodo più
faticoso e frustrante, cioè quello dei tentativi e degli errori
(e se non hai redattori che ti troncano là dove necessario, avrai
recensori che ti stroncano anche dove non lo è).
Peccato, perché sotto la polvere
a tratti brilla l'oro, e avrebbe avuto senso offrirgli una mano a dare
una spolverata al manoscritto.
L'autore dà il meglio di sé
nella seconda parte del romanzo.
Morellini riesce particolarmente bene
nelle scene d'azione e d'intreccio (e per quanto non sia necessariamente
"da urlo", come "giallo" il romanzo sta dignitosamente in piedi).
Finché si perde a cincischiare
in prologhi, premesse, prefazioni eccetera, il romanzo non decolla. Ma
quando poi decolla, decolla! Ecco perché darei
un giudizio a tre stelle su cnque, che è una media fra le due stelle
della prima metà e le quattro che merita la seconda.
In conclusione.
L'autore di Il re nero non ha ancora
trovato la sua vera strada, e brancola cercando di accontentare un po'
tutti, il che equivale a non accontentare nessuno.
Però io penso che, una volta che
avrà capito quali siano le cose in cui riesce meglio, in cui cioè
ha un "vantaggio competitivo" rispetto ad altri narratori, potrebbe avere
uno sviluppo sempre più interessante, come avvenne a suo tempo per
Evangelisti, o Mongai, o Masali, o...
Diciamo insomma che deve solo trovare
la sua strada, dopodiché i mezzi per andare avanti li ha.
Quanto al presente romanzo, il mio giudizio è che se si ha un poco di pazienza (magari saltando le parti allunga-brodetto), e non si hanno aspettative eccessive causate dalle recensioni iperboliche apparse in Rete, la lettura di questo romanzo piacerà senz'altro alla maggioranza dei lettori di "Urania". Nel complesso delle opere pubblicate in questa collana, infatti, Il re nero non si collocherà forse tra i capolavori assoluti, ma neppure fra le opere immeritevoli di lettura: diciamo che si colloca a metà strada, e comunque sempre al di sopra di un livello dignitoso, anche nelle parti meno convincenti.
Tutto soppesato, io l'acquisto di questo
numero di "Urania" lo consiglio. Nonostante i difetti che ho elencato,
offre comunque l'onesto intrattenimento che richiediamo in cambio dei nostri
4 euro e 50.
Se po' ffa'.