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Maico Morellini, Il re nero, "Urania" n. 1576, novembre 2011.
 
Copertina di ''Il re nero'', di Maico Morellini.

[Romanzo di fantascienza]

Recensione di Giovanni Dall'Orto


Un romanzo d'esordio con difetti narrativi evidenti, ma in definitiva gradevole.

Su Anobii i pareri su questo romanzo tendono a polarizzarsi fra il "disastro" e il "capolavoro". Se dovessi essere obbligato con la violenza a schierarmi anch'io, d'istinto mi collocherei fra i primi, anche perché trattandosi d'un autore italiano si fatica a scacciare il sospetto che dietro agli entusiasti che gridano al "capolavoro" ci siano cognati, colleghi ed amici.

Ad ogni modo, se mi è concesso di non essere obbligato con la violenza a schierarmi, il mio giudizio si colloca in realtà a metà strada fra i due estremi. I difetti narrativi ci sono, ma dopo aver faticato anch'io ad addentrarmi nel romanzo, una volta sopravvissuto alla noia dell'inizio (farraginoso e confusionario) ho trovato che dopo un po' la macchina narrativa, cigolando, sferragliando e gemendo, riesce infine a mettersi in moto. Tant'è che una volta arrivato alla fine ho scoperto di poter pronunciare le fatidiche parole: "Mhhh, sì, mi è piaciuto!".


Questo è un romanzo d'esordio, e non tutti "nascono 'mparati". Certe asprezze e certe scelte narrative suicidali si possono quindi spiegare col fatto che questo è un Opus primum. E nonostante io abbia proclamato a più riprese la mia insofferenza per gli autori italiani di fantascienza, è palese come a furia d'insistere qualcosa di buono dai "Premi Urania" stia venendo fuori.

I difetti di Morellini sono quelli tipici di un po' tutti gli scrittori italiani di fantascienza.

In primis gli appesantimenti psicologici, inevitabili come la morte e inutili come l'opposizione quando è fatta dal Pd, che vorrebbero arricchire la vicenda e invece si limitano ad appesantirla e basta.
Nel nostro caso, abbiamo il solito detective fragile e complessato, a causa di tremende torture nascoste nel suo passato. Per far fronte ai suoi fantasmi interiori è tossicodipendente (ma dai? Che novità narrativa!).
Ebbene, anche senza tutti questi patè d'animo la narrazione avrebbe funzionato: si tratta perciò di puro orpello. Ciò che conta nel personaggio è infatti la sua capacità di notare dettagli che agli altri sfuggono (il che in un poliziesco fa sempre comodo), e un sistema immunitario in grado di metabolizzare a velocità strabiliante qualsiasi tossina, una caratteristica genetica che lo ha reso unico per entrambi gli antagonisti che si scontrano nella vicenda, sia pure per ragioni opposte.


In secondo luogo, l'ambientazione futura e l'Italia a venire sono ridicole, implausibili oltre ogni dire. Questo è ormai un difetto quasi universale, in un Paese in cui nessuno di noi sembra più riuscire a pensare al futuro, se non come a un incubo. La fantascienza italiana, in effetti, sembra paradossalmente cavarsela meglio col passato (i viaggi nel tempo) che col futuro: ogni volta che ci si muove in quella direzione si scivola o nel "Bar Sport" o nell'incubo.
In questo romanzo l'Italia a venire è divisa fra una megalopoli di dodici milioni d'abitanti situata nel cuore dell'Emilia, e "il resto". Uno pensa all'inizio che si tratti d'uno spunto per fare un discorso sul presente (tutta la fantascienza, parlando del futuro, non ha mai fatto altro che parlare del presente), visto che lo sfondo del romanzo è la secessione della Polis Aemilia dal resto d'Italia... e invece no.
Nessun intento d'analisi politica superiore a quella del sullodato "Bar Sport", nessun intento satirico, nessuna riflessione sull'oggi, nessun rapporto fra l'oggi e il domani: il nostro futuro nasce dal nulla (il che è solo un modo diverso per dirci, italianissimamente, che il nostro presente non va in nessuna direzione, tantomeno verso il futuro).
Per non parlare del finale con deus ex machina e secessione rientrata per il rinsavimento spontaneo dei leghisti del futuro. Ridicolo.


Il terzo difetto, forse il più grave, è la scelta narrativa di chiarire l'antefatto degli avvenimenti narrati nella vicenda solo nelle ultime pagine, nonché d'introdurre ripetutamente dialoghi fra personaggi senza specificare chi stia parlando e chi stia dicendo cosa. Voleva essere una scelta "stuzzicante", invece è solo un pasticcio, che porta a non capire chi sia a dire cosa.

Qui non c'è un disvelamento graduale e continuo, come avviene in molti altri romanzi di questo tipo, tale da stuzzicare il lettore con il flusso delle rivelazioni e la suspence: lo scrittore onnisciente tiene gelosamente per sé tutte le sue carte, facendoci vagolare in una realtà che in mancanza di elementi che ci aiutino a capirla ci appare assurda e priva di fondamento. Poi, a poche pagine dalla fine, ecco il disvelamento di tutto (compreso il motivo del bizzarro titolo, che si chiarisce quando ormai la mano destra stringe solo pochi fogli).

Tra i dettagli che apprendiamo quando ormai non ci servono più, c'è il fatto che il romanzo si svolge fra duecento anni nel futuro (cosa che sarebbe stato meglio dire subito, dato che nel romanzo nulla lo lascia intuire, vista l'assoluta "contemporaneità" della tecnologia e dei personaggi - ragazzi, fra duecento anni ci saranno ancora i carabinieri! Davvero, "nei secoli fedeli!"). C'è al più qualche olo-gadget, ma nulla che non apparisse già in una puntata di Star Trek di qualche decennio fa (che so, il telefonino da polso).
L'antefatto non raccontato comprende anche una disastrosa guerra mondiale che avrà cambiato gli assetti e frantumato l'Unione Europea (che ovviamente fra due secoli si chiamerà ancora così!).
Questo mio non è uno spoiler, bensì una premessa necessaria per comprendere il romanzo, un po' come la scritta che scorre sullo schermo prima di "Guerre stellari".

Purtroppo all'autore - da bravo italiano - manca il gusto di immaginare il progresso: a parte la fanta-politica (noiosissima!) tutto è assolutamente identico al presente, salvo il fatto che la gente si muove in elicottero anziché in auto. Che dite? Gli elicotteri esistono già oggi? Ecco, spiegatelo a Morellini, però.
Una volta ho letto, per curiosità, un romanzo francese del XVIII secolo che immaginava Parigi nel XX secolo. In esso si scopriva che nel 1978 o giù di lì ci sarebbero state strade più larghe, ponti più lunghi, carrozze a cavalli più molleggiate, lacchè più aitanti, nobiluomini più raffinati, parrucche meglio incipriate... Ecco, quel romanzo mi è stato richiamato alla mente da questo. Fra due secoli avremo megalopoli più grandi, hacker più bravi, carabinieri più carabinieri, politici più infingardi, cellulari che sono "olo" ma funzionano esattamente come quelli di adesso... e palazzi a levitazione magnetica. Ah, il progresso!
Ah, dimenticavo, avremo anche raggi laser. Che dite? Che li abbiamo già ora? Be', sapete a chi dovete andare a spiegarlo.


Iniziando invece ad elencare le cose positive, mi sento di dire che la prolissità non è una colpa dell'autore. La colpa è della scomparsa della figura del redattore (o se volete fare gli anglofili, editor), che un tempo aiutava l'autore a sfrondare, snellire, chiarire, rendere scorrevole il testo. All'estero esiste ancora, in Italia, per un piccionesco senso del risparmio, è sparita. All'autore si chiede di "nascere 'mparato", e se non ci riesce, c... suoi.
A dimostrazione di questo scarico di colpe, abbiamo, a fronte di un inizio leeeento e noioso, la scena dell'attacco al carcere di Imola che è pura adrenalina, perfettamente azzeccata nei ritmi e nello svolgimento. Una volta iniziata, le pagine girano da sole, tutto "si tiene" e la narrazione "regge", con colpi di scena ben costruiti, un senso del ritmo che non viene mai meno fino alla conclusione. Perfetta!
Dunque, Morellini è capace di scrivere.
E dunque, se qualcosa di mal scritto appare, è solo perché avrebbe avuto bisogno d'essere guidato, indirizzato e laddove necessario potato, esattamente come qualsiasi albero da frutto. Ma siccome nessuno pare più disposto a spendere, per farlo, in futuro dovrà guidarsi e indirizzarsi da solo col metodo più faticoso e frustrante, cioè quello dei tentativi e degli errori (e se non hai redattori che ti troncano là dove necessario, avrai recensori che ti stroncano anche dove non lo è).
Peccato, perché sotto la polvere a tratti brilla l'oro, e avrebbe avuto senso offrirgli una mano a dare una spolverata al manoscritto.


L'autore dà il meglio di sé nella seconda parte del romanzo.
Morellini riesce particolarmente bene nelle scene d'azione e d'intreccio (e per quanto non sia necessariamente "da urlo", come "giallo" il romanzo sta dignitosamente in piedi).
Finché si perde a cincischiare in prologhi, premesse, prefazioni eccetera, il romanzo non decolla. Ma quando poi decolla, decolla! Ecco perché darei un giudizio a tre stelle su cnque, che è una media fra le due stelle della prima metà e le quattro che merita la seconda.


In conclusione.
L'autore di Il re nero non ha ancora trovato la sua vera strada, e brancola cercando di accontentare un po' tutti, il che equivale a non accontentare nessuno.
Però io penso che, una volta che avrà capito quali siano le cose in cui riesce meglio, in cui cioè ha un "vantaggio competitivo" rispetto ad altri narratori, potrebbe avere uno sviluppo sempre più interessante, come avvenne a suo tempo per Evangelisti, o Mongai, o Masali, o...
Diciamo insomma che deve solo trovare la sua strada, dopodiché i mezzi per andare avanti li ha.


Quanto al presente romanzo, il mio giudizio è che se si ha un poco di pazienza (magari saltando le parti allunga-brodetto), e non si hanno aspettative eccessive causate dalle recensioni iperboliche apparse in Rete, la lettura di questo romanzo piacerà senz'altro alla maggioranza dei lettori di "Urania". Nel complesso delle opere pubblicate in questa collana, infatti, Il re nero non si collocherà forse tra i capolavori assoluti, ma neppure fra le opere immeritevoli di lettura: diciamo che si colloca a metà strada, e comunque sempre al di sopra di un livello dignitoso, anche nelle parti meno convincenti.

Tutto soppesato, io l'acquisto di questo numero di "Urania" lo consiglio. Nonostante i difetti che ho elencato, offre comunque l'onesto intrattenimento che richiediamo in cambio dei nostri 4 euro e 50.
Se po' ffa'.


 
 
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