Nell'inverno
del 1909 il paranoico ma geniale scrittore inglese Frederick
Rolfe, autonominatosi "baron Corvo" (1860-1913), era a Venezia
(vi si era trasferito quell'anno e vi
sarebbe morto nel 1913) alle prese coll'eterno problema di sbarcare
il lunario. Il suo carattere impossibile gli alienava l'uno dopo l'altro
tutti coloro, e furono molti, che cercarono d'aiutarlo [1].
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Charles
Masson Fox.
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Rolfe provò
ad inventarsi un "nuovo" mestiere: presentare disponibili ragazzotti
veneziani ad un ricco mercante inglese suo amico, tale Charles
M. Fox, durante le sue vacanze a Venezia, in cambio d'una somma
mensile per prendere in affitto un appartamento e mantenervici se stesso
ed i giovani suddetti.
È questo
l'incredibile
pretesto da cui nacquero le Venice
letters, le lettere da Venezia in cui Rolfe, per convincere
Fox, mette nella miglior luce possibile la vita omosessuale di quegli anni.
Nonostante
lo squallore infinito dello spunto di partenza Rolfe riesce, grazie al
suo talento letterario, a trasfigurare le vicende che narra, aureolandole
d'un alone glorioso, affascinante.
Le
Venice letters sono dunque letteratura, e non un vero e proprio
documento storico, eppure queste lettere, scritte senza la preoccupazione
di parlare ai "posteri" (Rolfe chiese a Fox di bruciarle dopo averle lette
ed era convinto che egli lo facesse) sono una descrizione nuda e cruda,
a tratti spietata, di quel che significava il "turismo
(omo)sessuale" di quegli anni per le persone che vi erano coinvolte.
Rolfe riuscì
infatti a descrivere come in quegli anni, per la povertà incredibile
ed il classismo inumano, la capacità di provare (a pagamento) eccitazione
sessuale con ricchi "signori" stranieri consentiva ad un giovane italiano
un'attraente integrazione economica al lavoro duro e malpagato.
Rolfe, che
in fondo stava battendo cassa da Fox per sé e per loro, è
uno dei pochissimi stranieri dell'epoca a non voler fingere di non conoscere
la realtà economica dei ragazzi "indigeni" e la base della
loro celebrata "disponibilità". Preso da simpatia per loro,
parla addirittura dei loro amori, delle loro gelosie... e delle loro prodezze
sessuali (per invogliare Fox):
Frederick Rolfe
- Nudo - 1891. |
"Un
corpo grande e lussurioso, come quello di Gildo o di Amadeo o di Piero,
mi dà tutto quello che desidero.
Per riuscire
a stringere le loro lunghe gambe muscolose le mie cosce devono stirarsi
e allargarsi. Il mio uccello spinge nel fesso delle loro grosse cosce,
il mio ventre sente il calore e le spinte del loro uccello impetuoso, ed
il mio corpo si tende allo spasimo, stringendo i loro corpi avvinghiati
che si dimenano grandi e morbidi e pieni di deliziosi muscoli fra le mie
braccia, per cercare le loro bocche rosee, respirare il loro ardente quieto
dolce fiato, baciare selvaggiamente nella lotta, ridere e baciare i loro
occhi scintillanti e brillanti ed ogni millimetro di loro che sia alla
mia portata, e sprofondare ansimante sulle loro larghe spalle bianche o
mordere le loro superbe gole, petto a petto e cuore a cuore [2]. |
La sua ammirazione
per la bellezza dei giovani veneziani fu comunque sincera: ne Il
desiderio e la ricerca del tutto, il suo romanzo più
famoso, scritto nel 1909/1910, così la lodò:
"La
gioventù di Venezia ha un fisico tanto splendido quanto da nessun'altra
parte. In una città in cui ognuno nuota dalla culla e in cui quasi
chiunque abbia più di cinque anni ha remato (in equilibro e spingendo
più che tirando) da venti o trenta generazioni (...), è
possibile vedere (e senza cercarli) gli occhi penetranti, svelti e freddi,
i colli nobili e saldi, le spalle opulente, le braccia gagliarde, i petti
assolutamente splendidi, i tronchi flessibilmente muscolosi inseriti nei
(e sorgenti dai) fianchi ben compatti, le gambe lunghe, snelle, fasciate
da nervi, i piedi grandi, agili, sensibili, di quella gioventù immortale
alla quale un tempo l'Ellade donava diademi" [3].
A gondola
race in Venice - Incisione inglese - 1875.
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Nonostante gli
entusiasmi di Rolfe, comunque, Fox, da saggio mercante, non abboccò
all'amo: inviò piccole somme, per amicizia, e nulla più.
Dopo qualche mese Rolfe si stufò e passò ad escogitare altri,
diabolici mezzi per vivere a scrocco.
Le lettere e
la loro rara testimonianza sono però rimaste, miracolosamente, e
sono state edite nel 1971. Le popolano le figure di Amadeo Amadei, Piero,
Carlo, Ermenegildo Vianello detto "Zildo", quel Zildo incontrato
ed amato nel 1908 che, cambiatone il sesso, è il personaggio
di Zilda/Zildo, "la" (sic!) gondoliera sedicenne (travestita da ragazzo!)
che è la amante dell'autobiografico protagonista de Il
desiderio e la ricerca del tutto.
Vediamo allora
la Venezia che emerge da queste lettere, partendo addirittura da
uno scandalo.
Amadeo Amadei,
nato nel 1893 circa, raccontò a Rolfe che era esistita, verso il
1904/1908, una vera e propria "casa chiusa" clandestina sulle Fondamenta
dell'Osmarìn.
Nel 1908, poco
dopo lo scandalo
omosessuale Moltke-Eulemburg in Germania, nel 1906-1907, (il cosiddetto
"scandalo della Tavola Rotonda") la folla l'aveva assaltata e i proprietari
l'avevano trasferita a Padova.
Rolfe ne parla
nella lettera del 28 novembre 1909:
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Venezia,
le Fondamenta dell'Osmarin, vicino a S. Giorgio dei Greci. (Foto G. Dall'Orto).
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"<Amadeo>
ha detto che una volta c'era una casa di "tavole rotonde" nella città
in quella casa sulle Fondamenta Osmarin, ma, per la paura che ha
preso l'Italia lo scorso anno, quando l'Austria
ha annesso l'Erzegovina e all'improvviso ha schierato 80.000 uomini
alla frontiera dove l'Italia ne ha solo 6.000 (...)
allora i veneziani hanno preso in odio tutti i tedeschi e sono andati a
infrangere la finestre chiamando "Eulenburg" i ragazzi e gli uomini che
c'erano dentro.
Pertanto
il comitato del club, perché era un club privato di Signori della
massima rispettabilità, lo ha spostato a Padova, a circa un'ora
e mezzo di vaporetto e treno. E ha detto che il club era aperto giorno
e notte, e c'erano sempre dieci ragazzi pronti per l'uso. La spesa era
7 franchi per la stanza e quel che volevi per il ragazzo ma dovevi pagarlo
in presenza del portiere e non dargli mai più di 5 franchi, anche
se restavi tutto il giorno e tutta la notte, cioè 5 franchi e 7
franchi per 12 ore.
|
Frederick
Rolfe: Tito Biondi [Roma, 1890].
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Oltre allo
staff, ogni ragazzo poteva portare un Signore. E molti lo facevano, soprattutto
studenti delle scuole pubbliche o istituti tecnici che amavano fare un
po' di soldi. Ma ora, sfortunatamente, questi ed altri ragazzi di Venezia
sono disoccupati, perché a Padova c'è
una grande università con circa 1300 studenti di tutte le età
oltre a molte scuole, e gli studenti hanno di solito bisogno di soldi.
Comunque,
alcuni dei veneziani disoccupati hanno occasionalmente la fortuna di trovare
un impiego, nel qual caso fanno un viaggetto insieme a Padova, in genere
da sabato a lunedì, e traggono mutua soddisfazione da un concubinaggio
sabbatico.
Lui stesso
ha iniziato a 13 anni o poco più in questo modo: uno dei suoi cugini
rimasto orfano era andato a vivere nella sua casa e dormiva con lui. Il
cugino aveva 14 anni ed il letto, essendo stretto, obbligava ad una certa
commistione, con piacere di entrambi. E all'improvviso hanno entrambi eiaculato
assieme (...).
Essendo
ciò molto divertente continuarono ad abbracciarsi ventre a ventre
e lo fecero ancora. Così per molte notti. Poi una puttana mangiò
80 franchi di suo fratello maggiore, di 20 anni, e gli attaccò una
malattia, con gran disgrazia e perturbamento della famiglia. Per ciò,
lui e suo cugino si congratularono di conoscere un piacere più sicuro,
e fecero voto di non toccare mai puttane.
Entro breve
suo cugino (erano entrambi gondolieri saltuari, come mi aspettavo) sentì
parlare dell'Osmarìn. Un cliente lo portò lì. Amadeo
Amadei, alquanto rincuorato, andò a sua volta e chiese del lavoro.
Risposero: "porta un Signore". Perciò andò a pregare la Madonna
nera di Spagna a San
Francesco della Vigna e lei gli mandò un conte. Così
cominciò.
Aveva servito
molti conti e principi ed illustri Signori lì, avendo molta forza
ed inventiva nel trovare modi di dare piacere, modi che piacevano anche
a lui, oltre a riempirgli la tasca.
Trovava i
suoi clienti in questo modo. Il primo, il conte, gli aveva parlato al Giardinetto
dove per caso stava bighellonando un mattino, essendo disoccupato, ed essendo
la sua camicia aperta come suo solito perché era appassionato dell'aria,
il conte gli aveva carezzato il petto dicendo che era un bel ragazzo. Al
che lui aveva detto che era come Dio lo aveva fatto e che preferiva stare
nudo. Al che il conte lo aveva portato all'Osmarin per il giorno.
Dopo,
è sempre andato a torso nudo, anche in Piazza
<san Marco>, e subito i Signori lo seguivano, e nel primo angolo
discreto faceva loro cenno e così trovava clienti. Ma, da quando
il club si è spostato a Padova, è difficile per un ragazzo
onesto (ha 16 anni e mezzo) trovare modo di impiegare le sue notti.
Durante
il giorno lavora come facchino
alle Zattere o nel porto
di <Venezia>
Marittima, guadagnando generalmente 3,50 al giorno, dei quali deve dare
3 franchi al padre, anch'egli facchino che guadagna la stessa cifra. Il
fratello maggiore sta facendo il servizio militare. Suo cugino fa il gondoliere
per un mercante, cioè un droghiere con cui vive e dorme. Un fratello
minore di dodici anni guadagna 1,50 come garzone di lattaio.
Oltre a questi
tre ci sono una madre e una nonna, cinque sorelle e tre fratelli più
piccoli da mantenere col guadagno complessivo di 8 franchi al giorno. Ovviamente
desidera guadagnare per sé. Mi ha assicurato di conoscere trucchi
incredibili per divertire i clienti" [4]. |
Per fortuna
Rolfe non parla solo della prostituzione ma, con la curiosità di
un entomologo, registra anche la storia amorosa e sessuale fra Zildo
(che ormai ha sui 18/19 anni e non è più suo amante) ed un
coetaneo, Piero. È uno dei rari resoconti della vita sentimentale
e sessuale dei giovani omosessuali italiani dell'epoca.
Rolfe ne parla
nella lettera del 28 novembre 1909:
<Amadeo>
dice
che Piero e Zildo si amano e fanno tutto l'uno all'altro ma a nessun altro,
sebbene lui e Piero una volta abbiano passato un'intera notte estiva assieme
sulla laguna nella gondola di Piero. Piero è molto richiesto anche
dalle donne ma non riesce a venire più di due volte per notte" [5]. |
Nella lettera
del 20-27 gennaio 1910 Rolfe entra in ulteriori dettagli sulla vita amorosa
di Zildo:
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Frederick
Rolfe: Marcano Ricci. [Roma, 1890].
|
"Piero e
Zildo hanno litigato e si sono lasciati. Per più di un anno sono
stati amanti, lavorando tutto il giorno nel negozio di legna da ardere
del padre di Zildo. Ora Piero non la finisce più con la storia dell'infedeltà
di Zildo! Sono propenso a immaginare che Zildo sia venuto a sapere delle
molto occasionali cadute di Piero alle Fondamenta Osmarin, ed abbia
fatto l'esperimento di andarci per una volta anche lui, furtivamente. Zildo
è molto dignitoso, così dolcemente modesto, che si sarebbe
assicurato di fare il primo esperimento tutto da solo e cercare di tenerlo
segreto. Ma è così grande e grosso, così carico di
esplosivo vigore giovanile, che suppongo che avesse bisogno di esplodere
in un posto nuovo da qualche parte. Lui non ammette nulla. (...)
Piero è
quasi fuori di sé per la furia. Zildo, secondo lui, è un
traditore e un infedele, nero, e addirittura quasi turco! A parte
questo, non è entrato in dettagli. Tutto quello che si sa è
il fatto che lui, Piero, è senza più lavoro, deperito ed
esangue per mancanza di cibo, infagottato e tremante di freddo, e si aggira
desolato per le Zattere in cerca di lavoro.
(...)
La parte
che non mi piace è che il padre di Zildo ha dato il lavoro di Piero
a Carlo e che Carlo e Zildo sono quel che Zildo e Piero erano fino a quindici
giorni fa. (...)
Non lo approvo
affatto. Carlo ha sempre avuto un lavoro di cui vivere, anche se povero,
è vero, al traghetto di suo padre. (...) Ma lo sfortunato
Piero è il più vecchio di una dozzina di fratelli, e il padre
non è in grado di aiutarlo (...) e oltre a ciò so
che [Carlo] ha in sé i semi del traditore nato, congenitamente
incapace di rimanere fedele a qualcuno a lungo. (...)
Ho parlato
con Carlo quel 20 gennaio, quando li ho incontrati sulle Fondamenta. Zildo
ci ha lasciati assieme mentre portava un carico di legna da ardere in una
casa in una calle, lasciando Carlo a far la guardia alla barca.
"Com'è
andare a letto con Zildo?", gli ho chiesto a bruciapelo.
"Sior, è
molto pesante" [in italiano nel testo, NdR], e nel suo piacere mi devasta
per un'ora, e mi soffoca".
"E tu?".
"Venti,
trenta, quaranta colpi fra le dolci montagne e poi buonanotte fra le sue
braccia".
Zildo è
tornato e gli occhi di entrambi scintillavano come fiamme. Che razza di
semplici diavoletti sono!
Ed
ora ho una vera notizia per te. Ho avuto il povero caro Piero tutto per
me ieri mattino alle Fondamenta Nuove. Stavo passeggiando e l'ho incontrato
nel suo disperata vagabondaggio quotidiano in cerca di lavoro. (Signore,
quanto mi sanguina il cuore per questo!).
Gli ho dato
cinque franchi da parte tua e l'ho portato in una trattoria e l'ho riempito
di polenta e vino. Poi gli ho spremuto il cervello per una buona ora; ed
ho scoperto tutto. È spaventosamente buffo - perfino delizioso.
Il suo modo di definire Zildo e il suo comportamento, modo di fare, pensieri
parole ed opere è "brutto" [in italiano,
NdR]. Nulla di più grave di questo. Ma BRUTTO!!" [6]. |
L'epilogo di
questo piccolo dramma umano è ahimè prevedibile: Piero si
vende a Rolfe, come egli rivela il 27 gennaio 1910:
"Mi
sembrava che fosse arrivato il momento di mettere da parte la circospezione
e la prudenza. E così ho fatto.
(...)
Piero mi
ha incontrato secondo l'appuntamento sulle Fondamenta Nuove. Gli ho spiegato
esattamente come stavo in quanto a denaro, e gli ho offerto di dargli tutto
quel che mi rimaneva di tuo per i suoi bisogni, oppure di andare a spassarcela
per un giorno. Ha immediatamente scelto la seconda opzione. "Il mio spasso
è stare col mio paròn", ha detto. Immaginati un gran
ragazzone di diciassette anni che è dolce in questo modo.
(...)
Così
abbiamo preso il vaporetto per Burano
dove abbiamo pranzato con bistecche e formaggio e vino non nell'albergo
dove sei andato tu ma in un altro nella strada.
Signore, come lo abbiamo divorato!
È
stata una giornata diabolica: neve per tutta la notte e la neve a Burano
alta un buon metro e continuava a nevicare.
[Dopo pranzo]
io e Piero siamo saliti al piano di sopra. Non ho mai visto nessuno
spogliarsi dei suoi vestiti come ha fatto lui, come un lampo bianco: deve
essersi slacciato le scarpe e sbottonato tutto mentre saliva. Poi si è
girato verso di me. Era tutto scarlatto, arrossiva di piacere, i suoi occhi
brillavano e le sue dita tiravano i miei vestiti con impazienza. E il suo
uccello - mio Dio!
Appena mi
sono spogliato del mio guernsey egli si è gettato sul letto,
di traverso come sa che mi piace, la gola in su, caviglie incrociate, cosce
chiuse e corpo in attesa.
La stretta
di entrambi è stata stupefacente. Non ho mai saputo di poter amare
od essere amato così appassionatamente con così tanta parte
di me da così tanta parte di un altro. Abbiamo semplicemente cavalcato
assieme. Nemmeno una briciola di me non ha fatto la sua parte. E la fine
è arrivata nello stesso momento per entrambi. Una lunga astinenza
ci aveva fatto perdere l'autocontrollo. Lui non riusciva, semplicemente
non riusciva ad aspettare il suo turno, e ci siamo avvinghiati ansimando
e zampillando torrenti: torrenti. Poi abbiamo riso e ci siamo baciati,
rotolati e puliti a siamo andati a letto per dormire, abbracciati. Il suo
respiro era delizioso. Premeva il suo bel petto e ventre sul mio, e le
nostre braccia e gambe si allacciavano assieme. Così ci siamo fatti
un sonnellino. (...)
Venezia, 1915
circa
Abbiamo preso
il vaporetto delle 5:30 per tornare a Venezia. Al ritorno era commovemnte
al massimo grado. Che amante che è quel ragazzo!
Ha detto
che Zildo è niente in confronto a me, che di tutti i piaceri che
ha goduto nulla ha mai eguagliato questo pomeriggio. E per quel che riguarda
le ragazze, che si dannino Zildo e Carlo per loro. Erano "brutte" e non
gli avevano mai permesso di credere che potesse essere bello come è
stato. Potrei comandargli di venire a stare da me? No, ciò era impossibile:
quando fossi stato in grado di prendere un piccolo appartamento per conto
mio, allora avrebbe potuto venire a vivere con me. Quando? Non lo sapevo.
Per favore, Sior, faccia che sia presto.
Ho chiesto
se ti servirebbe se tu venissi qui. È arrossito. "Sono il servitore
del paròn e gli obbedirò sempre, ma, siòr,
la prego di poter dormire qualche volta fra le sue braccia". La parola
che usa per l'atto è "ciavar" ["unlock" NdR]. Ha detto
che la mia chiave ha aperto [unlocked] la sua <serratura>
con grande facilità; se io volessi che provasse la tua chiave
farebbe del suo meglio molto volentieri. Ma potrei insegnargli a parlare
inglese in modo da poter superare quel brutto Carlo? (...).
Quando ci
siamo lasciati, gli ho dato gli ultimi 2 franchi che mi rimanevano e gli
ho promesso di scriverti immediatamente" [7]. |
Ecco cos'era
la Venezia di quegli anni. Quella, per intenderci, di cui Oscar Wilde
scrisse in una lettera:
"Vorrei
che mi scrivessi di Venezia: è veramente assurdo. (...) Le
marchette in gondola sono grottesche" [8]. |
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Gondolieri
d'inizio secolo.
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L'autore ringrazia
fin d'ora chi vorrà aiutarlo a trovare immagini e ulteriori dati
su persone, luoghi e fatti descritti in questa scheda biografica, e chi
gli segnalerà eventuali errori contenuti in questa pagina. |
Note
[1]
Per notizie su Rolfe e la sua omosessualità, si veda:
-
Miriam Berkovitz,
Frederick Rolfe, Baron Corvo, Putnam, New York 1977;
-
Brian Reade, Sexual
heretics, Coward-Mccann, New York 1971, pp. 42-45 e 302;
-
Alfonse
J. A. Symons, Alla ricerca del Baron Corvo, Longanesi, Milano 1966
(e su Symons stesso si veda la bella pagina in francese: Baron
Corvo - A la recherche d'A.J.A. Symons);
-
Angiolo Tursi,
La morte di Frederick William Rolfe a Venezia, in: Symons, Op.
cit., pp. 349-373;
-
Donald Weeks, Corvo,
Joseph, London 1971.
Online si
veda:
[2]
Citato in: Robert Aldrich, The
seduction of the Mediterranean, Routledge, London and New York
1993, p. 93.
[3]
Da: Frederick Rolfe,
Il desiderio
e la ricerca del tutto [1909-1910]. La traduzione è mia.
Nell'edizione italiana, Longanesi, Milano 1963, questo brano è a
p. 173.
[4]
Citato in: Donald Weeks, Corvo, Joseph, London 1971, pp. 306-308,
integrato in una lacuna con Aldrich, Op. cit.,
p. 182.
[5]
Citato in: Weeks, Op. cit., p. 309.
[6]
Citato in: Weeks, Op. cit., p. 310-312.
[7]
Citato in: Weeks, Op. cit., p. 312-313.
[8]-Vita
di Oscar Wilde attraverso le lettere, a cura di Masolino D'Amico, Einaudi,
Torino 1977, p. 554.
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