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Recensione di Giovanni Dall'Orto
Un delizioso gioco letterario sul contrastato amore fra Sherlock Holmes e... Watson
Ricordo
che quando
nel 1988 uscì questo libro
per le edizioni "Gay Men's Press" ne notai la pubblicazione come una
bizzarria che poteva capitare solo all'estero: chi mai, in Italia, avrebbe
saputo apprezzare il gioco letterario di prendere un celebre personaggio
letterario, e scriverci su un pastiche nel quale il suo carattere
veniva riletto in chiave gay? Nessuno, ovviamente.
Un quarto di secolo più tardi molta
acqua è passata sotto i ponti, e il concetto di fan-art
(grazie alla Rete) è ormai cosa di tutti i giorni. Abbiamo riscritture
"gay" perfino di Star Trek o di Harry Potter, anche su Youtube, per non
parlare dei fumetti giapponesi.
A dire il vero questo libro non appartiene
in senso stretto alla fan-art, e per un aspetto importante: è
scritto benissimo e gli manca la patina del "dilettantismo" che caratterizza
la fan-art.
L'autrice scrive infatti in modo professionale,
dimostrando una capacità mimetica sopraffina.
Riesce così a "ricreare" il celebre
racconto del "Problema finale" integrandoci un aspetto omosessuale "insospettato"
ma perfettamente congruente col resto della vicenda, trasfigurandola in
modo assai divertente. Ed essendo questo un gioco letterario, per essere
apprezzato deve risultare divertente.
L'altro racconto del volumetto, "Un'indagine riservata", ri-racconta le circostanze in cui Watson e la moglie s'erano conosciuti, sullo sfondo d'un caso di ricatto. Mrs Watson è una donna lesbica, oltre tutto piuttosto cosciente di sé, cosicché il matrimonio fra lei e Mr Watson è a tutti gli effetti un matrimonio di copertura. La signora Watson ha infatti un suo circolo di signorine decisamente emancipate che frequenta con la massima discrezione, mentre il signor Watson dimostra minor buonsenso, frequentando soldatacci e proletari venali, ai quali si presenta come "James". (Il suo nome sarebbe "John", ma qui l'autrice si diverte con un gioco di parole, perché "John" è il termine gergale che in inglese indica il "cliente di prostituto").
In realtà il cuore di Watson appartiene
a Sherlock, e il matrimonio è stata solo una mossa dettata dalla
disperazione causata dall'ostinato rifiuto di Holmes di riconoscere il
loro amore. Nonché un modo per mettersi al riparo dalla tempesta
in arrivo, dopo l'arresto
e la condanna di un certo Oscar Wilde.
Vi toglierò un poco di gusto anticipando
che alla fine la costanza di Watson sarà premiata (dopo la prematura
scomparsa della moglie), ma in fondo in un libro di questo tipo un "lieto
fine" del genere è ampiamente prevedibile.
Su Anobii qualche recensore ha trovato
poco credibile il modo in cui la Piercy descrive i patemi d'animo zitelleschi
di Watson e Holmes, giudicati più in stile con la scrittura della
Austen che con quella di Conan Doyle, tuttavia io non condivido questo
parere.
La condizione umana dell'"invertito" nell'Inghilterra
vittoriana era veramente tale da indurre sentimenti di paranoia
venata d'autocommiserazione. Se l'omosessuale si sentiva perseguitato era
perché lo era davvero, e se si lamentava della sua triste
condizione era perché la sua condizione era triste per davvero.
L'autrice ha sicuramente letto testimonianze letterarie autentiche degli
omosessuali dell'epoca, che hanno a tratti o la stessa petulante autocommiserazione
che qui troviamo nei patemi d'animo di Watson, o l'inumano autocontrollo
delle proprie emozioni "illecite" che è qui attribuito a Holmes.
Piercy ha sfruttato magistralmente i silenzi
che da bravo vittoriano Conan Doyle aveva fatto calare sulla vita affettiva
dei suoi personaggi, trasformandoli in eloquenti censure che proprio in
base alla loro ampiezza lasciavano intuire le dimensioni del "non detto".
A mio parere, dunque, non solo la ricostruzione
in chiave "teatrale" delle emozioni dei due protagonisti non è affatto
sbagliata, ma è a sua volta un ulteriore esempio delle capacità
mimetiche dell'autrice.
Ciò considerato, resta il fatto
che questo libro nasce da un gioco, per offrire un divertimento malizioso
agli appassionati di Sherlock Holmes, che potranno apprezzare il modo in
cui il mondo creato da Conan Doyle è stato ripreso e ricreato senza
tradirlo.
Tuttavia il libro è scritto talmente
bene che per me ha funzionato alla rovescia: solo dopo averlo letto
sono andato a comprarmi i racconti di Sherlock Holmes - che ho trovato
assai fascinosi, ma un po' ripetitivi - riuscendo in questo modo ad apprezzare
ancora di più il lavoro di questa autrice britannica.
È una lettura consigliata tanto ai fans di Sherlock Holmes quanto a coloro che, come me, non ne avevamo mai letto le avventure. Ovviamente è consigliabile agire nel modo inverso rispetto a me (prima lo Holmes originale, poi questa parodia), perché in questo modo si apprezzerà meglio il lavoro di ricostruzione minuziosa compiuto dalla Piercy, ma lo ripeto: questi due racconti hanno comunque meriti letterari autonomi e sono godibili anche da parte di chi non sia un fan di Sherlock Holmes.