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Michael Moorcock, I.N.R.I., "Urania collezione" n. 102, luglio 2011 [1967].
 
Copertina di ''I.N.R.I.'', di Michael Moorcock.

[Fantascienza con personaggi lgbt]

Recensione di Giovanni Dall'Orto


Guardate che nessuno ha mai stabilito che se si vuole fare Letteratura occorre usare un protagonista psicopatico...

Ok, adesso ci mettiamo bravi bravi attorno a un tavolo, io e voi che nelle vostre recensioni in giro per la Rete avete dato o intendete dare cinque stelle a questa roba qua, e mi raccontate alcune cose della vostra vita.

Intanto, mentre parliamo, gradite una tazza di tè?


Allora. Una madre fredda e incapace di comprendervi, un padre letteralmente assente, preti che da ragazzino vi violentano, ragazze una più stronza dell'altra (l'ultima vi lascia addirittura per una donna!), un mondo che fin da bambino vi odia e vi perseguita (troppo facile: siete pure ebrei...), e voi stessi, divorati da tendenze autocommiserative, masochistiche e suicidali, incapaci di trovare un senso nella vostra esistenza al punto da cercarlo (invano!) in varie branche della psicoanalisi (preferibilmente junghiana) o vari culti assortiti.
Questo sarebbe il quadro della vostra vita.
E voi come la definite? "Divina"? "Artistica"? "Geniale"?
Ne dubito fortemente.
E allora perché se un Moorcock qualunque affida a un cretino di tal fatta il ruolo di protagonista, il romanzo diventa ex abrupto un capolavoro letterario? A meno che voi siate sadici, e proviate piacere nel vedere soffrire un altro essere umano (e a questo punto il dubbio che possa essere proprio così ce l'ho) non capisco proprio il sugo di leggere con godimento necrofilo il racconto del tuffo verso il suicidio ultra-assistito di questo idiota.


Chiariamo subito: io sono "ateo credente e praticante". A me il fatto che questo tizio, questo Glogauer, si offra volontario per collaudare la prima scalcinata macchina del tempo a patto di poter andare a conoscere fra tutti proprio Gesù (per vedere se almeno Lui riesce a salvarlo dalle sue nevrosi), mi fa un baffo. Se si supponeva che io dovessi provare eccitati brividi di trasgressione e magari che fossi perfino épaté, mi spiace: il sentimento prevalente mentre leggevo questo I.N.R.I. era la banalissima noia.

E chi crede di scandalizzare facendo di Maria una prostituta e del Gesù storico un demente, semplicemente non conosce la storia: esiste una tradizione antica (attestata già in Celso) che dice proprio che Gesù era figlio d'una prostituta (o di una donna ripudiata dal marito, il che all'epoca era la stessa cosa) e d'un soldato romano (che non era suo marito), del quale ci tramanda addirittura il nome, Panthera. Quindi, se Moorcock voleva stupirci con la sua trovata, è arrivato un po' in ritardo, diciamo di 1850 anni. Ed anche con meno dettagli piccanti...

Certo, vero, d'accordo, il libro va contestualizzato. È del 1967, quindi risale a prima della grande ondata di letture anti-autoritarie ed anti-conformiste dei testi sacri dei cristianisti, avvenuta dopo il 1968. Quindi, effettivamente, ai lettori originali qualche scandalizzato frisson di scandalo lo avrà anche provocato (non a caso questo romanzetto ha pure vinto un premio Nebula... e magari all'epoca  la cosa un suo senso ce l'aveva anche!). Peccato però che oggi siamo nel 2011 e ripubblicando quest'opera l'editore s'è assunto la responsabilità implicita d'affermare che può essere ancora valida nell'anno corrente. E secondo me non lo è.


Perché, e scusate l'apoditticità, secondo me solo un lettore superficiale può trovare "interessante" questo guazzabuglio.

Dal punto di vista narrativo, ha il ritmo d'un cane zoppo. Ogni volta che la narrazione inizia ad avere un poco di ritmo, paf!, ecco un'altra endovena di ansimanti patemi esistenziali del protagonista. Metà del libro è dedicata ad essi (e considerato che il romanzo è breve di suo, tolta questa parte illeggibile resta alla fine un racconto, che era la dimensione giusta per questa narrazione: e in effetti come racconto, senza i rant esistenziali, questo sarebbe un bel racconto).
Ok, ok, l'autore desidera ben motivare la volontà suicidale del suo protagonista (che è talmente bizzarra che anche arrivati alla fine non la si capisce comunque) e bla bla.
Il punto è però che non comprendo che bisogno ci fosse di "motivare": il personaggio è suo, l'ha creato lui, quindi se ci fa sapere in tre righe all'inizio che si tratta d'un masochista psicopatico, noi gli crediamo: è il bello della letteratura! Se ci dici che il tuo personaggio si chiama Harry e frequenta una scuola di magia, noi ti crediamo, anche se le scuole di magia non esistono, giusto per vedere cosa ci tiri fuori, da questa premessa. Quindi, se sai scrivere, non hai bisogno di continuare a infilarci, ogni tre paragrafi, trattati sul senso del sovrannaturale e sulla possibilità dell'evento magico...

Dal punto di vista filosofico - tanto lodato nelle recensioni in Rete - poi, va ancora peggio. La tesi centrale del romanzo è decisamente datata, e non ha retto agli anni. Moorcock postula infatti che dietro all'evento religioso esista un non meglio precisato bisogno sociale e collettivo dello Zeigeist che "crea" per generazione spontanea (?) il "fatto"  religioso, anche in assenza d'un fatto vero e proprio. In altre parole, è la narrazione (in senso postmodernista) religiosa che genera i fatti religiosi, e non il contrario.
Ebbene: a qualcuno questa bizzarra tesi suona anche banalmente fondata? Ogni giorno viene fondata una nuova religione, e "dietro" non ci sono "narrazioni", bensì persone (molto) in carne ed ossa con interessi materiali molto concreti e mire molto precise: altro che "narrazione collettiva" ed anonima! Fondare una religione è un'operazione di marketing, come dimostrano smaccatamente realtà come Scientology.

Eppure qui la mitopoiesi collettiva è tanto potente che Glogauer deve solo preoccuparsi di non contraddire la narrazione recepta su Gesù, perché a tutto il resto, a tutti i dettagli (perfino il nome), ha già provveduto in anticipo la mitopoiesi stessa. Che chiede solo che qualcuno incarni il tipo di personaggio di cui sente il bisogno, così come perché un abito d'alta moda possa sfilare in passerella occorre un modello che lo indossi.
Glogauer si limita quindi a scivolare nel ruolo che la storia (intesa come fabula, non come Storia umana) gli ha già predisposto, ed oplà. Postmodernismo allo stato puro: non esistono fatti, non esistono eventi, esistono solo narrazioni...

Per finire, dal punto di vista storico... Anzi no, qui voglio fare il bravo e non prendere un romanzetto di fantascienza per ciò che non può essere, ovvero un saggio di storia. Mi limito solo a dire che anche la visione storica di Moorcock è datata, e che in questo romanzo ci sono troppi esseni e troppo pochi zeloti, troppo Qumram e troppo poca Masada, e chi conosce la storia del periodo avrà già capito.
La sola cosa che ho apprezzato è un Pilato un po' più a tutto tondo di quanto non sia descritto normalmente, che definirei un personaggio letterario riuscito. Ma è solo un personaggio fra molti.


Nel giudicare questo romanzo ho tre termini di paragone, davanti agli occhi: Il vangelo secondo Gesù Cristo di José Saramago  (1997); Lo specchio di Dio (titolo originale: Jesus video) di Andreas Eschbach  (1997); e L'ombra del nazareno di Gerd Theissen (1986).
Aggiungendo I.N.R.I. siamo a quattro romanzi sullo stesso personaggio storico, e solo uno mi ha soddisfatto, quello di Saramago. Che è quello che si definisce, lui sì, un vero grande scrittore (Premio Nobel). E allora se mi date cinque stelle al primo Moorcock che passa, cosa facciamo poi con Saramago: consumiamo una galassia solo per avere stelle a sufficienza per lui?

Il romanzo di Eschbach è quello che è più ovvio confrontare con I.N.R.I.: anche qui fantascienza, anche qui un viaggio nel tempo verso il Golgota. Ed anche qui un flop: un'idea di partenza assolutamente geniale (il Codice da Vinci, al confronto, è roba per educande) e poi uno svolgimento disastroso (corse avanti e indietro per i deserti, inseguiti da agenti di servizi segreti assortiti: banalissimo LAPD in salsa desertica...).
Da parte sua Theissen, un teologo, ha fatto una bella e leggibile opera di divulgazione narrativa, che si lascia leggere, ma alla fine inciampa nell'agiografia, e buona notte alla narrativa – ed è un peccato.
Solo Saramago ci salva, mostrando che è possibile affrontare "letterariamente" un personaggio come Gesù (storico o mitico che sia, non importa), essere "blasfemo" giusto quel tanto che basta per evitare di mancare di rispetto al personaggio stesso, e soprattutto, creare notazioni psicologiche vere, profonde, vibranti.

Il Gesù di Moorcock sceglie di farsi crocifiggere per evitare che crolli la sola speranza di certezza che nella sua nevrosi era riuscito a individuare. Sceglie di sacrificarsi per evitare che vengano messe in dubbio le speranze irrazionali, le uniche che abbia mai trovato.
Il Gesù di Saramago, al contrario, disobbedisce a un Dio pieno di sé decidendo di farsi crocifiggere come re degli ebrei, cioè come sovversivo politico, per evitare che qualcuno lo prenda per figlio di quel Dio che non ama e non rispetta, e fondi una religione che, come tutte le religioni, sarebbe pazza e ingiusta. Il suo gesto è inutile, ovviamente, ma almeno lo sforzo di dignità l'ha fatto, ed è questo ad averlo reso "grande".
Tutto all'opposto Glogauer, che sacrifica la vita per impedire che il velo di Maya venga squarciato, che preferisce morire pur di mantenere in piedi la rete di bugie a cui è affezionato. E sulla croce le sue ultime parole saranno: "È tutta una bugia, tiratemi giù!" (ed è per questo, per salvare una bugia, che ha deciso di morire? Wow!).

Il Gesù di Saramago si ribella all'Oppio dei popoli, quello di Moorcock sacrifica la vita affinché essi possano continuare ad avere le loro dosi.
Il primo è un uomo che come Giacobbe tiene testa a Dio e combatte contro di lui pur sapendo che è vano, il secondo è uno squallido pusher che agli dèi che ha scoperto essere inesistenti offre con voluttà masochistica tutto, perfino ciò che nessuno s'è mai sognato di chiedergli, allo scopo d'impedire che gli altri conoscano la verità.
Il protagonista della narrazione dei Vangeli dice che "La verità vi renderà liberi". Il protagonista di I.N.R.I., invece, è terrorizzato letteralmente a morte dall'idea che la razza umana scopra la verità e si liberi da bugia plurimillenarie...


Ecco, adesso me lo spiegate cosa abbia di grandioso questo personaggio, questo sacerdote della Bugia.
Questo non è Edipo che lotta eroicamente contro il Fato avverso: questo è Masoch che non riesce a resistere ad un'occasione troppo ghiotta per godere a farsi male in modo definitivo.
Oggi una persona così potrebbe indubbiamente fare carriera come ottuso portabborze facilmente sacrificabile in un partito politico... meglio se di destra. Però la vorreste come amica? La vorreste come partner? Lo vorreste Glogauer a cena a casa vostra?
Siate sinceri e rispondete... ma davvero vi sembra un personaggio riuscito?

Mentre pensate alla risposta, lo gradite, ancora un po' di tè?


P.S. La solita copertina uraniana coi pupazzetti in computergraphic, questa volta, con un Gesù tutto cromato (che manco sul cofano dell'auto di un narcotrafficante...) ha superato ogni limite d'indecenza.


 
 
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