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[Fantascienza con personaggi lgbt]
Recensione di Giovanni Dall'Orto
Quando l'utopia ecofemminista sogna la Grande Sorella.
Questo curioso romanzo di fantascienza "a tesi" è costruito intorno a due assiomi: (1) l'aggressività è un tratto "biologicamente" maschile, e (2) questo tratto, se non sradicato dalla razza umana, tende a distruggerla attraverso l'autoritarismo di stampo fascistoide, e il conflitto fine a se stesso.
La
vicenda è ambientata in un futuro successivo di duecento anni all'Olocausto
nucleare, dal quale la civiltà sta faticosamente rinascendo grazie
a una forma di benevolo matriarcato che ha adottato la soluzione
del formicaio: alle donne spettano tutte le attività lavorative
e la gestione politica, ai troppo-aggressivi maschi spetta unicamente la
difesa delle città-stato (in stato di endemica guerra fra loro).
La
riproduzione avviene durante appositi periodi di "carnevale" in cui le
donne si accoppiano liberamente coi soldati, usciti dalla loro caserma-cittadella.
Le
bambine nate da questi accoppiamenti sono allevate nelle famiglie delle
madri, mentre tutti i bambini, passata la prima infanzia, crescono nelle
caserme, da dove possono uscire di tanto in tanto per far visita alle famiglie
d'origine; alla maggiore età possono scegliere poi se rimanere per
tutta la vita in caserma come soldati o uscirne, venendo sterilizzati e
servendo (come miti tuttofare) le matriarche.
Questo
complicato castello fra le nuvole si comprende meglio come risposta alle
distopie del "mondo
senza maschi" e del "mondo
senza donne" su cui si stava combattendo in quegli anni (il libro è
del 1988) nella narrativa fantascientifica.
Qui
il carattere deliberatamente paradossale delle distopie dei mondi basati
su un solo sesso è stemperato in una costruzione, più credibile,
nella quale si tiene conto del fatto che l'attrazione sessuale non può
essere certo sradicata a comando, come invece presumono (ridicolmente)
di poter fare tutte le distopie del "mondo senza".
L'unico neo di questo castello in aria è proprio l'omosessualità, che scompiglia il determinismo studiatissimo con cui questo formicaio super-totalitario pretende di dirigere le vite di tutti gli abitanti. E allora l'autrice se ne sbarazza con una capriola: a p. 49 apprendiamo che esistono alcune donne ed anche alcuni uomini che non amano l'attività sessuale eterosessuale, per un problema "fisiologico o a volte psicologico", ma alle pp. 64-65 scopriamo anche la soluzione all'arcano: la
Il romanzo si regge anche grazie al confronto con una società anch'essa post-Olocausto ma iper-patriarcale, nella quale un cristianesimo fanatico e oscurantista tiene le donne letteralmente in schiavitù. Ovviamente è superfluo dire quale delle due società esca vincente dal confronto...
Ma
le cose non stanno come sembrano, e col proseguire della narrazione cresce
il sospetto che lo stato di costante guerra in cui si trovano le città-stato
matriarcali serva fondamentalmente a sfoltire i ranghi degli inutili,
aggressivi e irrazionali maschi.
E
alla fine si scoprirà che effettivamente le cose non stavano esattamente
come sembravano, e che in realtà è in corso un colossale
esperimento di eugenetica, e che...
Non
aggiungo altro.
Colpisce il fatto che l'autrice, nella sua ansia di tenere in piedi il suo castello basato su assiomi che non era in grado di dimostrare, si sia sbarazzata della principale contraddizione logica (l'omosessualità) facendo ricorso a un ulteriore assioma non dimostrato. Ma nella realtà una società costruita come la sua, lungi dal costituire il trionfo dei rapporti "politicamente iper-corretti" fra i sessi, concederebbe un vantaggio comparativo alle coppie omosessuali, ed ovviamente vedrebbe sfuggire di mano proprio i maschi omosessuali, che a quel punto non avrebbero più la minima necessità di tornare periodicamente fra le donne, "addolcendosi". Ecco perché la Tepper decide di eliminarli dal quadretto... e lo fa barando, cioè inventandosi "scompensi ormonali in gravidanza" che nessuno ha mai trovato nella realtà.
Il
fatto è che questa che vuole presentarsi come un'utopia positiva
si rivela, specie dopo avere appreso quale segreto nascondano gelosamente
le matriarche, una "benevola" tirannia sulla falsariga di quella di Pol-Pot,
disposta a sacrificare la vita di migliaia di persone senza batter ciglio,
"per il bene supremo della collettività" (basterà dire che
le matriarche rifiutano, nonostante la loro medicina sia assai avanzata,
visto che riescono a correggere difetti genetici in utero, di curare i
soldati feriti dopo le battaglie. Il massimo che concedono ai sofferenti
è l'eutanasia, ma niente cure, e niente antidolorifici. Le
matriarche sono quindi, semplicemente, delle sadiche naziste).
Da
questo punto di vista la Tepper ha presentato sotto luce positiva proprio
quanto paventato da alcuni maschilisti arrabbiati, che anni prima avevano
iniziato a coltivare il sotto-genere del "mondo senza maschi" descrivendolo
come un formicaio da incubo in cui a parte l'ape regina tutti gli individui
sono cloni standardizzati.
Peccato, perché di per sé il romanzo è ben costruito, ed ha anche qualche pretesa letteraria coltivata con esiti non infelici (le riscrittura delle tragedie greche antiche, recitate dalle donne nelle loro feste stravolgendole in modo da far loro rispecchiare e giustificare l'ideologia del loro matriarcato, è tutto sommato divertente, e riuscita).
Insomma,
la vicenda si regge in piedi, il progressivo disvelamento funziona, quindi
la macchina della narrazione funziona.
Sono
proprio gli assunti di partenza ad essere bacati, e a trascinare
con sé la credibilità di tutto il castello di carte edificato
poggiando su di essi.
Peccato.