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Leone Ebreo, Dialoghi d'amore, Laterza, Bari 1929 [1501?].
 
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[Saggio con tematiche lgbt]

Recensione di Giovanni Dall'Orto


Un trattato neoplatonico rinascimentale.

Opera d'un grande filosofo ebreo rinascimentale, il medico Jehuda/Giuda Abarbanel/Abravanel (detto "Leone Ebreo", 1460/1464 - 1521/1525), questo trattato appartiene all'epoca in cui la Controriforma non aveva ancora castrato il flusso reciproco d'idee fra cultura ebraica e cultura grecolatina (la cosiddetta "cultura giudaico-cristiana", col trattino, è una invenzione delle destre del XXI secolo: la cultura cristiana, dal sec. III in poi, si è sempre caratterizzata in contrasto con quella giudaica).

Si spiega così come si trovi, sotto la penna d'uno scrittore ebreo, un trattato neoplatonico, in cui, sulle tracce (ovviamente) del Simposio di Platone, discutendo d'amore si parla sempre al maschile di "amante" ed "amato".

In particolare si veda la discussione alle pp.:

129: interpretazione allegorica, in chiave astrologica, degli amori di Giove.
Se al momento della nascita di una persona il pianeta Giove è in segno femminile, questa congiunzione astrale

In altre parole, la tendenza sessuale di un neonato dipende dalla posizione degli astri al momento della nascita, posizione che è interpretata allegoricamente da Leone.
Le allusioni che egli fa nella citazione sopra riportata sono ai miti di Callisto (che Giove sedusse e amò con un corpo femminile, dato che essa fuggiva tutti i maschi) e di Ganimede, amante di Giove e coppiere degli dèi, trasformato secondo alcuni mitografi antichi nella costellazione dell'Acquario.

139: si descrive la nascita di Ermafrodito, seguendo la versione datane nel Centiloquium di Tolomeo, attribuendo ancora una volta la causa della tendenza omosessuale a una congiunzione astrale particolare al momento della nascita.
Infatti, i pianeti Mercurio e Venere congiunti astrologicamente al momento della nascita d'un uomo

Si noti come questa citazione dimostri come sia falsa l'affermazione, spesso ripetuta oggi dagli storici "costruzionisti", secondo cui gli antichi non erano in grado di concepire l'omosessuale come persona portatrice di una "tendenza", ma solo come un "recidivo" in un atto, quello sodomitico.
Al contrario, qui il comportamento omosessuale è presentato come frutto d'una "inclinazione" interiore dell'individuo, che lo rende "diverso" dagli altri.
E non può essere taciuto il fatto che la parola "inclinazione" deriva proprio dal termine tecnico latino inclinatio, che si usava in astrologia per indicare l'influsso astrale sul carattere d'una persona.

229-233: qui, come altrove, si discute di "amante" ed "amato"; ma alle pp. 229-230 Leone si balocca pericolosamente coi termini agente e paziente ("attivo" e "passivo") che di solito hanno nell'italiano dell'epoca un chiaro significato sessuale, usandoli audacemente in senso solo morale;

290-299: riprende il mito platoniano dell'Androgino (cfr. ancora Platone, Simposio).
Leone non parla qui di omosessualità, però interpreta il mito (anche qui con una dose d'audacia più che notevole) come un ampliamento di quanto detto nella Bibbia laddove, nella Genesi, dice che Dio "creò l'uomo maschio e femmina".
In altre parole, riprende la tradizione mistico-ebraica secondo cui il primo uomo, Adamo, fosse in origine "maschio e femmina" allo stesso tempo, e che i sessi siano stati separati solo quando la divinità estrasse (e scisse) Eva da Adamo.


 
 
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