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Recensione di Giovanni Dall'Orto
Un affascinante sondaggio nelle carte di tribunale bolognesi del Seicento.
Gli
archivi criminali del "tribunale criminale del Torrone" di Bologna
contengono ancora i fascicoli processuali di una quantità sterminata
di processi. Se in alcune città (come Milano) la povertà di materiali
sopravvissuti ostacola la ricerca storica, a Bologna sembra invece
accadere l'opposto, soffocando la ricerca sotto una mole schiacciante
di carte.
Cesarina Casanova,
da molti anni, sta setacciando questo mare, con un occhio
rivolto alla storia della giustizia a Bologna e l'altro alla "storia di
genere" e dei rapporti famigliari.
Questo libro raccoglie il risultato
del suo spoglio sistematico dei circa tremila (!) processi annui di un periodo campione, corrispondente a quello (1671-1676) in
cui fu "uditore" presso questo tribunale l'illustre giurista Gian Domenico Raynaldi (1628-1713). Questo spoglio è stato poi integrato con "saggi" a campione
degli anni 1650-1701/1702.
Casanova ha scelto tutti i casi
di questo periodo (grosso modo il 10% del totale) nei quali l'oggetto del contendere era la vita
sessuale e famigliare: in gran parte stupri e seduzione di fanciulle,
ma anche casi di sodomia (tanto eterosessuale che omosessuale).
Il tema della sodomia appare alle pp. 37-45, 61-63, 78-79, 107, 113-120
(sulla sodomizzazione delle mogli, una delle trattazioni sul tema più
dettagliate mai apparse in Italia), 172-176, 204, 207-213 (di nuovo,
sodomia eterosessuale) e 214-222 (sodomia omosessuale).
Casanova riscontra, nella persecuzione del peccato nefando, un trend
che portò le autorità, proprio nel periodo-culmine della repressione
antiomosessuale della Controriforma, a cercare più che di sradicare il
peccato di sodomia, di renderlo appunto "ne-fandum"; ossia invisibile e tale che non fosse quasi consentito nominarlo.
In altre parole, Casanova riscontra nelle autorità bolognesi del tardo
Seicento la volontà di punire questo reato in modo selettivo (ma
severo) cioè ogni volta che esso si manifestasse spontaneamente con
scandalo o querela, evitando però d'indagare attivamente per snidarlo
là dove fosse occulto e segreto.
A ciò si aggiunga che Raynaldi è fu celebre per la cautela delle sue sentenze, essendo poco entusiasta della tortura e applicando il criterio dell'in dubio, pro reo (se gli indizi non sono determinanti, la sentenza deve essere a favore dell'imputato).
Si aggiunga che la pratica della tortura che Casanova documenta nella
Bologna di Raynaldi è tutt'altra cosa delle sessioni tre- o
quattrocentesche, in cui il sospettato viene massacrato fino a quando
confessa: qui il tormento può essere inflitto anche solo per "il tempo di una Ave Maria". Non sorprendentemente, gli imputati "vincono la tortura" (ossia, riescono a non confessare) praticamente sempre.
Questi dettagli sono antidoti alla tendenza a trattare la storia della
persecuzione dell'omosessualità come un fenomeno unico e indistinto,
trascurando il fatto che essa ebbe fasi di maggiore e minore intensità
e di minore e maggiore ferocia.
Da questo punto di vista si rivela preziosa l'introduzione del libro,
che riassume in poche pagine il dibattito relativo al valore e
significato degli archivi criminali. Giustamente Casanova ricorda come
in passato si sia dimenticato, specie in certa scuola foucaultiana, che
gli archivi giudiziari ci restituiscono la storia dell'apparato giudiziario, e non quella dei crimini
e della società in cui essi ebbero luogo. In altre parole, la maggiore
o minore presenza di un reato nelle carte giudiziarie (o nelle leggi)
non indica la maggiore o minore presenza (o assenza) di quel reato
all'interno di una società, ma solo il maggiore o minore allarme
sociale che esso suscitava nel periodo studiato, e la maggiore o minore
volontà e capacità delle autorità di reprimere specificamente quel
reato piuttosto che un altro.
Questa puntualizzazione è davvero molto importante per la storia
dell'omosessualità, visto il vizio degli storici nordeuropei (e dei
loro seguaci italiani) di far "nascere" la sottocultura e il fenomeno
omosessuale nel momento esatto in cui "nascono" gli archivi di polizia.
L'unico dissenso che ho provato nel leggere questo saggio è che a mio
parere l'autrice sopravvaluta la natura "clemente" della commutazione
delle condanne a morte per sodomia nella pena della galera, un fenomeno
sempre più diffuso nel Seicento e Settecento, fino a diventare di fatto
lo standard. Le galere
macinavano le vite umane, di cui erano sempre affamate, chiedendo
perciò ai giudici di non "sprecare" sulla forca o sul rogo le braccia
in grado di remare.
Ad ogni modo, il fenomeno della diminuzione delle sentenze capitali per
sodomia, rilevato da Casanova a Bologna, ha effettivamente riscontro in
tutta l'Europa continentale, soprattutto dall'inizio del Settecento in
poi.
Nello
specifico, Casanova documenta come, nel caso preso in esame, la
Giustizia bolognese mirasse più che a "giustiziare" i rei, a porsi come
arbitro per forzarli ad una composizione, di solito sotto forma di
risarcimento economico, alla famiglia della vittima, con il minore scandalo possibile.
Tale atteggiamento Casanova riscontra anche nei casi di sodomia
eterosessuale e di stupro di ragazzini. L'esame della sodomia
eterosessuale di fatto conferma anzi che la pretesa equiparazione fra
sodomia etero ed omosessuale nel Diritto antico era una finzione
ideologica, dato che nella prassi i due fenomeni furono trattati in
modo ben diverso.
Non
essendo interessata nello specifico alla storia dell'omosessualità (il
che non vuole dire che la trascuri o la censuri, dato che Casanova
riporta sempre col massimo scrupolo i dati sull'argomento ogni volta
che l'analisi che sta facendo lo richiede) questo saggio tratta
purtroppo piuttosto rapidamente di casi che nell'ottica della
storiografia gay avrebbero meritato più attenzione (e questo potrebbe
essere allora il compito di qualche storico futuro).
Il caso che mi ha colpito di più fra gli accenni è a p. 204 (Girolamo Bacoli,
processo iniziato il 28 settembre 1672). Qui, nel fin troppo
dettagliato elenco di delitti di cui si autoaccusa un giovane membro
d'una banda di ladri, al quale era stata promessa l'impunità in cambio
della denuncia dei suoi complici e dei loro reati, emerge una relazione
omosessuale con un altro imputato e complice, Giovanni Maluccelli.
I due amanti s'erano incontrati spesso, nel corso degli anni, avendo
"cinquanta o sessanta" rapporti sessuali consensuali, raggiungendo
entrambi l'orgasmo.
Questa confessione può sembrare superflua in quel contesto, invece
l'imputato, forse ben consigliato da un avvocato, aveva approfittato
dell'impunità per "disinnescare" questo reato, di cui avrebbe potuto
essere accusato per ritorsione da Maluccelli, se costui fosse stato catturato e interrogato (l'impunità valeva solo se la confessione era completa).
Anche l'aver specificato di aver raggiunto l'orgasmo è importante,
perché fa coprire dall'impunità anche la circostanza che non s'era
trattato di stupro bensì di atto consensuale, cosa che rendeva reo di
morte Bacoli per la "consuetudine" e la reiterazione del reato.
La relazione fra questi due uomini ha qui lasciato una traccia nella
storia per caso, emergendo nel mezzo di un'indagine per furto di
bestiame e rapine, ma è un esempio di quella massa di relazioni che non
possono non esserci state e che però non hanno quasi lasciato traccia
negli archivi, perché fra adulti consenzienti e in privato, laddove i
processi conservatici sono una monotona sequenza di stupri di bambini e
preadolescenti, oltre che di atti sessuali in luoghi pubblici.
Un esempio del ruolo giocato dalla "pubblicità" nella condanna è il caso di un ciabattino, tale Giuseppe de Biasi, discussa alle pp. 218-220, e conclusa con l'impiccagione il 6/2/1686. Il reo aveva avuto con un 17enne, Girolamo De Santis, una relazione durata cinque anni, ostentata anche in pubblico tramite manifestazioni d'affetto. Giustamente Casanova sottolinea come fossero stati proprio questi elementi a fare scattare la pena capitale, laddove altri casi, perfino di stupro, s'erano conclusi più mitemente con una multa, o con l'esilio.
In conclusione, questo è un testo che, pur non avendo per tema la storia dell'omosessualità a Bologna, fa compiere passi avanti alla ricerca su questo argomento,
permettendo d'intuire quale mole immensa di casi (non necessariamente
conclusi con la pena capitale) sia ancora in attesa di analisi
nell'archivio del Torrone.