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Recensione di Giovanni Dall'Orto
Cecco Angiolieri omosessuale? In realtà, no.
Considero sprecato, il tempo che ho dedicato a leggere quest'opera. L'autore, che a pagina 69 si definisce “italianista autodidatta”, afferma di avere acquisito una tale conoscenza intima di Cecco Angiolieri e del suo linguaggio, da riuscire a riconoscere a colpo d'occhio una sua composizione, anche se attribuita ad altri. Sulla base di questo criterio scientificissimo, procede ad attribuire all'Angiolieri una caterva di composizioni di autori del Trecento, dando come unica giustificazione il suo personalissimo “fiuto”. (Cercando notizie sull'autore ho scoperto che ha scritto un libro in cui attribuisce anche il Decamerone a Cecco Angiolieri, e qui, vabbè, passiamo dall'eccentricità al ridicolo).
L'Angiolieri è definito a volte bisessuale, a volte omosessuale (come se fosse la stessa cosa), ma senza mai spiegare su quali basi (a p. 67 l'autore si lagna perfino di non essere mai riuscito a convincere nessuno della cosa: chissà perché), nonostante l'omosessualità sia invocata più volte per “chiarire” il senso di composizioni qui antologizzate, tutte a carattere eterosessuale. Questo libro è quindi inutile anche dal punto di vista della storia dell'omosessualità.
A p. 30 ci non ci facciamo mancare neppure la battuta omofobica, tramite la richiesta di non lasciarsi ingannare dalle proteste di virilità fatte dall'Angiolieri, perché “nonostante” esse egli era bisessuale.
Abbastanza
ironico poi il fatto che all'autore sia sfuggito come la
prima serie di sonetti che analizza, tramandatici anonimi, contenga
già (alla pari della rimeria dei poeti perugini della cerchia di Cecco Nuccoli e Marino Ceccoli) i
doppi sensi sessuali che sarebbero poi stati tipici della poesia
burchiellesca prima, e bernesca poi. Così a p. 24 Amore (a cui è
indirizzata la poesia) è il membro virile in erezione, la Morte
invocata come rimedio alle pene d'Amore a pagina 26 è l'orgasmo,
l'”amico” di p. 36 è il pene, e così via. Si tratta di
anfibologie già presenti nei Carmina
Burana
(per esempio in Heu
frater, adjuva,
in cui il “fratello/frate” è il pene, esattamente come lo
sarebbe stato poi nella successiva poesia burchiellesca). Letta
in questa chiave, la silloge anonima qui commentata diventa una
ghignante satira della rarefatta rimeria amorosa del Trecento.
Purtroppo, però, tutte le poesie di questa serie hanno un'esplicita natura
eterosessuale, pertanto questo saggio di Stangherlini rimane irrilevante per lo studio della storia dell'omosessualità.