Sulla sentenza della Corte Costituzionale, calma e gesso
[Inedito - 15 aprile 2010]
di: Giovanni Dall'Orto.
Ho
passato lo scorso mese ad ascoltare chi (avvocati, giuristi, docenti) di
Legge ne sa più di me, in modo da arrivare all'attesa sentenza
di ieri da parte della Corte Costituzionale sui matrimoni gay non dico
preparato ma almeno informato. E per questo motivo mi suona piuttosto sgradevole
passare oggi, dalle argomentazioni eleganti, ragionate e argomentate dei
giuristi, alla cacofonia superficiale e alla drammatizzazione esagitata
che sono parte ineliminabile (per lo meno nella patria di Pulcinella...)
dei discorsi politici.
Da
una parte e dall'altra sembrano scatenate le "drama queens". "Vergogna
alla Corte Costituzionale!", ululano gli uni. "La Corte l'ha messo in quel
posto alle assurde pretese dei gay"! strillano gli altri.
Peccato
che sbaglino sia gli uni che gli altri.
In
primo luogo, perché prima di stabilire cos'abbia detto in realtà
la Corte occorre (come sempre in questi casi) aspettare di leggere le motivazioni
della sentenza. A quanto è stato anticipato, la Corte ha respinto
la richiesta ribadendo la competenza esclusiva del Parlamento nel dirimere
la questione. E fin qui ci siamo: è la Costituzione a stabilire
questo principio. Ma bisognerà vedere poi in che modo avrà
ribadito questa apparente banalità: a questo livello decisionale,
spesso il diavolo sta nei dettagli.
Per
esempio, se la Corte avesse detto che non può dire la sua perché
sul fatto deve decidere il Parlamento, l'accento nascosto non starebbe
sulla parola "Parlamento", ma sulla parola "deve". Nella sentenza potrebbe
esserci, in altre parole, un monito, un richiamo a decidere in tempi ragionevoli
sulla questione.
La
Corte ce lo ha davvero messo, 'sto monito? Boh, chi lo sa... Per l'appunto,
per saperlo bisogna prima vedere cosa ci starà scritto, nella sentenza.
Il cui effettivo valore potrà essere valutato solo quando si potrà
contare quanti diavoli e diavoletti stiano nascosti nei dettagli...
Esistono
molti precedenti di questioni in cui la Corte ha respinto un quesito la
prima volta che le è stato presentato, ma solo per ribadire che
sul problema esisteva in effetti un vuoto legislativo, a cui occorreva
porre rimedio. E nei casi in cui il Parlamento non lo ha fatto, è
successivamente intervenuta per sanare la lacuna, magari al secondo o terzo
ricorso.
Insomma,
nell'ovattato gergo della politica un eventuale "monito" è in realtà
una minaccia gentile. "Non tocca a me decidere", dice la Corte,
"Tocca al Parlamento". Però il sottinteso che soggiace a
questa frase è: "... Certo, se il parlamento persiste a non legiferare,
in quel caso mi sento autorizzata a dire la mia".
E vista
la situazione italiana, in cui non un solo partito osa azzardare una posizione
non clericale, non è detto che il Parlamento non abbia intenzione
di risolvere proprio in questo modo il problema.
Questa
strategia pilatesca ha due vantaggi. Il primo è perdere ulteriore
tempo, a favore dell'immobilismo preteso dalla Chiesa. Il secondo è
arrivare infine a una decisione senza che nessuno, specie a sinistra, sia
stato costretto a prendere una posizione, o decidere e votare alcunché.
Se
sarà questa o no la strategia del Parlamento lo vedremo, resta il
fatto che se gli dèi vogliono che sia questa la strada per cui arriveremo
alla legge in Italia, questo era il primo passo da compiere per fare la
loro volontà... e finalmente è stato compiuto.
In
secondo luogo, la decisione interlocutoria da parte della Corte era certo
non auspicata dai giuristi nostri amici, però era considerata la
più probabile.
Questo
perché per tradizione la Suprema Corte italiana esita a intervenire
con decisioni di rottura su questioni controverse. Preferisce agire come
ago della bilancia su questioni su cui il Paese ha già dibattuto
a lungo. Il che nel nostro caso, purtroppo, non era ancora.
In terzo ed ultimo luogo, non è affatto vero che la Corte abbia sposato e sancito le tesi cattoliche, come stamane strillano giubilanti i cattolici. Ha solo detto che la decisione sul tema spetta al Parlamento. Punto. Il resto è pura propaganda, fumo negli occhi, palle.
Tutto
bene, quindi? Ovviamente no.
Sarebbe
stato più bello se la Corte italiana avesse avuto il coraggio che
ha avuto quella portoghese qualche giorno fa.
Purtroppo
però se lo avesse fatto questo sarebbe stato un miracolo, ed in
politica i miracoli non esistono. Quelli che sembrano miracoli sono infatti
i risultati di un lungo e sotterraneo lavoro di preparazione, finalmente
emerso alla luce del sole. E questo non è decisamente quanto è
stato fatto in Italia, se si tolgono le eroiche ma isolate eccezioni di
Rete Lenford (animata dall'instancabile
Francesco Bilotta) e dell'associazione radicale Certi
diritti (più che animata, "agitata" da Sergio Rovasio).
Devo
essere io a ricordare che solo un anno fa la maggioranza della (per fortuna
nel frattempo sostituita) dirigenza Arcigay parlava, a proposito dell'iniziativa
che ha portato alla sentenza di ieri, come di una pazzia di pericolosi
avventurieri? Come di una "fuga in avanti" di sconsiderati che rischiavano
solo di far cambiare la Costituzione in senso più restrittivo?
E
devo ricordare io che alcune ed alcuni di coloro che appaiono questa mattina
tra i firmatari della vibrata protesta del Comitato nazionale "Sì,
lo voglio", solo qualche anno fa erano contrari/e al matrimonio fra persone
dello stesso sesso perché avrebbe "istituzionalizzato" e "borghesizzato"
i nostri amori, che invece devono rimanere liberi da vincoli e camicie
di forza istituzionali e bla bla bla?
E
se le associazioni lgbt, se noi stessi, siamo arrivati a questa posizione
chi da un anno, chi da pochi mesi (l'inserimento del matrimonio gay fra
le proprie rivendicazioni è stata sancita da parte di Arcigay solo
dall'ultimo congresso di Perugia, due MESI fa), lo vogliamo dare qualche
tempo alla società per digerire un tema che per la maggioranza dei
nostri concittadini è ancora nuovo ed ostico?
Se
due mesi fa neppure noi - o per lo meno alcuni fra noi: i dirigenti - eravamo
abbastanza maturi e preparati sul tema, perché pretendiamo ora che
lo fossero coloro che sul tema non erano neppure i direttamente interessati?
Calma
e gesso, compagni, calma e gesso. Stiamo facendo politica, non recitando
in un reality.
Io
dico insomma che invece di parlare di inesistenti catastrofi dovremmo semmai
rallegrarci del fatto che per la prima volta il movimento lgbt ha ottenuto,
incassato e portato a casa il primo risultato serio, concreto e tangibile
a favore della legge sui matrimoni gay.
Anche
se i più non se ne sono accorti, infatti, la Corte ha tolto una
volta per tutte agli ignobili e vilissimi "capitani coraggiosi" del PD
la scappatoia di dichiarare che il matrimonio fra persone dello stesso
sesso è incostituzionale, come
fece D'Alema nel 2007 dicendo:
"No, non sono favorevole al matrimonio tra omosessuali perché il matrimonio tra un uomo e una donna è il fondamento della famiglia, per la Costituzione. (...) Due persone dello stesso sesso possono vivere unite senza bisogno di simulare un matrimonio".Letteralmente.
Non
so se a voi sembra poco, ma da oggi in poi lui e gli altri scherani del
PD dovranno giustificare in proprio il loro schifoso clericalismo, senza
scaricare la colpa sull'innocente Costituzione.
Lo
ribadisco: la Corte Costituzionale, investita del quesito, non si è
proprio sognata di dire che la Costituzione è contraria al matrimonio
gay. Non ha neanche detto che è a favore, è vero. Ma almeno
ha finalmente escluso che sia contraria. Uno a zero per noi.
Nel
frattempo, sono in arrivo altri ricorsi da parte di altre coppie ed altri
tribunali. Ricorsi argomentati in modo diverso potrebbe sempre, un domani,
avere esiti diversi. Non ci conto, ma non va escluso.
E
se proprio il mondo dovesse cascarci addosso, c'è sempre la Corte
europea per i diritti dell'Uomo.
E
ci sono altre strategie non ancora tentate, a cui i fervidi cervelli dei
giuristi amici stanno lavorando con una serietà e un impegno che
dovrebbero essere di modello a tutti noi.
Insomma, ancora una volta, calma e gesso. Quello di oggi era il colpo di cannone che dà inizio alla battaglia. Non era la tromba che suonava la ritirata o (più auspicabilmente) la vittoria.
La battaglia è ancora tutta da combattere. Scoraggiarci proprio ora è quindi sciocco.
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