Home page Giovanni Dall'Orto > Scritti di attualità > Sulla maternità surrogata per le coppie omosessuali
[Da Facebook, 14 gennaio 2016]
di:
Giovanni
Dall'Orto.
La copertina del saggio di Daniela Danna, Contract children. |
Ieri
a Padova, nonostante il tema del dibattito fosse la critica della teoria
queer, come è tipico di un Paese in cui dibattere è
ormai impossibile, fra il pubblico c'è stata chi ha
approfittato del fatto che finalmente si stava dibattendo per
chiedermi cosa ne pensassi... della maternità surrogata.
Pratica
su cui Daniela Danna ha appena pubblicato un libro molto critico e sul quale sinceramente penso che il
dibattito sarebbe urgente e necessario (e non c'è!).
Siamo di
fronte a uno di quei problemi di bioetica in cui la questione non è
affatto in bianco e nero, come affermano gli oppositori
della pratica, ma anche qualche sostenitore meno avveduto degli
altri.
Ciò premesso, trovo impossibile il ricorso ad entrambe le
posizioni che oggi si contendono l'arena.
La gratuità
assoluta, infatti, è impossibile, o se praticata innesca una
serie di problemi etici non meno gravi di quello che intende
risolvere. Una gravidanza infatti costa, quindi è solo logico
garantire il rimborso delle spese sostenute "per conto terzi"
(in caso contrario si creerebbe una discriminazione fra donne ricche
e donne povere, e nient'altro). Inoltre dei rimborsi fa parte anche
la perdita della capacità lavorativa, per la quale non a caso
è previsto il congedo di maternità. Nemmeno questo può
essere logicamente negato, trattandosi di un preciso diritto della
donna.
Supponiamo allora di attenerci all'osso di queste spese e di
scoprire che il puro e semplice rimborso-spese per un figlio per conto
terzi costerà in questo modo 20.000 dollari invece che 100.000
dollari. Il problema è che per una donna del Bangla Desh che
vive lavorando, e guadagnando un dollaro o due al giorno, 20.000
dollari di "rimborso" sono comunque una fortuna tale (da venti a quarant'anni di stipendio in una volta sola) da
"incentivare" il "dono" della gravidanza per
conto terzi.... solo, a retribuzioni molto più basse di quelle
attuali. Un risultato, questo, che a livello mondiale finirebbe per
incentivare anziché scoraggiare la prassi: diminuendo i prezzi
si amplierebbe il mercato, come sempre avviene.
A meno di voler
pagare 20.000 dollari la donna "ariana" e 500 quella del
Bangla Desh, dato che il suo corpo "vale" meno di quello di
una donna bianca ed ariana e magari pure ammerrecana: soluzione che
oltre ad essere iniqua non risolverebbe neppure lei il problema, dato
che ci si ridurrebbe, alla fine, solo ad innescare un feroce gioco al ribasso sulla quantità di denaro che spetta alle donne, e quindi
daccapo a un aumento, non a una diminuzione, dello sfruttamento dei
loro corpi.
Visto
che comunque una donna gravida deve mangiare bene (per il feto,
ovviamente, mica per sé!), per chi vive con un dollaro al
giorno sarebbe comunque conveniente restare incinta per conto terzi
a ripetizione per potere almeno mangiare bene per nove mesi all'anno, senza contare
che si potrebbe comunque lavorare lo stesso per gran parte del periodo
della gravidanza.
(Nota in margine: le donne contadine hanno sempre lavorato fino al
giorno del parto, che lo volessero o no. Il dare per scontata nel corso di questo dibattito la
maternità a casa, in congedo lavorativo, svela l'ottica borghese
e benestante da cui è stato condotto fino ad ora il dibattito, ossia il pregiudizio
di classe contenuto nel dibattito:
quello di una donna o di un uomo borghese e del primo mondo che
sfrutta il corpo di una donna sottoproletaria/contadina e del terzo
mondo che ignora quasi fossero irrilevanti le differenze di classe e di
reddito. Quando vedrò Paris Hilton "donare" gestazioni a contadine
sterili dello Sri Lanka crederò alla "generosità" della pratica, ma non
prima).
Il
risultato finale, paradossale, sarebbe solo che la gravidanza per
conto terzi non costerebbe meno all'utente finale (il prezzo qui lo fa
la
domanda, non l'offerta, visto che ovviamente non si può pensare a
creare una "concorrenza" sui prezzi) però alle donne, che perderebbero
potere contrattuale, finirebbe una quota nettamente minore della
somma: tutto il resto rimarrebbe agli intermediari.
Inoltre
esploderebbero i contenziosi: che succede se la donna del Bangla Desh
anziché mangiare bene usasse il denaro del cibo per pagare le
medicine alla madre malata, e quindi il bimbo nascesse denutrito? E che
doveri etici avrebbe il recettore del "dono" nel caso il
bimbo nascesse affetto da handicap, magari per una malattia contratta
dalla madre durante la gestazione? O se l'aspirante genitore cambiasse
idea (o facesse bancarotta: succede), e non
pagasse, lasciandolo sul gobbone di una madre già disperata?
Dopo tutto, ciascuno di noi è tenuto a onorare un contratto,
mentre ognuno di noi è libero di rifiutare un dono...
E
non sto parlando delle 9999 persone che, entrate in un accordo di
dono, lo rispetterebbero meticolosamente (per questi casi, non serve
discutere di leggi). Parlo di quell'una persona su diecimila che non
lo rispetterebbe, e per la quale le leggi sono pensate ed approvate.
Ebbene: cosa deve prevedere una legge in caso di mancato rispetto
degli accordi di dono? Deve esserci un contratto, per prevenire o sanzionare tale ipotesi?
E un contratto che
preveda un rimborso, non potrebbe essere una banale compravendita
mascherata da dono?
Ci risiamo, daccapo: cambia il nome, non la
sostanza. Questa si chiama ipocrisia, e non giustizia.
Per evitare
che tutto ciò possa accadere esiste, dal punto di vista
logico, una sola soluzione: proibire la gravidanza per conto terzi sempre, anche su base di dono volontario. Cioè la posizione
delle destre, che però non è quella di Daniela Danna.
Ebbene:
neppure la posizione delle destre sarebbe risolutiva. Escludendo la
soluzione più semplice, che è affermare che il bambino è nato
col metodo tradizionale durante un po' di turismo sessuale, (e qui si
premierebbe l'ipocrisia, non la giustizia) niente impedisce che una
organizzazione, che a questo punto sarebbe ovviamente criminale
anziché medica, crei un "surplus" di bambini
abbandonati nel Terzo Mondo (magari in qualcuno dei troppi campi
profughi di cui è costellato il mondo) offerti poi in adozione
- [adozione vera, in cui il bambino risulta figlio abbandonato di
madre Tale de' Tali e di padre ignoto, o ancor meglio figlio di padre
ben noto (e pagante) che riconosce come suo il minore e di "madre
che non vuol essere nominata"] attraverso i canali
internazionali attraverso i quali è sempre passata la "tratta
dei bambini". Il risultato sarebbe creare una occasione di
mercato per la mafia, e non maggiore giustizia e soprattutto non
maggiore "moralità" cattolica.
Per fugare tutti
questi dubbi esiste un unico modo per impedire lo sfruttamento
economico del corpo delle donne: fare in modo che sulla Terra non
esistano donne che vivono con meno di un dollaro al giorno. Un
problema che però oggi come oggi non sta più a cuore
assolutamente a nessuno. A iniziare proprio dai libertariani e dai
propugnatori della "libertà delle donne di disporre del
loro corpo" "anche" nel farsi pagare per una maternità
surrogata.
Forse
però, chissà, molte di queste donne non sono affatto
"libere" di vendere il loro corpo, forse, chissà,
forse sono solo "costrette a farlo", dalla fame. Sì,
lo so che alcune no, eccetera, ma dire "alcune no" implica
che "alcune sì". Perché questo aspetto viene
fuori se si parla di sesso, altrimenti è irrilevante?
La
maternità surrogata è insomma solo un sintomo, non la
causa delle ingiustizie del mondo. Magari, preoccuparsi un poco più
delle ingiustizie economiche non sarebbe una cattiva idea. E questo
vale in primis per i cattolici sempre pronti a stracciarsi le versi
per la maternità surrogate, ma non per le madri, e i figli,
letteralmente alla fame.
Also
spracht Giovanni Dall'Orto.
Tratto
da: Facebook
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