Un ricordo diverso. (Per Dario Enriquez)
[Da "Pride" n. 42 - Dicembre 2002]
di:
Giovanni Dall'Orto.
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A Milano lo conoscevano tutti per le sue innumerevoli attività: aveva collaborato col giornale “Hot line”, aveva lavorato nel primo bar gay milanese, il “Querelle”, poi al “Contatto”, all’”Hot Line club” e all’”After Line”. In questo locale aveva inventato il single party, in cui si esibiva come intrattenitore, animatore e dj. Aveva anche fondato un gruppo di trasformismo e cabaret: “Sei favolosa… anche tu!”.
Al suo attivo anche la gestione di negozi,
public relation e organizzazione, ma fra le tante attività
di Dario ricordo qui il lancio [nel 1997] del primo periodico gratuito
italiano, “Guide” [poi
"Guidemagazine", poi "Lui - Guidemagazine"].
Era un prodotto
povero: poco più d’un assemblaggio di pubblicità. Ma all’epoca
era il prodotto giusto per un mercato arretrato come quello italiano, era
l’intuizione giusta, e geniale, al momento giusto: contro le profezie di
tutti (anche mie) sopravvisse e dimostrò che anche in Italia
potevano avere spazio i periodici gratuiti. Quindi anche il giornale che
state leggendo ora esiste, un poco, anche grazie a Dario Enriquez…
Dal mondo gay Dario ha avuto molto, ma
la sua morte mi spinge a chiedermi: a quale prezzo? La sua vita era diventata
un inferno, quasi si fosse consumata a velocità accelerata, in quindici
anni.
Come molti idoli, sia etero che
gay, Dario è stato divorato dalla bulimia d’un mondo che insegue
la frenesia e la prestazione fisica estrema, e in più pretende da
te la bellezza, per darti in cambio giusto qualche spicciolo, anche se
pagato in orgasmi contanti.
Appena un nostro “idolo” si azzarda a
mostrare di perdere qualche colpo lo si getta, quindi il ricorso a un puntello
chimico per molti arriva a sembrare un modo per reggere a certi ritmi,
anche solo per svegliarsi o addormentarsi a orari assurdi.
Occorre molta forza per resistere alla
tentazione, quando attorno a te sono in molti a farlo... a farsi. E non
avere questa forza non è una vergogna: è una situazione umana
che meriterebbe, forse, un aiuto in più, e soprattutto un po’ di
dissenso in più nei confronti della “vida loca” quale proposta
di vita prevalente, se non unica, nel mondo gay.
Non c’è nulla di male nel divertimento, ma tutti dovremmo rammentare un po’ di più che, spente le luci, finita la musica, rimane tutto il resto: la vita reale, che può essere messa fra parentesi per una sera… ma che resta lì, in attesa, all’uscita dalla sauna o dalla discoteca.
Nota del 2010.
Frugando nel mio computer fra i (troppi) scritti che non ho ancora, per pigrizia, messo online, ho ritrovato questo piccolo necrologio per un amico.
Rileggendolo, mi accorgo di quante cose avrei voluto dire nel 2002 sulla vicenda, e non dissi, soprattutto per evitare le inevitabili polemiche che avrei scatenato.
Conobbi Dario quando
ero presidente di Arcigay di Milano, verso il 1985/6 o poco dopo. Lui frequentò
l'Arcigay come volontario ed attivista per un buon periodo.
Era un ragazzo quasi
raggiante di allegria e gioia di vivere. Caso raro per l'epoca, non aveva
problemi col coming out, ed era dichiarato e "visibile". Era anche
intraprendente, sveglio, intelligente, e sapeva farsi voler bene da tutti.
Era anche, come mostrano
le due foto che ripubblico qui sotto, scattate da Tiziano
Bedin, un ragazzo molto bello, tanto che quando
nel 1989/90 curai per "Babilonia" il primo libro antologico dedicato
al nudo maschile in Italia (Ragazzi
italiani, uscito nel 1991), gli chiesi se
avesse voglia di posare per Bedin e lui accettò. Finì perfino
in copertina di "Babilonia", con gran divertimento suo e di quanti lo conoscevano
di persona, quasi ammirati dal fatto di frequentare un autentico "ragazzo-copertina".
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Se nomino la sua bellezza non è per caso, dato che quando finì gli studi e cercò lavoro, la sua bella presenza lo aiutò a trovarne fra i locali notturni, nei quali l'avvenenza è la chiave d'ingresso privilegiata. Dario sembrava contento: piaceva, tutti lo volevano, e insomma sembrava che le cose si fossero messe bene per lui.
Poi però le cose iniziarono a peggiorare. Da un lato entrare in quel giro significò per lui affrontare un mondo in cui il consumo di droga è una pratica di fatto normale. Il problema divenne particolarmente grave quando Enrico smise d'essere the last cute boy in town e vide bruscamente vacillare la posizione che s'era costruito. A quel punto, deluso, per lui divenne quasi una necessità tenere su il morale puntellandolo come poteva.
Non ho conoscenza
diretta di quella fase della sua vita, dato che lui ed io ci perdemmo di
vista proprio a quel punto. Mi arrivava giusto qualche pettegolezzo, o
scambiavo due parole superficiali con lui quando mi capitava d'incontrarlo.
Ma proprio perché
lo reincontravo solo di tanto in tanto, avevo modo di notare meglio di
chi gli stava vicino il suo cambiamento (in peggio).
Quando scrissi la
nota che precede queste righe, ero pieno di rabbia verso un mondo che aveva
macinato e distrutto in pochissimi anni un ragazzo che per come l'avevo
conosciuto io aveva un sacco di potenzialità e qualità.
E soprattutto un
mondo che se lo aveva voluto per la sua bellezza, lo aveva risputato senza
pensarci due volte solo perché aveva avuto la sfortuna di soffrire
d'una calvizie molto precoce e di qualche ruga, che lo facevano apparire
molto più vecchio di quanto fosse in realtà.
Non si può
morire perché ti sono caduti i capelli... Nemmeno se la cosa
è aggravata da un rapporto problematico con le droghe.
Lo so che faccio
solo la figura della Heidi di turno, mettendomi a protestare contro l'andazzo
dell'ambiente gay, che tratta con troppa leggerezza l'abuso di droga,
del quale non si riesce mai a parlare come di un vero problema. Tutti mi
sfottono, se provo a farlo.
Come se non bastasse
questo, la figura la faccio pure, a fronte di schiere di ragazzini che
sognano solo di diventare "tronista" ed ammirano un individuo come Fabrizio
Corona, a trovare inumano un mondo che sembra volerti dare tutto se
sei bello, salvo buttarti via quando smetti d'esserlo.
E però...
nel 2002 avevo ancora la voglia d'arrabbiarmi per queste cose.
Ed anche se ora
siamo tutti, ormai, rassegnati al fatto che al peggio non c'è mai
fine, un guizzo di ribellione, a ripensare a questa come ad altre vicende
simili, mi si agita ancor oggi.
Almeno: per ora...