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Intervista a "Triangolo silenzioso".

[Da "Babilonia" n. 112, giugno 1993]

di: Giovanni Dall'Orto.
 
 

L'autore dell'articolo (all'estrema destra) al tavolo del convegno. 
Alla sua immediata sinistra, il traduttore da e in LIS.
 
Sono diecimila sui circa centoottantamila sordi italiani. Eppure fino ad oggi non sono riusciti a fare udire la loro voce. Con la nascita di "Triangolo silenzioso" i gay e le lesbiche sordi italiani lanciano un messaggio a tutto il mondo omosessuale.


Immaginate la scena. Un incontro internazionale, ospitato nella sede dell'Asa di Milano. Il relatore, inglese, parla, e il pubblico gli risponde animatamente. Voi lì, in mezzo, non sentite e non capite una parola di quello che viene detto, e questo per un motivo semplicissimo: gli intervenuti si parlano con il linguaggio dei segni, perché questo è il primo convegno di "Triangolo silenzioso", il gruppo gay e di lotta all'Aids che è stato fondato dalle persone sorde.

Dire che sono stato gentilmente invitato dagli organizzatori perché andassi a questo congresso è falso. Sono stato pregato, lusingato, corteggiato, tampinato e sedotto come mai in vita mia. Se al mio arrivo non trovo i tappeti rossi, poco ci manca. Abituato alle riunioni gay in cui nessuno ti guarda se non per stracciarti gli abiti addosso, questa atmosfera mi galvanizza.
Ciò non significa che io non abbia il mio piccolo trauma da affrontare. Dopo dieci anni e più di giornalismo passati a rappresentare i Diversi in mezzo ai Normali, di botto scopro che stavolta sono l'involontario delegato dei Normali in mezzo ai Diversi. Un delegato che fa abbastanza schifo, oltre tutto, visto che non capisce un accidente...
Il muro alla comunicazione è totale, almeno finché non imparo il significato dei segni più importanti. E' spaventoso: sono tagliato fuori, e dipendo interamente dalla gentilezza dì tutti, che accettano che il dibattito si interrompa a singhiozzo ogni volta che qualcuno di loro si prende la briga di tradurre a voce ciò di cui si sta discutendo.

Eccomi insomma immerso nella situazione che sperimenta il sordomuto nella realtà in cui io vivo tutti i giorni. Non fatico a immaginarmelo seduto al tavolo di un bar gay, mentre gli altri parlano e lui o lei è tagliato fuori dal discorso, perché l'idea che i "normali" facciano uno sforzo per farsi capire da lui o lei è semplicemente fantascienza. Un piccolo gesto mi aiuta ad intuire ancora di più la dimensione del mondo in cui vivono le persone di "triangolo silenzioso". Uno di coloro che mi avevano invitato non riesce a fermare un partecipante che mi rivolge la parola a voce e contemporaneamente a segni. Non capisce se costui abbia capito che io sono un "udente", e che quindi deve usare la voce per parlarmi e non solo i segni e il movimento labiale delle labbra. Visto che non riesce ad attirare la sua attenzione, e non potendo per ovvi motivi fargli un fischio, gli tocca con due dita la gola. Dopo aver percepito che vibra, annuisce e si tranquillizza.
Questo gesto mi ha mostrato per un attimo la sala attraverso l'esperienza dì chi mi stava ospitando, come un film con l'audio spento.
Questa realtà umana spiega, io credo, il bisogno rabbioso di comunicare: costoro non vogliono solo far conoscere ad altri il proprio messaggio, come avviene di solito quando si forma un nuovo gruppo gay, ma esprimono anche il bisogno spasmodico di riuscire a captare i messaggi degli altri. Messaggi che spesso volano sulla testa delle persone sorde senza degnarsi di fermarsi per essere raccolti da loro. Con molta pazienza i fondatori di "Triangolo silenzioso" mi hanno spiegato ad una ad una le difficoltà del sordo nel campo dell'informazione.

Primo: ovviamente la gente parla dando per scontato che tutti sentano.

Secondo: i sordi sono stati vittime fino a pochi anni fa di una mentalità che vedeva in loro degli "handicappati" nel senso più spregiativo del termine. Non udire non significa essere stupido, ma il pregiudizio sull'handicappato come "incapace di capire" è durissimo a morire. Ne consegue che per troppo tempo si è considerato uno spreco di tempo insegnare a leggere ai sordomuti, col bel risultato di avere una parte non trascurabile dei sordomuti di una certa età, e al Sud (mi dicono) anche di quelli più giovani, con qualche difficoltà nel leggere e scrivere.

Terzo: anche i sordi che sanno leggere possono incontrare difficoltà di vocabolario. Quanta percentuale delle parole che noi conosciamo l'abbiamo imparata parlando e ascoltando gli altri che le usavano? Ebbene, il sordo non può ricorrere a questa risorsa e per quanto bene capisca l'italiano, questo resta per lui/lei una specie di "seconda lingua".

La lingua dei segni è infatti un vero linguaggio autonomo, cosicché il sordo legge l'italiano un po' come noi udenti leggeremmo una lingua straniera: la capiamo di più o di meno a seconda di quanto a lungo e con quanta passione l'abbiamo studiata. Ecco perché in un gruppo che solo da vent'anni è riuscito ad entrare nel vivo della lingua italiana parlata e letta, esistono persone che pur sapendo leggere capiscono con fatica le parole difficili o più "tecniche" nei testi scritti. Da ciò deriva la cronica carenza e la cronica fame di informazioni.


Questa carenza di informazioni è tangibile. Quando nel pomeriggio sì passa alle domande sull'Aids i rappresentanti dell'Asa, giunti nel frattempo, ed io allibiamo all'unisono: ci sembra di essere tornati indietro di dieci anni. Eppure il raccapriccio svanisce quando ci accorgiamo che a poco a poco tutti gli interventi finiscono per concludersi rivolgendo a noi quattro o cinque udenti presenti una richiesta precisa: aiutateci ad informarci.
Capiamo allora che questo non è un mondo che si crogiola nella disinformazione, come certe frange di gay: questo è un mondo che fatica ad ottenere le informazioni che gli altri, cioè noi, riescono ad avere facilmente. Parecchi film in tv, mi fanno notare, si possono capire perché la Rai li sottotitola, però questo non avviene mai con i telegiornali e i dibattiti, cioè con la spina dorsale dell'informazione.
A questo i miei interlocutori aggiungono un punto su cui sono tutti d'accordo: in Italia l'assistenza agli handicappati è stata delegata dallo Stato ai cattolici, che l'hanno monopolizzata. Questo significa: primo, che le associazioni dei sordomuti si farebbero martirizzare piuttosto che fornire informazioni su come praticare il "sesso sicuro" contro l'Aids ai turpissimi e peccaminosissimi e contronaturissimi sodomiti. Secondo, che in generale il mondo dei sordi è in Italia intriso di cultura cattolica, con tutti i preconcetti meschini, le condanne, i sensi di colpa e le chiusure di un mondo educato in un'atmosfera repressiva e bigotta, come quella degli istituti gestiti da religiosi in cui, fino a vent'anni fa, erano educati tutti i sordomuti.
Con una certa malinconia mi si fa anche notare che la cosa è resa ancora più difficile dal fatto che buona parte di loro (eterosessuali compresi) ha avuto la sua iniziazione sessuale con i preti di questi istituti, con tutti gli strascichi di sensi di colpa non risolti che ciò ha lasciato in loro. Quando chiedo se posso scriverlo, mi viene risposto che questo, nel loro mondo, non è un segreto.

Non è finita. La gente "normale" considera "ridicolo" il sordo perché gesticola. Perciò i "normali" hanno "educato" i sordi a vergognarsi di quello che sono. Me ne rendo conto quando Carlo, che avendo un piccolo residuo d'udito riesce a parlare in modo nitidissimo, recalcitra all'idea di esprimersi contemporaneamente a voce ed a segni per essere capito da tutti in sala. Preferirebbe parlare a voce ed essere tradotto dall'interprete che è arrivata dopo pranzo. Lo mette a disagio quel modo di comunicare (usando i due linguaggi contemporaneamente) che invece potrebbe aiutare ad abbattere le barriere fra udenti e sordi: non a caso il suo ragazzo, che è udente, dopo tre anni non parla affatto la lingua dei segni.


Essendo un linguaggio semplice, razionale e sintetico, chiunque potrebbe imparare in una sera i cinquanta segni fondamentali della banale conversazione da bar. (Ovviamente se si vuole parlare di filosofia occorre di più ... ).
E invece ognuno continua a parlare solo un linguaggio, coi risultato che nel mondo gay oggi manca l'interfaccia, il collegamento delle persone udenti che abbiano imparato la lingua dei segni per comunicare con un sordo di cui si erano innamorate.
Insomma: mondo gay "normale" e mondo dei gay sordi sono stati, fino ad oggi, realtà separate, a chiusura stagna: la scommessa di "Triangolo silenzioso" consiste nel provare ad aprire un canale di comunicazione.

Mentre parlo un po' di questo con loro, la discussione scivola sul dubbio se sia possibile la relazione fra un sordo e un udente. Qualcuno dice di non volerne sapere degli udenti: le difficoltà di comunicazione sono eccessive, perché "loro" non fanno mai uno sforzo per venirti incontro e si stancano troppo rapidamente di prestarti attenzione.
Qualcun altro invece dice di preferire decisamente gli udenti, perché hanno il pregio di costituire un tramite con il mondo "normale", permettendo di sentirsi meno "tagliati fuori"; ma non a caso chi sostiene questa seconda tesi è chi ha un residuo di capacità uditive, ed è quindi in grado di comunicare alle condizioni capestro poste dagli udenti, cioè a voce e aiutandosi con la lettura delle labbra.
Eppure, osservo, una volta che chiesi notizie (ero incuriosito, lo ammetto) sul gruppo di sordomuti che frequenta il bar gay Querelle di Milano, mi fu detto che se ne stavano sempre fra di loro e non "cagavano" nessuno. Non è vero niente. Sono gli altri gay che non ti rivolgono mai la parola. Ma, chiedo io, come si fa, benedetta gente, a rivolgere la parola ad un sordo? Certo, può essere un problema, mi concedono. Ma il problema vero è che la gente ti chiede: "Come ti chiami?", e se tu rispondi: "Come?", cambia faccia e dice: "Oh, non fa nulla, ciao". Com'è possibile, mi chiedono esasperati, comunicare in questa situazione? Non ci provano neppure!

Insomma, per farla breve il neonato "Triangolo silenzioso" è impegnato in una battaglia su due fronti: uno interno, contro la realtà del mondo dei non udenti, in cui pregiudizi bigotti e anche cattiverie antigay imperversano quanto e a volte più che nel mondo "normale", e uno esterno, contro un mondo gay che non prevede spazi per chi abbia un handicap. "Quando c'è un'iniziativa, noi siamo gli ultimi a saperlo", mi è stato detto.
Nei prossimi mesi "Triangolo silenzioso" cercherà di raggiungere e aggregare quanti più gay e lesbiche non udenti potrà. (A questo scopo i lettori di Babilonia interessati al gruppo possono, in attesa che "Triangolo silenzioso" trovi una sede, mandare un fax o una lettera a noi di Babilonia, che provvederemo a inoltrarli nella massima discrezione ai responsabili per la risposta. Contemporaneamente il nuovo gruppo cercherà di coinvolgere il movimento e il mondo lesbico e gay).

Questo mi è stato pregato di dire ai lettori di Babilonia e questo riferisco. Aggiungendo che se forse noi udenti superassimo la paura di essere "indiscreti" (esiste anche questa, esiste ... ) con i sordi, e se accettassimo di comunicare con loro un po' anche alle condizioni loro, la loro integrazione nel mondo gay si rivelerebbe molto più semplice di quanto appaia oggi. Sto parlando forse di un'utopia?


Tratto da: "Babilonia" n. 112, giugno 1993.
 
 
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