Una richiesta inopportuna.
(Un omosessuale e la Guerra
del Golfo)
[da "Babilonia" n. 87, marzo 1991, pp. 6-7]. Con postille del marzo 2003.
di: Giovanni Dall'Orto
Scrivo queste righe il 20 gennaio [1991] e non ho il diritto di farlo. Sono frocio e scrivo su una rivista per froci: ogni volta che dico qualcosa che va al di là dei cazzi e dei culi qualcuno strilla che "esco dal seminato".
Ieri
sono andato a fare la spesa e al supermercato non c'era più latte
né pasta, ma la questione della guerra non è affar mio [1].
I froci, si sa, si nutrono di sperma.
L'altro
ieri ho telefonato ai nostri colleghi francesi chiedendo se fosse finito
un certo lavoro, e mi hanno risposto: "non so, abbiamo passato la giornata
attaccati alla radio"... però ciò che succede in Iraq
non mi riguarda e io non ho diritto di parlarne.
Sul
tram sento discutere i ragazzi (più o meno in età di leva)
dei pregi e difetti degli aerei militari americani e iracheni. Per loro
la guerra
è solo un videogame: sono la generazione cresciuta a
Rambo e videogame
bellici, e della guerra capiscono così poco da non rendersi nemmeno
conto del fatto che se il conflitto si allargherà saranno loro
a dovere andare a sparare e farsi ammazzare. Ma tutto questo "non mi riguarda",
anche se molti di quei ragazzi io li conosco e in questo istante non so
se tra un anno saranno ancora qui o sottoterra.
Ma
allora cosa, mi riguarda?
Non è la guerra in quanto tale che mi crea angoscia: le possibilità che questa sia davvero l'occasione per la guerra mondiale temuta da cinquant'anni sono per il momento scarse.
Ciò
che è disperante (e che io non dovrei dire) è che
in questa vicenda nessuno ha mai seriamente creduto alla pace o alla possibilità
di non usare la violenza.
Non
Saddam, che per ben due volte ha cercato di risolvere con la forza delle
armi il problema della mancanza di uno sbocco al mare del suo Paese: prima
con una guerra decennale
contro l'Iran, e poi con l'aggressione
del Kuwait.
Né
gli Usa che, di fronte al pericolo che l'embargo internazionale
avesse successo (dato che per la prima volta in questo secolo una coalizione
del mondo intero aveva stretto in una morsa lo Stato aggressore) hanno
preferito attaccare.
Dopo la caduta del bipolarismo Usa-Urss avevamo per la prima volta l'occasione per dimostrare che è possibile risolvere i conflitti anche senza ricorrere alle armi, e questa occasione è stata volutamente assassinata. Ad agosto la Tv ci disse che le scorte di Saddam non potevano durare più di un anno. Neanche sei mesi dopo c'è stato l'attacco. Segno che gli Usa non volevano creare un pericoloso precedente, in base al quale risolvere le controversie internazionali con metodi pacifici. Cioè con un metodo troppo "scomodo" [2].
Un metodo che avrebbe posto sul tappeto una serie d'invasioni compiute da paesi oggi schierati contro l'Iraq. Da Israele che da vent'anni occupa la Cisgiordania e Gaza [3], dal Marocco che occupa il Sahara occidentale [4], dalla Siria che occupa il Libano [5], dall'Indonesia che occupa Timor [6], dalla Turchia che occupa mezza Cipro [7]...
Quanto poco abbiano contato i "princìpi" in questa guerra apparentemente fatta per princìpi inviolabili, lo dimostra il fatto che l'alleanza anti-Saddam è stata cementata regalando il Libano alla Siria e concedendo la testa dei popoli baltici a Gorbaciov. E la gente crede che questa guerra fosse "giusta" e "inevitabile". E non ricorda che non esiste nessuna guerra ingiusta ed evitabile, se non quelle che si sono perdute. Chi riesce a ricordare di qualche vincitore che avesse torto?
Dunque,
dobbiamo fare la guerra.
I
nostri padroni ce lo hanno comandato, e noi dobbiamo andare. È giusto
così. Lo dicono i gay che sento in questi giorni, come le sguince
che si entusiasmano: "Bisogna dargliele a Saddam!". E poi tornano a parlare
di cazzi, di vestiti di Armani e di profumi.
Senza
mai pensare che se guerra sarà, loro che hanno vent'anni andranno
a farsi ammazzare. Che se ci sarà guerra non ci saranno più
né vestiti di Armani né profumi. Che se ci sarà guerra
avremo il coprifuoco e l'oscuramento, e perciò non ci saranno più
locali notturni di nessun genere.
Questo
non è Top gun.
Questa è una guerra, a cui partecipano soldati che hanno
posato per Bruce Weber.
Che avete trovato così arrapanti nelle sue foto di nudo, e che forse
in questo stesso istante sono squarciati in cento pezzi diversi. Se li
vedeste vi farebbero vomitare.
Ma io sono frocio e non ho diritto di dire quanto orrore mi faccia, e devo parlare di cazzi e culi. Perché il mio corpo non si squarcia sotto le bombe. Noi siamo speciali. La guerra la fanno gli altri.
La
speranza che anni di sofferenze e di ingiustizie avessero insegnato a noi
omosessuali ad essere più attenti alle sofferenze altrui si rivela
in questi giorni una speranza vana.
La
speranza di ottenere a poco a poco uno spazio nella società italiana
attraverso leggi che garantiscano l'uguaglianza, è andata in pezzi
di fronte al modo in cui lo Stato ha calpestato una Costituzione
che proibisce di usare in guerra il nostro esercito "per la risoluzione
delle controversie internazionali".
A
che servono leggi in nostro favore, se le leggi valgono così poco
in questo Stato? Qui si crede solo alla violenza!
E allora boh, sarà anche vero che io non devo immischiarmi in questioni che vadano al di là di cazzi e culi, ma questo non è un problema. Tanto, quando la guerra arriva, provvede lei ad immischiare chi credeva di essere al di sopra.
Questa dell'Iraq è solo la prova generale [8], come lo fu la guerra di Spagna nel 1936. Al momento della rappresentazione effettiva ci penserà la guerra stessa ad immischiare noi di "Babilonia": non ci sarà più carta per stampare, se ci sarà, avremo la censura che ci imbavaglia. Ma poco importa, perché tanto voi lettori non potrete comunque più permettervi di comprarci.
Spero comunque che gli dèi vogliano che, quanto queste righe appariranno, la guerra sia finita, e noi possiamo illuderci che sia stato tutto un brutto sogno. Fino alla prossima puntata.
A meno che nei pochi anni che ci restano (se ci restano!) riusciamo a convertire la società italiana a una cultura della nonviolenza.
Diamoci da fare tutti. Per favore.
[Nota aggiunta il 17/3/2003]
Rileggendo questo scritto dodici anni dopo, mi rendo conto di quanto sia nel frattempo cambiato (in meglio) il mondo gay italiano.
I
ragazzi di cui parlavo in questo pezzo erano i militanti gay del 1991 (in
quell'anno io ero presidente
dell'Arcigay di Milano).
All'epoca
era quasi impossibile interessare alla politica un ragazzo gay.
La dimensione privata schiacciava qualsiasi altro discorso, al seguito
delle sirene del neoliberismo che promettevano ricchezza e successo a tutti
coloro che avessero evitato di buttare via il loro tempo in cose
inutili, come la militanza.
Per
la politica c'erano i professionisti: che si lasciassero lavorare loro,
e si pensasse ad altro: alla carriera, al successo, al denaro! Le mie parole
si schiantavano contro un muro d'indifferenza, se non d'ostilità,
come accadde anche con il mio tentativo (vano) di mobilitare il circolo
di cui ero presidente.
Oggi quegli stessi ragazzi, dopo dodici anni di "flessibilità" stentata, precaria e malpagata, regalata loro (anche) dal primo governo di "sinistra" ulivista, dopo il crollo della "new economy", dopo la fine della "fine-della-Storia", a quelle sirene iniziano a non credere più. E soprattutto non credono più che ripiegandosi sulla vita privata ogni infelicità svanirà (ricordate la ricetta per la felicità di Formigoni? "Più privato e meno Stato"!): tutto il contrario, semmai.
Noglobal, gasati o Ferrarelle, moltissimi omosessuali hanno imparato dal World Pride del 2000 che ribellarsi è possibile, e che ribellandosi tutti assieme (non certo individualmente) si vince.
Non ricordavo d'essere stato tanto esasperato quanto traspare fra le righe di questo scritto. Ma ripensandoci mi ricordo sì di quanto fosse facile, in quegli anni, sentirsi maledettamente soli, se si insisteva a voler credere a una proposta di vita basata su scelte morali, specie in una società che dichiarava che la sola morale esistente è quella cattolica (che gli omosessuali li esclude tout-court), e che ogni altra morale era ridicola. Pensateci bene: la parola "Morale" vi fa pensare a qualcos'altro che non sia il cattolicesimo? Un non-cattolico può essere un uomo morale? Ovviamente no...
Oggi
il mondo non è migliore di allora. Dodici anni fa Bush faceva
la guerra a Saddam Hussein.
Oggi
Bush (figlio) fa la guerra a Saddam Hussein.
Dodici
anni passati per cosa?
Ma oggi ci sono due milioni di bandiere della pace sulle finestre degli italiani: dodici anni fa, la parola "pacifista" era un insulto, sputato più che pronunciato da quegli stessi giornali e partiti che oggi si fregiano di tale etichetta.
Se questa guerra (che ci sarà, purtroppo non ne dubito) sarà meno ingiusta, lo sarà tanto più quanto più ci saremo ribellati e avremo detto, una volta di più, che le guerre sono sempre un problema, e mai una soluzione
Altri interventi miei contro la violenza da un’ottica gay su: https://www.giovannidallorto.com/attualita/indexguerra.html
Note aggiunte nel marzo 2003
[1]
Per i propagandisti pagati dai fabbricanti d'armi, le memorie di guerra
significano gloria, onore e patriottismo. Per la gente comune che paga
col suo lavoro sia i fabbricanti di armi che i loro cagnolini, invece,
il ricordo della Seconda guerra mondiale significava fame, fame e ancora
fame.
Il riflesso
condizionato degli italiani di fare scorta di cibo al solo sentire nominare
la parola "guerra", in quei giorni, spiazzò i politici italiani
al governo (provenienti tutti da una classe sociale che la fame non l'aveva
mai patita) e li convinse dell'inopportunità di mandare truppe nel
Golfo.
[2]
Oggi anche i più filoamericani non hanno problemi ad ammettere che
l'attacco fu voluto non tanto perché fosse necessario (Saddam aveva
opportunamente visto in sogno Allah che gli aveva detto a tu per tu di
ritirarsi dal Kuwait: bastava incoraggiarlo a seguire i sogni divini),
quanto per affermare clamorosamente la novità storica dell'esistenza
di un'unica iperpotenza mondiale: quella americana.
Ora appare
perfino candida l'ingenuità con cui io avevo sperato che
il crollo del Muro portasse ad un'attenuazione della tensione tipica della
"Guerra Fredda". A mia discolpa posso solo dire che ci sperammo in molti:
praticamente tutti. Il che non ci scusa affatto per la nostra dabbenaggine:
come se esistessero Poteri "buoni"!
Ma se non altro,
le politiche e gli Stati si giudicano sui fatti, e i fatti arrivarono
solo dopo: dalla Guerra del Golfo in poi, appunto.
[3] L'occupazione armata dura tuttora, a dimostrazione del fatto che la guerra non risolve nessuna questione internazionale, ma anzi semmai la incancrenisce.
[4] L'occupazione armata dura tuttora, a dimostrazione del fatto che la guerra non risolve nessuna questione internazionale, ma anzi semmai la incancrenisce.
[5] L'occupazione armata dura tuttora, a dimostrazione del fatto che la guerra non risolve nessuna questione internazionale, ma anzi semmai la incancrenisce.
[6]. L'occupazione è terminata con l'indipendenza di Timor est, dopo anni di massacri di civili e il tentativo di genocidio della popolazione locale. Ovviamente il fatto che gli abitanti di Timor est siano cattolici mentre l'Indonesia è il più grande Paese musulmano (e quindi cattivo) del mondo non ha nessun rapporto col fatto che Timor Est alla fine l'indipendenza sia riuscito ad ottenerla...
[7] L'occupazione armata dura tuttora, a dimostrazione del fatto che la guerra non risolve nessuna questione internazionale, ma anzi semmai la incancrenisce.
[8] Facile profezia. Il più grande produttore e venditore al mondo di armi, da qualche parte le armi le deve pure collaudare. I nazisti collaudarono in Spagna le tattiche e le armi che avrebbero usato contro l'Inghilterra pochi anni dopo. Il governo degli Usa non è da meno, con le sue bombe "falciamargherite", "intelligenti" o "stupide", a scelta.
Tratto da "Babilonia" n. 87, marzo 1991, pp. 6-7. Ripubblicazione consentita previo permesso dell'autore: scrivere per accordi.
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