La guerra non è un videogame
[Da "Pride" n. 28, ottobre 2001]
di:
Giovanni Dall'Orto.
Cosa
c'entra un mensile per gay con l'attentato alle torri di New York? Niente.
E quindi a tutti coloro che nei giorni successivi all'attentato mi chiedevano
cosa avrei scritto nel prossimo numero, rispondevo proprio così:
"Niente. Non mi pare il caso di mischiare il divertimento dei locali con
6.000 morti".
Mi
ha fatto cambiare idea la reazione di queste persone di fronte al mio "niente":
"Come, niente? Non puoi non dire nulla in un momento come questo!".
Dunque,
a parere dei miei lettori, anche un mensile gay c'entra. E non, immagino,
perché fra i 6.000 morti c'erano sicuramente dei gay (fra cui, pare,
un eroe, morto impedendo ai dirottatori del quarto aereo di centrare il
"bersaglio").
C'entra
perché abbiamo capito tutti, vedendo quelle immagini, che ormai
non c'è nessuno che non c'entri. È finita un'era e ne inizia
un'altra. Le torri gemelle non sono la Sarajevo del XXI secolo (non
ancora, anche se la Grande Guerra iniziò proprio così, con
un attentato terroristico e uno "stato-terrorista" da "punire") ma sono
già la fine di un'illusione.
L'illusione
della fine
della storia, della possibilità di cristallizzare per sempre
la fase suprema della civiltà dell'Occidente, chiudendone fuori
(magari con "scudi stellari") i problemi, le persone, le ingiustizie riservate
a chi dell'Occidente non fa parte.
Questa
che Bush sta preparando è la prima guerra della globalizzazione.
In un mondo in cui non possono e non "devono" più esistere realtà
locali, in cui tutto è parte dello stesso continuum (la globalizzazione
è questo, appunto), oggi sappiamo tutti che se un missile israeliano
centra una scuola palestinese, una stazione del metrò di Milano
salterà in aria. Anche questa è globalizzazione. E io prendo
il metrò tutti i giorni.
Ebbene,
vendetta (abbiamo visto tutti nelle immagini della CNN le auto in
sosta con su scritto REVENGE, e non "justice") e giustizia
non sono la stessa cosa. Giustizia è l'arresto del mafioso che ha
assassinato dieci persone. Vendetta è l'uccisione della figlia bambina
dell'agente che ha arrestato il mafioso. La vendetta tollera l'ingiustizia
e provoca ancora vendetta, mentre la giustizia non tollera la vendetta.
Purtroppo
in tutti questi anni la sbronza della vittoria senza limiti contro l'"Impero
del Male" ha portato l'Occidente a smantellare, svuotare, delegittimare
quegli organismi, come l'ONU, che erano stati creati per cercare la giustizia
più che la vendetta, e che ora servirebbero maledettamente a quegli
Usa che li hanno svuotati. Oggi sì che servirebbe il Tribunale
internazionale per i crimini contro l'umanità (come altro chiamare
l'attentato alle Torri Gemelle?), ma questo tribunale non è mai
nato per il veto ostinato che ha opposto una nazione: gli Usa. Che solo
ora, troppo tardi, scopre di averne disperatamente bisogno.
Dunque
avremo non giustizia, ma vendetta. Che chiamerà altra vendetta,
e così via. Bombardare capillarmente l'Afghanistan servirà
solo ad accrescere le fila degli aspiranti terroristi. Per ogni afgano
ucciso, ci saranno decine di amici, parenti, madri, figli, che si convinceranno
che con l'Occidente e i suoi valori è impossibile convivere.
È
quello che voleva chi ha progettato gli attentati. È l'amo e l'esca
a cui non può non abboccare chi crede che solo la violenza può
risolvere i problemi del mondo. Bush, gli Usa, l'Occidente, sono tutti
prigionieri dell'ideologia di Rambo coltivata per tutti questi anni:
"quella gente non ragiona, capisce solo la forza". Chiunque abbia
progettato l'attentato non poteva non sapere che gli Usa sono la più
grande potenza militare della storia umana che, se provocata, attacca duramente,
quindi ha progettato questo attentato proprio per ottenere un attacco
di questo tipo.
Quando
il tuo Paese è attaccato, puoi essere anche un dissidente, ma puoi
fare una sola cosa: stare col tuo Paese (per quanto tirannico e ingiusto
sia) e la tua gente, se no sarai un "traditore".
Questo
attacco mirava più ai "traditori" interni del mondo arabo che a
noi occidentali. Per esempio a un Iran in cui gli ayatollah e la teocrazia
perdono, di elezione in elezione, consensi: niente più di un attacco
americano può costringere i dissidenti a fare quadrato, o a essere
liquidati come traditori. Pensava a una penisola arabica in cui la teocrazia
feudale islamica appoggia l'occupazione militare americana e dieci anni
di bombardamenti ininterrotti contro l'Iraq, a fronte di 35 anni di occupazione
militare della Palestina per la quale nessuno ha mai mosso un dito (i kamikaze
avevano passaporti degli Emirati Arabi e dell'Arabia Saudita).
Pensava
a un Afghanistan i cui i talebani, istruiti, finanziati, addestrati e armati
dagli Usa, hanno vinto la guerra contro l'Urss ma perso la pace con un
popolo che continua a sognare lo stile di vita "laico", come la nave di
profughi afgani respinta dagli australiani ha mostrato poche settimane
fa.
Vendicandoci,
bombardando dissennatamente come si sta per fare, si farà il gioco
dei terroristi. Lo sappiamo tutti, ma non si farà nulla per impedirlo,
perché in questi anni sono morte le alternative, le tradizioni di
pensiero che non credevano alla forza e alla violenza. Chi, invocando come
valida la solenne dichiarazione della Costituzione italiana: "La Repubblica
ripudia la guerra come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali"
non farebbe ormai la figura del babbeo? Quella solenne dichiarazione aveva
un senso quando fu scritta, dopo un conflitto che aveva spezzato decine
di milioni di vite, distrutto decine di nazioni, spezzato per sempre una
civiltà. L'Italia era un cumulo di macerie e la guerra appariva
quel che era: sempre un problema e mai una soluzione di problemi. Ma
oggi lo abbiamo dimenticato.
La
sinistra italiana oggi trema all'idea che qualcuno possa suggerire che
non si voglia andare in guerra (contro chi? Contro i pastori afgani?).
"Pacifista" è un insulto, come nel Ventennio. E nell'ufficio in
cui lavoro i più giovani sono i più accaniti nell'invocare
lo sterminio fisico di tutti i mussulmani perché "con quella gente"
non è possibile discutere. Il genocidio di un miliardo di esseri
umani invocato senza batter ciglio: ma si rendono contro di quello che
stanno dicendo? No. Cresciuti a videogames sparatutto, sono
convinti che la guerra sia quello: comodamente seduti, sparare a bersagli
e leggere il punteggio alla fine. Salvo scoprire con orrore e shock che
poi i nemici ti vogliono morto, al punto da suicidarsi pur di farti fuori.
Questo non lo avevano previsto.
Coloro
che hanno chiamato "vigliacco" l'attentato terroristico dimostrano di essere
cresciuti in un mondo di videogames. Se è stato un atto di
guerra, come ha detto Bush, tutto è stato fuorché vigliacco:
come si chiama un soldato che sacrifica la propria vita per uccidere il
maggior numero di nemici? Lo si chiama eroe coraggioso, non vigliacco.
Eroe,
un assassino di massa? Proprio così: in guerra lo si chiama così.
Come si vede, la
guerra ha una logica perversa, perché la guerra si fa per ammazzare,
mica per fare punti prima che arrivi la scritta "game over". Invece negli
anni passati i mass-media, tutti in mano alle stesse dieci persone, ci
hanno lavato il cervello con varie versioni di guerre "umanitarie", "chirurgiche",
benefiche, gentili, ecologiche... Babbeo è chi ci ha creduto: c'è
voluto Bin Laden per mostrarci cos'è davvero la guerra.
A tutto
questo siamo arrivati anche per colpa di chi, come me, crede nell'umanesimo
e nella Ragione ma negli anni passati si è sentito scoraggiato
e inutile, e non ha fatto abbastanza, non ha protestato abbastanza, non
ha reagito abbastanza di fronte alle sbronze rambiste che di intervento
armato in intervento armato hanno visto la gente comune esaltarsi, rallegrarsi
per ogni bombardamento sui "cattivi". Cattivi che stranamente hanno tutti
una caratteristica: sono i nostri amici di ieri. Come Saddam Hussein, finanziato
e armato per una guerra di dieci anni per spezzare le reni all'Iran.
Come Milosevic, a cui fu lasciata mano libera in cambio della svendita
del patrimonio statale ex-iugoslavo. Come Noriega prima di loro, come i
talebani afgani, per finire proprio con lui, Bin Laden, addestrato dagli
americani, non certo dai palestinesi. [Nota del 2014:
Giustamente mi è stato fatto notare che gli americani non si sono
mai "sporcati le mani" direttamente sul campo ai tempi del conflitto Urss-Afghanistan,
anche per evitare un confronto militare diretto con l'Urss che avrebbe
potuto escalare in una guerra mondiale. La Cia agì sempre e solo
per tramite del servizio segreto pakistano, l'Isis, tuttavia l'appoggio
anche militare agli islamisti, i "freedom fighters" non era segreto,
anzi era proclamato come un dovere del Mondo Libero. Ho abbastanza anni
da ricordarmelo di persona. Oggi, 2014, la guerra non è ancora finita,
e gli americani stanno combattendo non solo con gli islamisti afghani,
ma anche con quelli pakistani, sostenuti... dall'Isis. Il che, credo, dimostra
il mio punto del 2001: allearsi coi ladri porta solo a trovarsi la casa
svaligiata].
Delle
due l'una: o queste persone sono criminali assoluti, e allora c'è
un deficit morale nell'Occidente che appoggia senza nessuna remora criminali
di questa taglia finché trova convenienza economica a farlo, oppure
non lo sono e sono definiti tali solo perché non fanno gli interessi
nostri, e allora il deficit morale c'è anche qui, perché
se il bene s'identifica solo con ciò che fa comodo a noi...
E in
effetti fuori dai nostri confini c'è un intero mondo che si è
ribellato a questa "morale" di chewing-gum, cercandone una più solida
altrove. La morte delle speranze razionali e laiche ha ridato fiato alle
speranze irrazionali, quindi alla religione.
La
morale occidentale non ha più nulla da dire, anche in Occidente,
anche in Italia, dove il deficit di morale viene colmato dal ricorso
alla religione e dalla "carità" al posto della giustizia. Abbiamo
visto mai negli ultimi anni una scelta compiuta, da una certa sinistra,
per scelte morali, e non per convenienza? La risposta è no. La sinistra,
la voce critica della società, ha perso la sua morale (quella della
solidarietà, quella del "nessun uomo è un'isola") al punto
che, sorprendentemente, nel movimento anti-G8 il nerbo è stato costituito
da movimenti cattolici.
La
prossima guerra a venire è forse inevitabile. Se per me la guerra
è quello che mi hanno raccontato i miei nonni (fame, fughe, distruzioni,
incendi, mitragliamenti, bombardamenti, amici spariti da un giorno all'altro,
paura, figli o parenti morti… un ragazzo col ventre squarciato e merda
e intestino sparsi tutto intorno, mentre lui muore dissanguato) per i miei
nipotini è ormai solo un nome di un tipo di videogames. Forse la
guerra è inevitabile per questo, perché nessuno che sia sano
di mente riesce più a concepire che sia possibile una follia di
queste dimensioni.
Purtroppo
lo è.
Forse
siamo ancora in tempo a fermare la prossima guerra ventura, se riusciamo
a convincere i nostri governanti che il mondo ha bisogno di più
giustizia, anche sociale, dato che da vent'anni i ricchi diventano sempre
più ricchi e i poveri più poveri e più oppressi.
E
dovremo convincere noi stessi che rinunciare alla Ragione e alle "utopiche"
idee di solidarietà ha consegnato il mondo in mano ai Bin Laden
e ai talebani di tutti i colori.
Forse
non ce la faremo. Ma la posta in gioco (la nostra stessa vita) è
talmente alta, che provare avrà comunque valso la pena.