"Definirsi è limitarsi"?
["Babilonia"
n. 118, gennaio 1994, pp. 70-71]
di:
Giovanni
Dall'Orto.
Foto di Eric Weigle (licenza Creative commons), |
Qualche settimana fa io e Roberto, il mio ragazzo (1), ci siamo presi una vacanza e siamo andati a Parigi.
Nella
visita abbiamo incluso il celebre cimitero
del Père Lachaise.
Essendo
noi gay, alle mete "canoniche" (Proust,
Rossini, Abelardo ed Eloisa... Jim Morrison) abbiamo ovviamente aggiunto
di nostro un piccolo pellegrinaggio lesbico-gay, portando una margherita
rosa sulla tomba
di Oscar Wilde, Gertrude
Stein-Alice Toklas eccetera.
|
"Grazie per tutto quanto", diceva una, in inglese.
Un adesivo di "Act Up" ricordava che "Silenzio = morte".
E poi,
in basso, una scritta in italiano... "DEFINIRSI È LIMITARSI".
Mi
è salito il sangue alla testa. "Non è possibile:
nemmeno qui, nemmeno in vacanza!", ho pensato.
Quella
frase era chiaramente il messaggio di un gay italiano ad altri gay che
lo avessero seguito: la conosciamo bene quella frase; l'abbiamo sentita
migliaia di volte in bocca ai gay italiani, e solo a loro.
Ebbene:
che senso ha limitare la propria visita in modo che fra migliaia
di tombe si arrivi a quella di Wilde, e poi limitare Wilde al suo
aspetto di gay, per poi... scrivere quella frase? Ma allora è vero
che la madre dei cretini è sempre incinta!
In effetti, se il cretino di cui sopra non fosse stato disinformato, avrebbe saputo che l'angelo sulla tomba di Wilde non ha i genitali perché è stato castrato anni fa da hooligans inglesi, che reputavano "scandaloso" che una persona come quella, da loro definita "poofter" (frocio), avesse una tomba in quel posto.
Se poi stupidità ed ignoranza non fossero gemelle, il cretino avrebbe saputo che Wilde non si "definì" mai: furono gli altri a definirlo, dopo il processo iniziato perché Wilde aveva denunciato Lord Douglas per averlo definito "somdomite" (sic). (Tanto per chiarire a quanto serve evitare di "definirsi"!). Fu per quello che morì a Parigi, in esilio, e non nella sua bella casa di Londra.
Infine, se la stupidità non rendesse ciechi, il cretino (sempre lo stesso) si sarebbe accorto che scrivendo quella frase si definiva e "limitava" in quanto gay, perché quella frase ha senso solo nel linguaggio che esprime le preoccupazioni dei gay italiani (e solo quelle). Dimostrando così che è impossibile, nella vita, non definire e definirsi, lo si voglia o no.
Nel mio articolo Questioni di etichette.(2) avevo già osservato come, a furia di cercare scuse per rifiutare un'identità omosessuale, le/gli omosessuali finiscano col diventare riconoscibili fra tutti proprio per via della loro ossessione di non essere riconoscibili. Dato che per le persone eterosessuali definire la propria identità sessuale è la cosa più ovvia del mondo, chi rifiuta a tutti i costi di definire la propria sessualità non può che essere una persona omosessuale. Come nel caso dell'autore della scritta di Parigi...
Alcune osservazioni e critiche che ho ricevuto dopo aver scritto quell'articolo mi hanno mostrato che l'argomento non è esaurito, per cui cercherò qui di spiegarmi meglio.
Vorrei farlo anche perché, riflettendoci su, mi è caduta sott'occhio un'ulteriore dimostrazione di quanto sia pretestuoso rivendicare di essere "solo persona, non omosessuale": parlo della scandalosa incapacità dimostrata dalle persone omosessuali di essere in primo luogo e fino in fondo "persone" ogni qual volta si tira in ballo la loro omosessualità.
Facciamo
un esempio: qualcuno picchia un gay in un luogo d'incontro gay. Qualsiasi
persona vittima di un assalto reagirebbe denunciando immediatamente l'accaduto
alla polizia.
Qualsiasi
persona... ad eccezione del gay. Motivo della reticenza: il terrore
di essere "etichettato" come omosessuale per aver sporto denuncia.
Questo fatto mostra come proprio chi più si scalda a spiegare di "essere solo persona, non omosessuale" sia poi di solito incapace di comportarsi nella vita come una normalissima "persona", perché si sente innanzi tutto omosessuale, e poi... niente altro, rinunciando a tutti i diritti (alla vita, all'integrità fisica, alla ricerca della felicità) che una qualsiasi persona eterosessuale sente di avere ed ha.
Dunque,
come si vede (e potrei moltiplicare gli esempi), non sono io a "ridurre"
la mia vita al mio essere omosessuale. Come ho già detto nell'articolo
sopra citato, la mia omosessualità è sempre con me, in ogni
momento della mia vita, ed è perciò impossibile dimenticarmene
o far finta che non sia importante.
Ma
per la stessa ragione il mio essere tante altre cose è sempre con
me, anche quando è in ballo la mia omosessualità, ed esattamente
nello stesso modo e per la stessa ragione per cui io non posso mai smettere
di essere omosessuale, io non posso mai smettere di essere tutte le altre
cose che sono.
Ad esempio, io sono italiano. Sono un italiano che è anche omosessuale (e in quanto tale è escluso dall'applicazione di determinate leggi), ma viceversa sono anche un omosessuale che è anche italiano, e che quindi quando ragiona e scrive lo fa (a cominciare dalla lingua che usa) partendo sempre dalla sua condizione d'italianità. Lo stesso vale per il gay della scritta di Parigi, che ha espresso nella sua frase un'ossessione che è tipicamente italiana, e non tedesca o finlandese...
Parimenti,
io sono un italiano, un giornalista, se volete anche un gay (ma qui importa
poco), che ama in maniera smodata la musica classica pre-ottocentesca.
Ebbene:
se non fosse perché qui sto facendo un esempio, non m'interesserebbe
parlare di questo fatto ai lettori di "Babilonia", e ciò non solo
per il motivo facile da immaginare che a loro frega poco sapere che tipo
musica mi piaccia, ma anche per il motivo opposto: non interessa a me
che loro lo sappiano. Questa parte di me appartiene alla mia vita privata,
e al massimo riguarda quegli amici che ho scelto proprio perché
condividevano questa passione.
Ciò
significa forse che quando io scrivo per "Babilonia" o partecipo ad un'assemblea
gay la parte di me che ama la musica classica smette di esistere? O non
significherà che io sono sempre, in ogni momento della mia
vita, sia un gay sia un amante di musica classica, e che a seconda delle
circostanze mi presento agli altri con una faccia o l'altra (e se voglio
con entrambe)?
Il
secondo è il mio punto di vista.
Io
non dico, come qualche furbetto va in giro a dire per farmi sembrare un
perfetto scemo, che nella vita bisogna essere prima omosessuali
e poi il resto, o peggio che nella vita bisogna essere solo
omosessuali (che noia sarebbe!).
Io
non ho mai detto questo, né lo ha mai detto nessun militante
gay del mondo. Quel che si è detto è che le persone omosessuali
devono smettere di vivere sull'orlo della pazzia, per ricordarsi di essere
anche persone, anche esseri umani dotati di dignità, diritti
e possibilmente un minimo di coraggio (3).
|
Quest'anno
ho cambiato medico, ed ho scelto la dottoressa che già curava Roberto.
Mi era sembrata brava, e poi non ha battuto ciglio vedendo durante una
visita, me presente, il nostro letto matrimoniale in cui era steso Roberto
con un febbrone.
Al
momento di compilare la mia scheda medica, dopo averle parlato della pleurite
fatta all'asilo, dell'epatite "A" fatta alle medie e dell'appendicite fatta
al liceo, ho anche aggiunto di essere gay, di essere il partner di Roberto,
e di aver fatto due volte il test Hiv (era negativo). La sua reazione?
Ha detto: "Ha fatto bene a dirmelo", e ha scritto un appunto sulla mia
scheda.
Mi
ha schedato? Certo che sì: gliel ho detto apposta. Dopo
aver fatto il test per due volte ho deciso che bastava, ma se un giorno
dovessi avere un sintomo legato a un'infezione da Hiv che il test, che
non è perfetto, non aveva rilevato, io esigo che il mio medico
arrivi subito alle conclusioni giuste. Lo stesso avrei fatto se fossi stato
un minatore, un fumatore, un emofiliaco... Qualsiasi condizione che possa
avere effetti sulla nostra salute deve essere comunicata al nostro medico,
giusto?
Giusto.
Però
ho scoperto che gli omosessuali non lo fanno mai. Per non farsi "schedare"...
sai com'è...
Anche
dal medico smettono insomma di essere normalissime persone, e si
ritrovano ad essere prima di tutto, prima di qualsiasi altra cosa, omosessuali...
e poi basta.
La
loro omosessualità divora così il fatto di essere cittadini
italiani, mutuati, persone che vanno a farsi visitare ad un medico... persino
il fatto di essere persone soggette a certe malattie e alla morte!
Come
si vede, non è definendosi omosessuali che ci si "limita".
Al contrario, ci si limita rifiutando di dichiararsi omosessuali,
perché la paura di esserlo ci spoglia, un pezzo alla volta, di tutti
i diritti (e doveri!) che qualsiasi persona normalissima, come siamo noi
omosessuali, possiede.
Alla
fine, denudata di tutto, resta solo la caricatura dell'omosessuale, mummia
imbellettata di bugie.
Per
qualche ragione misteriosa la caricatura dovrebbe essere, secondo chi mi
contesta, preferibile alla condizione della persona omosessuale che è
se stessa, tutta intera, in ogni momento della vita!
Fin
qui le mie riflessioni. Mi ha fatto effetto scriverle, perché sono
l'ABC di qualsiasi movimento gay di qualsiasi parte del mondo. Il fatto
che in Italia, dopo oltre vent'anni, siamo ancora qui a discutere sull'ABC,
mi scoraggia, lo confesso (4).
Eppure
bisogna farlo, almeno fin quando i militanti non avranno capito che
questi concetti non sono affatto "facoltativi", come amano pensare: sono
invece le pietre angolari senza le quali l'edificio della liberazione lesbica
e gay non sta in piedi.
L'ho già detto e lo ripeto: è uno spreco affannarsi con i "matrimoni in piazza" o le "case ai gay", o i "congedi matrimoniali per coppie omosessuali" finché in Italia mancano le persone capaci di usufruire di queste conquiste. Quante coppie lesbiche o gay hanno chiesto ed ottenuto un alloggio dopo la brillante vittoria delle "case ai gay"? Temo di conoscere la risposta...
È
inutile affannarsi a stampare testi universitari quando poi nessuno sa
né leggere né scrivere: più utili sono in questo caso,
(nel nostro caso), gli abecedari. Darsi le arie d'essere al livello
degli americani fa chic e piace agli scansafatiche: per farlo basta
scimmiottarli ("i gay nell'esercito": davvero!).
|
Basta così. Se è questo che dobbiamo fare, ricominciamo dall'ABC, gettando a mare la zavorra delle persone che non vogliono accettare (non necessariamente in modo pubblico) la propria omosessualità, cioè persone che rifiutano una forte e chiara identità gay.
So
che secondo certi militanti l'identità omosessuale è "ghettizzante":
io però ribatto che sarebbe ora che queste persone formassero il
loro movimento "non ghettizzante" e lasciassero in pace noi "ghettizzati".
Questo
perché dobbiamo esigere finalmente che ogni singolo gruppo, Arcigay
e non, abbia almeno una persona che sia pubblicamente lesbica
o gay, senza storie, pretesti, scuse.
Nessuno
obbliga nessuno a "venir fuori", ma nessuno obbliga le "velate ad oltranza"
a zavorrare il movimento gay: glielo ha forse ordinato il medico? (5)
I problemi di "immagine" nascono perché i gay in Italia non hanno un'immagine che non sia quella, repellente, che gli altri proiettano su di loro. Quando ne prenderemo atto, una buona volta?
Quanto a me, provo una certa nausea a discutere, dopo vent'anni di movimento gay, se sia lecito o no dirsi gay, con avversari che usano gli identici argomenti di trent'anni fa (6). Nel frattempo in una qualche città un omosessuale è stato picchiato e non denuncerà l'accaduto perché non vuole essere "etichettato", eccetera...
Rinuncerà
ai suoi diritti civili, alla sua dignità, ai suoi diritti umani,
per non dover difendere le sue scelte di vita...
E
questo, porco mondo, non è forse super-"limitante"?
Note aggiunte nel 2008
1)
Del 1994. Ora siamo solo amici...
2)
Apparso su "Babilonia"
n. 114, luglio-agosto 1993, pp. 70-71.
3)
Ecco
un esempio, fra mille, delle dichiarazioni che leggevo nel periodo in cui
scrissi questo articolo. È tratto da: Francesco Rapazzini, Lo
strano mondo di Hervé, "Babilonia" n. 181, ottobre 1999, p.
45:
D.: Hervé Guibert rifiutava di essere considerato "gay". Perché?4) Il bello è che non immaginavo neppure nei miei peggiori incubi che sarei stato ancora lì a discuterne dopo trentacinque anni, in un Paese totalmente bloccato ed incapace di concedere qualsiasi spazio ai gay... Anche per colpa della loro incapacità di definirsi come tali, guarda caso, che ha impedito loro di esporsi per rivendicare...
R.: Perché non credeva nelle etichette. Perché non credeva nei limiti. E dirsi omosessuale lo limitava. Lui andava oltre nei rapporti. Al di là di qualsiasi tipo di barriere sessuali. Questo andare oltre lo portava però anche a una voglia di distruggere tutto, sia le amicizie sia i suoi amori: attraverso la scrittura. Non ha risparmiato nessuno.
Esseri umani, non gay o etero.
Gentile direttore, se mi chiedono se sono gay oppure eterosessuale devo confessare che sono un essere umano e non amo essere qualificato in base ai miei gusti sessuali.
Definire una persona in termini sessuali è molto riduttivo e impreciso. La sessualità è un prodotto della mente. Non ha niente a che fare con gli organi sessuali fisici (pene-vagina). L'attrazione sessuale è un prodotto della mente.
La mente che cerca un oggetto in cui perdersi, in cui annullarsi. Infatti un atto sessuale senza coinvolgimento mentale non offre nessun appagamento, mentre al contrario pensare al sesso intensamente può essere molto più soddisfacente che farlo. Il corpo non prova emozioni, la mente sì. Il massimo è quando la mente è in sintonia con il corpo, perciò quello che avviene nel corpo si ripercuote sulla mente e viceversa.
Coloro che si definiscono eterosessuali o gay sono al livello di coloro che si sentono bianchi o neri, interisti o milanisti, italiani o tedeschi. È un modo per differenziare senza nessuna necessità. Se io parlo tedesco niente mi può impedire di parlare anche italiano, ma se io mi considero tedesco e non un essere umano che può parlare tedesco, inglese o italiano, io facilmente mi precludo la possibilità di parlare altre lingue perché avrei paura di perdere la mia identità.
Per questo è importante non identificarsi con caratteristiche particolari, ci precluderemo la libertà di essere molto di più.
Paolo B..... - sociologo.
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