Circolo vizioso.
Quando la polizia perseguita i locali gay.
di: Giovanni Dall'Orto.
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Il bar dell'"Illumined" di Milano. |
Quaranta
ispezioni nel giro di quattro anni. Polizia, guardia di finanza, vigili
del fuoco, vigili dell’annonaria, ufficio settore edilizio del Comune…
Tutti lì a verificare un unico locale, l’Illumined di Milano.
Controlli
sui libri contabili, sui dipendenti, controlli antidroga, sulle uscite
di sicurezza, sulle licenze, sui tesserini sanitari, sui libri soci, sul
livello di rumorosità…
Risultati?
Niente. Zero. Nada. Nulla…
Eppure
le ispezioni continuano, e continuano i
tentativi di mettere i sigilli al locale, regolarmente fatti
togliere dai magistrati non appena le accuse arrivano al loro vaglio.
Forse
non occorre essere un accanito militante gay per azzardarsi a usare la
parola “persecuzione” per descrivere quanto sta accadendo all’Illumined,
il noto sex club gay affiliato ad Arcigay. Un club che le “forze
dell’ordine” hanno deciso di chiudere a qualsiasi costo, peraltro
senza riuscirci.
I guai
erano iniziati con un vicino scandalizzato all’idea di avere un locale
gay nei paraggi. Ma soprattutto (come ha messo per iscritto in uno dei
suoi esposti) a poca distanza “dal Tempio del Beato Camillo” (cioè
la
chiesa di San Camillo de Lellis).
Presto
però questa lite di condominio s’è trasformata in un caso-simbolo,
con implicazioni politiche, proprio per la capacità di ribattere
colpo su colpo dimostrata dal circolo preso di mira. Infatti i gestori,
per precedenti esperienze nel campo gay, avevano sentito arrivare la marea
antigay montante a Milano, e aprendo l’Illumined s’erano assicurati con
particolare minuzia d’essere in regola con tutte le mille regole della
burocrazia italiana.
Frustrata così la speranza di rilevare qualche irregolarità vera, si è passati a cercarne di false, come ad esempio la presenza di troppi soci nel locale in rapporto al numero d’uscite di sicurezza… richiamandosi però a un regolamento che vale unicamente per cinema e teatri, e non per ristoranti, bar e locali di qualsiasi altro tipo… Anche questa accusa è quindi caduta.
Si
sono allora mandati due veri e propri agenti-provocatori in borghese a
innescare un litigio alla cassa per tesserarsi ed entrare immediatamente,
senza rispettare le 24 ore d’attesa previste per l’accettazione della richiesta
d’iscrizione.
Questo
gesto aveva lo scopo di dimostrare (come è stato contestato espressamente)
che quelli Arcigay non sono circoli privati, bensì locali pubblici,
in cui chiunque si presenti può entrare (magari dopo avere urlato
e insultato all’ingresso) senza alcun filtro.
Una
volta dimostrata questa tesi, gli approcci sessuali fra i soci possono
essere incriminati come “atti osceni in luogo pubblico” (e un’accusa
di questo tipo a carico del circolo è stata in effetti comunque
verbalizzata; il procedimento non è stato ancora archiviato).
Ora,
il vicino cattolico avrà
anche avuto qualche “santo in cielo” e qualche corsia preferenziale,
ma per quanto “ben immanicato” fosse non sarebbe mai riuscito a ottenere
lo sproposito di 40 ispezioni se la sua protesta non fosse stata
in sintonia con la campagna generale di persecuzione, che da dieci anni
la giunta di centrodestra di Milano sta conducendo contro i luoghi d’incontro.
Quelli gay in prima linea, quelli per i giovani subito dopo e quelli notturni
a seguire (compresi
quelli eterosessuali).
Alla
fine, dopo aver sperato per anni invano di poter arrivare a ragionare con
la procura di Milano, i gestori hanno deciso che non valeva la pena di
tenere un basso profilo, e hanno reagito, convocando
una conferenza stampa il 28 giugno scorso al palazzo di giustizia.
L’elemento scatenante della pubblica denuncia è stato l’intervento del presidente nazionale Arcigay, l’avvocato Paolo Patanè, che di fronte all’ennesimo blitz ha contattato il procuratore aggiunto Nicola Cerrato per cercare di chiarire la situazione. E Cerrato ha semplicemente rifiutato l’incontro.
Così, nella conferenza stampa Patanè ha ribadito senza più reticenze che 40 ispezioni autorizzano ormai a parlare di “persecuzione”, aggiungendo che “c’è un interesse anomalo da parte della magistratura milanese per i circoli privati, non solo omosessuali, che contrasta col diritto costituzionale all’associazionismo” (il filmato del suo intervento è su YouTube).
Nella stessa occasione l’ex presidente Arcigay Franco Grillini ha ricordato l’importanza che i luoghi aggregativi hanno per la minoranza omosessuale, che spesso ha come unica “alternativa” luoghi funestati da atti di violenza omofoba.
Sorge
spontanea la domanda relativa a dove voglia arrivare il sindaco Letizia
Moratti per questa strada.
È
vero che l’organizzazione dell’Expo ha finora messo in rilievo unicamente
la sua assoluta incapacità organizzativa, ma davvero suor Letizia
& soci credono d’attirare una milionata di visitatori a Milano comunicando
loro che, dopo l’orario di lavoro, devono tornarsene tutti in albergo senza
andare in giro a far chiasso, perché tanto di locali aperti
non ne troveranno?
O
si pensa davvero, dopo aver trasformato in deserti le piazze e i parchi
di Milano, che i visitatori stranieri andranno al centro commerciale “Fiordaliso”
per passare la serata guardando un film nel multisala di proprietà
dell’on. Berlusconi, come si vorrebbe che facessero tutti i milanesi?
Ma chi lo suona il campanello della sveglia, a questi qua?