Perché appoggio la candidatura
di Franco Grillini contro Francesco Rutelli
a sindaco di Roma
[28
marzo 2008]
di: Giovanni Dall'Orto
Credo
proprio che non dirò nulla di sorprendente affermando che la
strategia adottata dal movimento lgbt italiano negli ultimi quindici
anni si è rivelata, facendo un bilancio, un totale fallimento.
Il
dialogo con il mondo politico non ha ottenuto nulla: non dico una legge
sui matrimoni gay come in Spagna, ma neppure una banale, scontata legge
antidiscriminatoria (o meglio: abbiamo la legge ottenuta da Gianpaolo Silvestri
per l’asilo politico ai migranti gay, che è importante… ma che paradossalmente
riguarda tutti fuorché i gay italiani).
|
Questa
non è una mia impressione soggettiva. Invito
tutti a dare un’occhiata a questa mappa, che segna in giallo i Paesi
che non hanno alcuna legge in difesa delle coppie gay, in verde quelli
che hanno le unioni civili, in viola quelli che hanno il matrimonio gay.
L’Italia vi appare come una appendice isolata, letteralmente ai margini
dell’Europa, al pari dell’Irlanda.
Credo
che questa immagine parli più di mille analisi.
Personalmente,
non sono né favorevole né contrario a trattare col mondo
politico. Se è utile farlo, va fatto, se non è utile, non
farlo non è un’eresia: esiste vita dopo il mondo politico…
Nei
miei trentun anni di militanza gay, ho vissuto prima una fase in cui la
linea era “lo Stato si abbatte e non si cambia”; e successivamente una
in cui la linea è stata “dopo tutto, lo Stato può essere
cambiato, quindi facciamolo”. Ovviamente di solito è più
facile cambiare uno Stato che abbatterlo… ma quando, passati decenni di
sforzi,
si nota che lo Stato italiano è l’unico in Europa a non essere cambiato
di uno spillo, i dubbi sul fatto che dopotutto gli slogan che andavano
per la maggiore quando eri ragazzo fossero veri, ti vengono eccome.
Sinceramente
non so dire quanta voglia ho di prendere il moschetto ed assaltare il Palazzo
d’Inverno, anche perché nel frattempo sono ingrassato molto e sono
quindi fuori forma, e sono pure diventato nonviolento, quindi ho l’allergia
ai moschetti. E poi la mia mira non è mai stata granché,
visto quanto sono “cecato”. Quindi preferirei, se fosse possibile, cambiarlo,
questo benedetto Stato in cui vivo…
Anche
perché attorno a me la gente, in questi trent’anni, è cambiata,
ed anche tantissimo. I gay che hanno vent’anni oggi non riescono a comprendere
quanto sia cambiata la società italiana, quanto fosse diverso (in
peggio) essere gay trent’anni fa rispetto ad oggi. È difficile per
loro comprendere quanto siamo riusciti a cambiare i nostri connazionali,
e quanto questo successo strida con l’assoluta impenetrabilità della
“casta” dei politici di professione.
E
quando dico che la società è cambiata, intendo dire che è
cambiata tutta, a tutti i livelli. Quando vedo la
figlia di Silvio Berlusconi che ha due figli senza essere sposata,
quando vedo che tutti
i leader di tutti i partiti di centrodestra o sono divorziati (Berlusconi,
Casini, Fini) o hanno vissuto per ere geologiche in coppie di fatto e procreato
figli prima del matrimonio (Bossi), comprendo che il cambiamento
sociale è ormai generalizzato e irreversibile. Al punto che
coloro che gli si oppongono a parole nella pratica sono comunque parte
del cambiamento che combattono: in altre parole la realtà è
cambiata al punto da cambiare coloro stessi che si oppongono al cambiamento.
Ma allora perché non siamo riusciti a cambiare le leggi? Perché anzi siamo l’UNICO Paese d’Europa che non è riuscito a cambiare le leggi? Altri Paesi sono passati senza traumi, in questi trent’anni, dalla criminalizzazione dei gay ai Pacs e alle leggi antidiscriminazioni. L’Italia, invece è ferma al XIX secolo.
La
risposta che do a questa domanda è complicata e non è il
caso di stare a sviscerarla qui nei dettagli. Per riassumerla in due parole,
le cause sono molte, e vanno dalla mancanza di un movimento “omofilo” nel
primo dopoguerra (di cui stiamo ancora pagando le conseguenze) alla particolarità
antropologica del mondo lgbt italiano (diviso
fra due concezione distinte dell’omosessualità al Nord e al Sud),
fino alla peculiare incultura e all’arretratezza della casta politica italiana,
una delle più buzzurre e arretrate d’Europa (i nostri parlamentari
non sanno mandare un’email, e basta sentire Berlusconi parlare inglese
per avere un attacco isterico di riso).
E
sì, nella mistura c’entra anche la Chiesa cattolica… Ma solo fino
ad un certo punto, dato che tutti e tre i Paesi che in Europa prevedono
il matrimonio gay (Spagna, Belgio e Olanda) sono o cattolici o a maggioranza
cattolica.
Questa
circostanza dimostra che il papa è solo un alibi per scaricare
su altri le proprie colpe: quei Paesi cattolici che lo desiderano, del
papa possono fregarsene alla grande. E come dimostra la recentissima riconferma
elettorale di Zapatero, gli elettori li premiano anche, se lo fanno…
La
mia opinione è in effetti che non è vero che gli italiani
siano omofobi perché sono cattolici, ma all’esatto opposto che siano
cattolici in quanto sono omofobi e la Chiesa cattolica è l’ultimo
grande Potere Forte rimasto a dare una legittimazione totale ai loro preconcetti
razzisti preferiti.
Il
caso di Giuliano Ferrara, un ateo che va a messa perché solo la
Chiesa sa davvero apprezzare la sua visione reazionaria del mondo, è
l’esempio ideale di quanto sto dicendo: in Italia siamo cattolici perché
siamo reazionari, e non l’opposto.
Con
queste premesse, direi che il nocciolo del problema è proprio la
casta politica.
Che
non è un problema solo per i gay, intendiamoci. È un problema
per il Paese intero. Che non a caso perde colpi e posizioni in tutto, sulla
scena internazionale.
Ma
siccome qui sto ragionando della questione lgbt, mi si perdonerà
se la mia analisi resterà fissa su questo particolare aspetto.
Dunque: la casta politica è il problema, e non la soluzione ai nostri problemi.
Non
ho nulla da rimproverare alla leadership del movimento gay per avere,
negli ultimi decenni, tentato di portare avanti (anche attraverso l’elezione
di alcuni di noi in Parlamento), il dialogo col mondo politico, allo scopo
di ottenere leggi di cambiamento. Questo tentativo andava compiuto (ed
io ho condiviso pienamente il fatto di compierlo), come è
stato fatto in tutti gli altri Paesi europei… sia pure con risultati ben
diversi.
In
trent’anni di militanza ho conosciuto abbastanza i movimenti gay stranieri
per dire che il movimento lgbt italiano non è peggiore di
quelli delle altre nazioni. Per certi versi è magari peggiore (l’organizzazione
italica non è certo la stessa cosa dell’organizzazione tedesca o
scandinava…) tuttavia per altri versi è addirittura migliore, fino
al paradosso di dare all’Italia il record di nazione con la più
grande associazione gay del mondo (Arcigay).
Personalmente
io credo insomma che il problema non sia venuto tanto dai nostri portavoce
(ognuno dei quali ha i suoi difetti, sia chiaro: da reginismi allucinanti,
a “ego” gassosi che si espandono senza limite, ai bellafighismi vari -
ma che come politici hanno complessivamente saputo fare il loro lavoro...
peccato solo che fossero in 4 contro 996) quanto dagli interlocutori che
si sono trovati di fronte.
I
quali hanno semplicemente deciso che loro da questo orecchio non ci volevano
proprio sentire.
Da
tale comportamento mi pare che chiunque non voglia perseverare nell’errore
debba concludere che il periodo di "dialogo" è finito (e
non per decisione nostra).
E
credo che tutti possano testimoniare che i gay italiani hanno dato prova
di moderazione, fino al puro e semplice (e perdente) moderatismo,
per evitare lo scontro muro contro muro, e per dare al Paese il tempo e
il modo di assorbire senza traumi le loro richieste.
Ebbene:
la moderazione, semplicemente, non ha pagato. Il fatto di esserci accontentati
di poco nelle nostre richieste non è stato preso come prova di disponibilità
al dialogo, ma come pura e semplice debolezza, spingendo i nostri interlocutori
a puntare sempre più al ribasso, fino al puro e semplice nulla.
Uno
dei principali autori dell’ostruzionismo antiomosessuale (campo
nel quale, sia chiaro, sarebbe imbarazzante indire una gara per scoprire
quale leader di partito sia peggiore: troppi ex aequo per stilare una classifica…)
è stato fin dagli anni Novanta Francesco Rutelli. Prima come
sindaco di Roma, poi come leader della Margherita.
Non
è il caso di stare a fare qui la lista (peraltro
già online da gran tempo) dei peccati di iper-clericalismo
di Rutelli, un politico che della subordinazione alle gerarchie cattoliche,
le nostre nemiche giurate e dichiarate, ha fatto uno stile caratterizzante.
Trovarmi
questo avatar di Ruini come candidato del centro“sinistra” nella
capitale italiana è più di quanto io possa sopportare. Della
serie: “Continuiamo a farci del male”. I seminari sono vuoti, i
matrimoni civili superano in sempre più città quelli religiosi,
fra vent’anni i preti italiani saranno estinti perché la loro età
media è sessant’anni, i cattolici (a iniziare da Casini) divorziano,
le cattoliche prendono la pillola, i preti hanno la tessera Arcigay… ma
l’invotabile Rutelli ritiene che il popolo romano langua e muoia dal desiderio
di tornare sotto il controllo del papa-re. Non certo in modo diretto (le
forme vanno rispettate…) ma indirettamente, per mezzo suo, sì.
Quel
che è troppo è troppo!
Una
cosa è fare conto sulla tradizionale tolleranza che i laici hanno
verso tutte le opinioni altrui. Noi laici non abbiamo bisogno di o convertire
o mandare al rogo chi non la pensa come noi. Per risolvere le dispute noi
laici abbiamo inventato un sistema che si chiama “democrazia”, che ha difetti
e inconvenienti ma fino ad oggi ha funzionato non malaccio.
Un’altra
cosa è però approfittare della nostra tolleranza,
scambiandola per incapacità di difendere le nostre idee e le nostre
ragioni. Come qui sta palesemente accadendo.
Non
so per chi mi legge, ma per me è arrivato il momento di mandare
un segnale sul fatto che non è vero che chi non è clericale
(ovvero il 70% della popolazione, dato che secondo
un’indagine Eurispes del 2006 solo il 30% degli italiani va a
Messa tutte le domeniche) è un cagasotto che manda giù tutto
quello che i clericali gli impongono di fare.
Soprattutto
perché il punto di vista clericale non rappresenta più
neppure il punto di vista degli stessi cattolici: nell’inchiesta Eurispes
appena citata il 68,7% dei cattolici (ho detto dei cattolici, non
dei laici) era favorevole ai Pacs (e il 58,7% lo era alla
fecondazione assistita!), a cui Rutelli è invece ottusamente contrario.
Ma
allora il punto di vista di chi sta esprimendo, Rutelli? Quelli dei laici
no, quelli dei cattolici nemmeno… Evidentemente esprime unicamente il punto
di vista della Casta del potere, con o senza sottane che sia.
|
In
base all’analisi che ho appena fatto, la
candidatura “donchisciottesca” di Franco Grillini mi è
sembrata la sola cosa nuova nella proposta politica in quella che dopo
tutto (alla faccia dei leghisti del Nord e del Sud) resta la Capitale della
nostra nazione.
Ho
firmato l’appello per la sua candidatura. E sto scrivendo queste righe
per motivare la mia firma, nonostante il partito con cui Grillini si sta
presentando (…nobody is perfect), quello socialista, non sia affatto
quello che io voterò alle prossime elezioni (io voterò Arcobaleno).
In
effetti, la possibilità di dare un voto “disgiunto” (cioè
dare due voti separati, uno per la coalizione ed un altro per un sindaco,
non necessariamente quello indicato dalla coalizione) crea anche a Roma
un’occasione per dare un segnale di quanto il voto laico possa e debba
diventare decisivo nella politica italiana del futuro. Mastella ha tenuto
in ostaggio il governo per due anni coll’1,5% dei voti, ma del 70% di italiani
che non sono clericali nessuno vuole tenere conto, e a loro nessuno vuole
dare la voce.
Occorre
perciò sottolineare una buona volta il fatto che moderazione e tolleranza
laica non vogliono dire disponibilità a subire qualsiasi cosa, non
vogliono dire passività e acquiescenza di fronte a qualsiasi sopruso.
Lo
so benissimo che un Franco Grillini, che non ha alle spalle nessuna struttura
(i froci sono malvisti anche fra i socialisti, che credete?), nessuna rete
di Tv e nessun gruppo di capitalisti a finanziargli la campagna, non ha
la minima possibilità di essere eletto sindaco. Ma anche un segnale
ha senso, in politica. In
politica "i
voti si pesano, non si contano". L’esistenza di un gruppo deciso
a mandare un segnale è di per sé un fatto di cui un politico
è obbligato a tenere conto. Agendo di conseguenza.
Per
questo rifiuto la logica che ci viene propinata da giornali e Tv in questi
giorni: il risultato è già deciso in anticipo, quindi esistono
solo le possibilità di adattarsi e accodarsi ai presunti vincitori,
oppure di rinunciare ad andare a votare in modo differente da quello previsto
e bla bla bla.
E
perché mai? Perché mai devo rinunciare ad esprimere un
punto di vista diverso da quello preconfezionato e deciso nelle segreterie
della Casta, che hanno già deciso per nomina i parlamentari prima
ancora che noi ci scomodiamo ad andarli a votare? Semmai “devo” fare l’esatto
opposto…
Io
sono un accanito nemico dell’astensionismo. Il voto è un diritto
acquisito con decenni di lotte. Molti nostri bisnonni sono morti perché
la polizia sparava sul “popolino” sovversivo che aveva l’assurda pretesa
di votare. Astenersi non è una protesta: è un favore fatto
a coloro che ieri sparavano sui nostri bisnonni, ed oggi si vedono risparmiare
la fatica di farlo per ottenere lo stesso risultato di allora – tenerci
lontani dalle urne.
Il
fatto che ormai il significato del voto sia stato svuotato dai giochini
di una casta autoreferenziale, non significa che dobbiamo rinunciare al
voto, significa anzi l’esatto opposto: che dobbiamo gettare sabbia negli
ingranaggi dei giochini della casta, e riprendere il controllo delle
decisioni politiche.
La
candidatura di Grillini è dal mio punto di vista esattamente questo:
un granello nell’ingranaggio. È un segnale. Più voti prenderà
la sua candidatura di sindaco (anche col “voto disgiunto”), e più
la Casta capirà che occorre tenere conto non solo dell’1,5% di Mastella,
ma anche del 70% degli elettori non clericali.
Né
mi convincono le affermazioni di chi, come
Imma
Battaglia, ha affermato che bisogna votare Rutelli perché tanto
sarà con lui che poi dovremo trattare a Roma. Sul fatto che
sia possibile “trattare” con Rutelli, ho i miei vivi dubbi, visto il suo
curriculum
passato, che la Battaglia dovrebbe essere la prima a conoscere in base
alla sua esperienza col World Pride.
Rutelli
è capace solo di finanziare i gruppi gay che accettano di stare
zitti e non fanno nulla che gli crei problemi. Come militante gay io
non ho nulla da guadagnare (a differenza della Battaglia) da una simile
politica -- tanto i soldi non li incasserei certo io.
Non essendo romano, non mi riempie di nessun entusiasmo l’idea che i gruppi gay romani da un lato rivendichino (giustamente!) la loro rilevanza nazionale in quanto gruppi della capitale della nazione, dall’altra però accettino di farsi riempire di soldi la bocca per tacere su tutto ciò che abbia un rilievo nazionale. Come è accaduto di recente in occasione della discussione del registro delle Unioni civili di Roma, che ha registrato un silenzio assordante da parte di molti gruppi lgbt romani (con l’eccezione del Mario Mieli, che si è impegnato nella raccolta delle firme), e una grata pioggia di finanziamenti subito dopo la secca bocciatura della proposta.
Non
posso dire che certi gruppi romani abbiano venduto la primogenitura per
un piatto di lenticchie perché gli
assegni staccati in cambio del silenzio permettono di comprare più
caviale che lenticchie, ma il concetto che intendo esprimere è
quello.
Capisco
che Grillini non possa permettersi di offrire piatti di caviale per comprare
la primogenitura di chicchessia, ma è esattamente questo che mi
spinge ad appoggiare la sua candidatura invece che quella di Rutelli. Imma
Battaglia sceglierà secondo il suo interesse, ma io scelgo secondo
il mio. Questo
modo di agire si chiama “fare politica”. Sorry.
Per i motivi che ho appena elencato io invito tutti coloro che possono votare a Roma: primo a non rinunciare a votare, dato che una simile rinuncia fa unicamente il gioco della Casta, e secondo a votare per Franco Grillini sindaco (se poi non volete votare socialista, ovvero per il partito del pregiudicato Bettino Craxi e di tanti altri pregiudicati, diciamo che sono perfettamente d’accordo: e giù un bel voto disgiunto, allora!).
È
solo un granello di sabbia? Lo è. Ma è un granello nell’ingranaggio.
Un buon inizio (certo, nient’altro che un inizio) per disturbare e auspicabilmente
fermare la marcia “inarrestabile” della Casta.
Provarci
non costa nulla.
Nota: il progamma di Grillini, incentrato sulla laicità e sulla solidarietà sociale, è qui.
Nota: Una risposta, a firma Marco Belfiore, ad alcune delle mie critiche di cui sopra, è apparsa sul sito del Di'Gay project col titolo Risposta alle accuse di Giovanni Dall'Orto a Imma Battaglia.Il medesimo sito ha pubblicato in calce la mia mail di replica, che ho riprodotto anche nel mio sito, qui.
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