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Sul caso del ragazzo suicida: non tutto quadra.

[Da Facebook, 23 novembre 2012]

di: Giovanni Dall'Orto.
 
 

 

Sul caso del ragazzo suicida: non tutto quadra.

Ho letto i comunicati stampa d'insegnanti e compagni del "ragazzo coi pantaloni rosa", il quindicenne che s'è impiccato ieri l'altro a Roma per presunto bullismo omo/transfobico.

Rispetto il dolore di tutti, come vorrei che fosse rispettato il mio se fossi io in quel frangente, ma non tutto quadra.
Dopo trent'anni di movimento so che non sarebbe questa la prima volta che genitori e amici "non sapevano" (com'è noto, i genitori sono spesso gli ultimi a cui lo si va a dire, non i primi, quando si scopre di essere gay o trans), o che i presidi dichiarano "non c'è omofobia in questa scuola. Anzi, pensi, non ci sono neppure gay...".
Sul profilo Facebook del ragazzo ci sono cose strane, come la pompa-idrante accanto alla scritta "questo è quello che vuole fare da grande": le pompe, appunto. Né va sottovalutato come certi "scherzi" siano tali solo per chi li fa. La scusa "Anche lui rideva con noi quando lo prendevamo in giro, erano solo scherzi" è un classico dopo OGNI suicidio. E del resto che volete che dicano: "è vero, lo abbiamo spinto noi al suicidio con il nostro bullismo e i nostri scherzi da ragazzini totalmente decerebrati?". Quanti di noi ricordano di quando erano costretti a ridere (amaro) delle prese per il culo perché ribellarsi avrebbe comportato ritorsioni o prediche sui gay che frignano sempre anche se nessuno li tocca?
E gli insegnanti? Sembra un disco rotto: non è successo nulla, non c'era nessun problema. Ah sì? Ed è quando non c'è nessun problema e non è successo nulla che i ragazzini si ammazzano? La pedagogia ogni giorno fa scoperte nuove... sorprendenti.
No, ci sono molte cose che non quadrano.

Una delle quali, tuttavia, è il motivo per cui il Gay Center di Roma abbia fatto sapere Urbi et Orbi che il ragazzo suicida era gay.
Delle due l'una: o lo avevano saputo in via riservata dal ragazzo stesso, ed allora hanno tradito un preciso impegno a non mettere in piazza ciò di cui vengono a conoscenza nel corso del loro mestiere, oppure lo hanno detto senza averlo saputo, giusto per fare parlare della loro struttura elefantiaca che ha bisogno di un alto e costante livello di allarme sociale per giustificare la richiesta di alti e costanti contributi pubblici.

E' palese che noi come movimento lgbt abbiamo molto, molto, molto da imparare su come gestire il disagio degli adolescenti. Diciamo pure che l'accaduto dimostra che non ne capiamo una mazza, e facciamo prima.

Io non so cosa sperare: qualsiasi sia la conclusione finale, qui siamo di fronte a un ragazzino che è morto a 15 anni. Non stiamo discutendo di questioni astratte, ma di un poco più che bambino che ha deciso che vivere era un peso insopportabile per lui, e ad una famiglia che lo ha perso senza neppure sapere perché. Anche se venisse fuori una ragione, lo strazio non sarebbe minore, dato che si darebbero la colpa di non avere capito... Ma capito cosa? A quanto emerge dalle testimonianze, neppure il ragazzino aveva ancora "capito". Cosa che peraltro, a quell'età, era suo diritto fare.

Non so cosa sperare, ma so cosa non voglio più: la gestione del disagio della generazione lgbt più giovane affidata ai professionisti della sfiga altrui. Colmare di denaro alcuni di noi perché pensino loro a tutto è solo un modo per garantirci che questi alcuni abbiano bisogno fisiologico del fatto che la sfiga altrui continui: ci campano.
Il sostegno peer-based dov'è finito? Cos'è rimasto del volontariato dopo venti anni di corruzione a furia di "progetti" e finanziamenti pubblici, che sono serviti a tapparci la bocca su quanto non viene fatto in termini di prevenzione del disagio e di sostegno? Ma perché un adolescente gay, per avere una buona parola, deve avere un Centro gay a Roma, e non può contare su altre strutture e luoghi? Non sarebbe suo diritto averne ovunque, anche se vive ad Aosta?
Ma in che razza di logica ci siamo fatti blindare?

Credo che questo evento luttuoso, al di là della spiegazione che potrebbe emergere nei prossimi giorni o non emergere affatto (a volte i quindicenni si uccidono solo perché sono quindicenni: l'adolescenza è un'età fragile... per questo ha bisogno di tutto l'aiuto che possiamo darle) abbia posto anche a tutti noi la domanda di: cosa stiamo combinando? E perché siamo ormai nella posizione da apparire ai nostri connazionali più come avvoltoi in attesa di cadaveri su cui piombare, che come esseri umani che vogliono eliminare dal mondo per quanto possono tutto il dolore degli altri (incluso quello dei genitori, e degli amici del ragazzo che s'è ucciso) perché lo sentono come proprio?

Giovanni Dall'Orto


Tratto da: Facebook
 
 
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