Appello: combattiamo la disinformazione con la documentazione.
[Séguito
alla lettera dei
giornalisti al "Manifesto", del 3 giugno 2008]
di: Giovanni Dall'Orto.
Milano, li 4 giugno 2008.
Cari
compagni,
Ecco in che modo "La Repubblica"
del 6 giugno 2008 illustrava l'articolo sulle polemiche relative alla proibizione
di chiudere il "Pride" romano a Piazza san Giovanni, per non disturbare
i religiosi nei palazzi circostanti.
Quod erat demonstrandum. Questo è il modo in cui ci vede la "stampa amica". Dando così pienamente ragione ad Alemanno, che nei Pride vede solo le signorine (s)vestite come questa qui della foto. |
Questo
perché, come è scritto nel testo, "Come giornalisti sappiamo
tutti che la scelta di un'immagine non è mai "neutrale". Che una
foto non descrive un fatto, ma racconta un punto di vista".
E
quando si parla di Pride, ci sono sempre i soliti dieci viados ignudi,
e quando non si parla di Pride ci tocca ancora, nel 2008, come è
accaduto su "Repubbica" poco tempo fa, vedere una foto di un coppia gay
usata per illustrare un pezzo sul Pacs, ma ripresa di spalle, il
che equivale a comunicare il messaggio che quella gente là
non può certo mostrarsi a viso aperto, dato che quel che fanno abbracciandosi
è vergognoso...
Non penso che "il Manifesto" pubblicherà la lettera (anche se... mai dire mai). Ma non importa, perché tanto pubblicata o no la faremo girare a tutti i livelli, a questo punto. E la non-pubblicazione diventerà parte del messaggio: sulla stampa passano solo certi messaggi, certe immagini, certe fotografie, certe rappresentazioni, certe parole, mentre le altre sono censurate.
Specifico che a me personalmente i viados al Pride non fanno né caldo né freddo. Il Pride non appartiene a nessuno, e non tocca a me dire che ci può venire e chi no. A differenza degli insopportabili gay di destra (che vorrebbero coartare la nostra libertà di essere ciascuno se stesso nel modo che preferisce, obbligando tutti i gay ad andare in giro in camicia - nera - e cravatta, e a marciare col passo dell'ochetta) la mia idea è che al Pride ognuno rappresenta se stesso. Chi non c'è e quindi non appare ha torto rispetto a chi c'è e si presenta per quel che appare. Esibizionismo incluso.
Ciò
premesso, il vero motivo della mia protesta è un altro, e ben più
serio: mi sono reso conto, leggendo le argomentazioni della checca media
che scrive su gay.tv o su gay.it,
del fatto che la strategia usata dai nostri nemici, ossia pubblicare
solo foto di viados ignudi quando si parla dei Pride, si è
rivelata pagante. E qui c'è di mezzo allora una problematica
politica.
Qui
si crea un serpente che si morde la coda: molte checche-medie non vengono
ai Pride perché temono di trovarsi nel mezzo di una tribù
di viados in piena offerta della loro merce, magari con tanto di
copertoni incendiati sul bordo della strada. Ma non venendoci, non hanno
occasione di scoprire che quella dei viados do Brasil è solo
una presenza ultra-minimale, e neppure rappresentativa della presenza ben
più variegata ed articolata dei migranti lgbt al Pride (le trans
brasiliane - e non - vestite, non le fotografa nessuno...). Ma non avendo
occasione di scoprirlo, non ci vengono. Ma non venendoci... e così
via.
Inoltre, gli Alemanno che concionano contro i Pride o Giorgia Meloni che delira di "scene raccapriccianti" viste ai Pride (senza esseci mai andata di persona, quindi avendole viste escluisvaemnte attraverso la stampa... quod erat demonstarndum) hanno la vita facilitata, perché quando si nominano i "Pride" anche la sciura Maria, che li ha visti sempre e solo attraverso le sei reti televisive di Berlusconi, pensa o a Vladimir Luxuria vestita da torta nuziale, o ai viados, o... o basta, non pensa ad altro, perché non le hanno mai permesso di vedere le mamme con la carrozzina, il trenino delle famiglie Arcobaleno, la coppietta di studenti, il vicino di casa, il proprio idraulico, o la banalissima checca obesa di mezz'età come sono io, che non avendo tette siliconate bensì solo cascanti non "faccio notizia".
Sia chiaro che io non aderisco al Pride allo scopo di assecondare i preconcetti della sciura Maria. E neppure quelli della checca media - e soprattutto mediocre - metropolitana. Se costoro hanno pregiudizi, il problema è loro, ed è anche un problema grave. Io al Pride ci vado per me, mica per loro.
Tuttavia se l'idea del Pride che è stata costruita anno dopo anno dai giornalisti delle sei reti tv berlusconiane è perfettamente funzionale all'idea che Alemanno ne vuole dare, e se serve ad Alemanno per le sue decisioni liberticide, allora ho un problema, che non è personale (a me di essere scambiato per un viado non crea nessun problema: di certo dentro sono più puttana io di loro, quindi...) bensì politico. E questo non lo posso tollerare.
In
politica infatti non si lascia mai l'iniziativa al nemico. Non si permette
mai, per lo meno senza reagire, che sia il tuo nemico a scegliere
l'immagine con cui presentarti al mondo.
Eppure
l'inerzia del movimento gay sul versante dell'informazione è
sconcertante.
All'estero il gay-watching per tener d'occhio quanto dicono dei
gay i media funziona da decenni. In Italia invece abbiamo tutti cose più
importanti da fare: parlare con gli assessori, inseguire gli assessori,
chiedere soldi agli assessori, pendere dalle labbra degli assessori, cercare
di diventare assessori... questo è, oggi, il movimento lgbt
italiano!
Quindi
non è possibile continuare così. Si fottano gli assessori
e i leccaculi degli assessori! Abbiamo bisogno di ricominciare a fare
politica, e non anticamera ai politici, se non vogliamo finire, di
questo passo, tutti ospiti dello Stato con
un bel triangolo rosa (ma griffato, sia chiaro!) e un numero sul braccio.
Per questo desidero chiedervi aiuto per una proposta che secondo il mio punto di vista è importante.
Giovanni Dall'Orto
Aggiunta
dell'8 giugno 2008.
Ovviamente
la lettera non è mai stata pubblicata sul "Manifesto". Era scontato:
non si trattava infatti di un errore, bensì della coseguenza di
una mancata volontà di fare chiarezza su certe mentalità.
Che non a caso a furia di non essere mai messe in discussione hanno messo
in crisi sparata la sinistra italiana.
Nel frattempo ho documentato con il video che segue il comportamento dei giornalisti al "Pride" di Milano. Sia pure con una qualità che è quello che è ... ma non possiedo uno videocamera (solo la funzione "filmato" di una macchinetta fotografica digitale), e in più YouTube ha degradato l'immagine per far "pesare" meno il filmato; tuttavia è possibile vederlo anche in qualità migliore andando direttamente su Youtube e facendo clic su "Guarda in alta qualità" (opzione consigliata solo a chi ha una connessione veloce).
Il mio reportage sui giornalisti al Gay Pride di Milano. Il fotoreporter batte dove il trans sculetta... |
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