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Milano
e il movimento gay
[dal programma a stampa del "Gay Pride" nazionale di Milano, 4/6/2005]
di: Giovanni Dall'Orto
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Partecipanti al Pride di Milano, 4/6/2005.
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La città di Milano ha sempre avuto un atteggiamento contraddittorio verso la questione omosessuale.
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Da un lato un pragmatismo da "vivi e lascia vivere", che le ha permesso di avere, fin dagli anni Sessanta, i primissimi locali commerciali per omosessuali d'Italia, o editori e scrittori che pubblicarono la gran parte dei non moltissimi libri che affrontarono il tema prima del fatidico 1971 (l'anno in cui nacque anche in Italia il movimento glbt).
E Milano era stata, assieme a Torino e Roma, una delle tre città in cui, nel 1969-1970, era germogliato un piccolo nucleo deciso a creare anche in Italia un movimento di liberazione gay, quello che si sarebbe chiamato "Fuori!".
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Dall'altro lato la comunità glbt di Milano ha sempre scontato un atteggiamento ostile da parte dei poteri pubblici (e l'attuale giunta Albertini ha dimostrato, per due legislature, un atteggiamento particolarmente ostile). Negli anni, Torino, Bologna, Roma e altre metropoli hanno potuto contare su aperture che hanno alimentato fermenti politici e culturali, spesso allargatisi molto al di là dei loro confini. Non Milano.
Eppure nei primi anni del movimento gay italiano Milano aveva giocato un ruolo importante (non a caso il gruppo gay più importante di Roma, il "Circolo Mario Mieli", porta il nome del più noto militante... milanese degli anni Settanta). Purtroppo, alla lunga, la chiusura del mondo politico, unita alla costante "distrazione" causata fra i potenziali militanti glbt dal richiamo del mondo commerciale, ha creato una situazione paradossale.
Indiscussa capitale commerciale del mondo gay italiano (per numero di locali supera quello d'intere regioni italiane sommate assieme), ricca di fermenti culturali (tutte e quattro le riviste gay e l'unica rivista lesbica a diffusione nazionale italiane hanno sede qui), Milano è troppo spesso un nano politico, come dimostra il fatto che ha avuto bisogno dello scossone del World pride romano del 2000 per organizzare finalmente, nel 2001, il suo primo Gay Pride.
Ecco perché città decisamente meno popolate e con meno mezzi (come Pisa, Bari, Padova...), sono state assai più di Milano "laboratori" di soluzioni politiche e sociali che hanno trovato poi eco a livello nazionale.
Milano ha invece aperto locali, e moltiplicato bar e saune, e aumentato il giro d'affari, e... Come se il fatturato, nella vita, fosse tutto.
Eppure Milano nel 1992 era stata capace di un'iniziativa eclatante come i "matrimoni gay in piazza Scala", guidata da uno dei primi consiglieri comunali gay d'Italia, Paolo Hutter.
Ha dato vita a realtà importanti a livello nazionale come la Lila o l'Agedo (l'associazione di genitori di omosessuali).
E da 18 anni tiene in vita il Festival del cinema glbt, d'importanza nazionale, contando solo sulle proprie forze.
Ciò nonostante, la comunità gay milanese è stata condannata finora al ruolo di gigante commerciale e culturale, e di nano politico...
La scommessa che attende quindi Milano con il Gay Pride del 2005 è recuperare un ruolo più propositivo, assumendo una posizione meno chiusa in se stessa, meno isolata, meno distante dall'evoluzione del resto del Paese.
Milano ha grosse potenzialità e forze, che le vengono dalla dimensione della sua comunità glbt (la maggiore del Paese, assieme a quella di Roma), e della sua scena commerciale (la prima in Italia) e culturale (fra i primissimi posti). Anche il livello di "coscientizzazione" del "gay della strada" milanese, più abituato (per banali motivi di contiguità geografica) a viaggiare nei Paesi d'Oltralpe e quindi a conoscere ed assorbire realtà più evolute, è insolita, e permetterebbe - volendo - esperimenti difficilmente realizzabili altrove.
Allora si tratta solo di usarla, una buona volta, questa forza, per aiutare questa benedetta Italia a cambiare.
Nella vita, far danée non è tutto...
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Manifestante al Gay pride di Milano con un'originale maglietta "Forza froci", 4/6/2006 [foto G. Dall'Orto].
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