Non solo il sesso.
da "Pride", n. 22, aprile 2001, pp. 24-25.
di: Giovanni Dall'Orto
Vi spiego perché a mio parere è giusto organizzare un Gay Pride a Milano nel 2001.
Il Gay Pride 2001 a Milano? E perché mai?
Ma perché nella vita il sesso non è tutto. E Milano di occasioni per il sesso ne offre moltissime, sì: saune, discoteche con darkroom, bar con darkroom, luoghi all'aperto, luoghi al chiuso, luoghi grandi, luoghi piccoli… La massima concentrazione di locali gay d'Italia è qui, a Milano. Da sola Milano occupa in una qualsiasi guida gay più pagine di quattro, cinque, sei regioni d'Italia sommate: una manna.
Se si ha voglia di sesso...
I problemi sorgono semmai dopo: quando la carne è soddisfatta e si è costretti a ricordare che nella vita, appunto, il sesso non è tutto.
Dalla metà degli anni Ottanta Milano non ha più il minimo ruolo nelle sorti del mondo gay italiano… a parte per l'apertura di locali.
Per essere una città che possiede tre delle quattro riviste gay italiane, Milano è straordinariamente incapace d'esprimere una cultura gay che non sia quella dell'apertura di locali. Città molto più piccole, come Pisa o Bologna, hanno lavorato sodo al cambiamento del mondo gay… e intanto Milano apriva locali…
"Peggio per i milanesi", direte voi che abitate ad Agrigento, o Verona, o Lecce.
No, purtroppo: "peggio per tutti", perché Milano è una di quelle città italiane che creano tendenza, che fanno da punto di riferimento. Nel bene e nel male -- e da Mussolini a Craxi, da Bossi a Berlusconi, quando Milano s'inguaia con scelte sbagliate inguaia l'intera nazione.
Non è un merito e non è una colpa: è un dato di fatto. Tanto vale quindi prenderne atto.
È facile immaginare che la battaglia per le unioni civili sarebbe oggi meno in salita se a spingere sulla Roma vaticana fosse stata la potente Milano anziché la coraggiosa ma piccola Pisa.
Purtroppo però non è mai esistito il minimo "pericolo" che ciò accadesse, e questo anche per colpa di noi gay milanesi. A Milano ci sono infatti così tanti gruppi gay che nei comunicati stampa del prossimo Gay Pride occupano quasi più spazio le loro firme che il testo; eppure al momento di fare una manifestazione raccolgono tutti assieme meno gente di quanta ne raccolga da solo l'Arcigay di Pisa, città che ha una popolazione di trenta volte inferiore.
In compenso a Milano ci sono sessanta volte più posti per far sesso che a Pisa. Che pacchia!
È palese che qualcosa s'è rotto, a Milano. Che Milano è una locomotiva spenta, incapace di decidere dove andare. E non solo nel campo gay: il borghesissimo "Corriere della Sera", che non è certo un bollettino sovversivo bolscevico, s'è lagnato di recente che Milano ormai è incapace di utopia, di sogno. E dopo aver passato la vita a sentirmi disprezzare come "povero utopista" per le mie idee di cambiamento, è buffissimo ascoltare i miei avversari frignare che Milano sta morendo perché coloro che alle utopie non hanno mai creduto ormai hanno vinto troppo.
È buffissimo, ma si ride amaro.
Milano ha oggi bisogno di credere che è possibile cambiare, ha bisogno che l'Italia le mostri di volere il cambiamento venendo qui quest'anno, come ha fatto lo scorso anno a Roma, perché l'Italia non si cambia se non cambia anche Milano.
E non perché Milano sia un presunto "faro di civiltà", ma per il motivo esattamente opposto: perché Milano è spesso una lente d'ingrandimento che amplifica quello che le viene da fuori. Se altri le portano una piccola luce può farla diventare un faro, ma se le portano una piccola ombra (una "Liga veneta", un "Fascio di combattimento"...) può farla diventare un manto di tenebre...
E allora mettiamo la questione omosessuale, sotto questa lente.
E per "questione omosessuale" intendo tutto quello che va oltre il sesso: prima, dopo e anche durante.
Cosa offre Milano, cosa offre l'Italia, oggi, a una persona omosessuale che chieda solo d'essere felice e viversi in pace la sua vita? Luoghi in cui fare sesso - e basta.
C'è posto per il sesso, ogni anno sempre più posto per sempre più sesso, ma basta leggere le lettere a "Pride", leggere questi messaggi di solitudine, disagio e mancanza d'amore, per accorgersi che abbiamo commesso un grave errore, come gay.
Abbiamo infatti voluto credere che la vita reale fosse solo una pausa fra i momenti di divertimento, e non l'opposto.
È invece l'"evasione" ad essere una pausa (speriamo ritemprante); però poi la vita reale bussa alla porta con le sue gioie e i suoi dolori.
E ci mostra che le sfilate coi completini D&G vanno bene a vent'anni, ma la vita continua anche (per fortuna!) oltre le sfilate e i vent'anni, e ci chiede il conto sull'amore, sui rapporti con la famiglia, sul bisogno di una casa, sui colleghi di lavoro, sulla salute, sull'età che sempre e solo avanza, sulla morte di persone che abbiamo amato…
E attorno a noi ronza e vibra e cicala un mondo di persone che ci parlano solo dell'ultima scopatorìa appena aperta!
Ma quanto può durare questa vita?
E che vita c'è oltre questa vita?
"Nessuna", pensano molti lettori che scrivono a "Pride", disperati quando questo "bel mondo" li espelle o per raggiunti limiti di età (a 30 anni parlano già di sé come di vecchietti allo sfascio!) o per sazietà, o perché la realtà (la vita e la morte, l'amore e l'odio) non si lascia mettere "fra parentesi". Eppure c'è vita oltre la "bella vita": tutta la vera vita.. Sarebbe ora di discuterne…
Facciamolo partendo dalla tonta Milano, città in cui i gay hanno commesso per un decennio l'errore imperdonabile di rinunciare al "Gay Pride" preferendo intrufolarsi, semmai, nelle manifestazioni del 25 aprile.
Questo per scansare la fatica di far maturare i molti che non hanno il coraggio d'apparire come gay a viso aperto, per non districare il nodo dei quaranta gruppi gay dotati di ottanta leader politici, per non mettersi a riflettere su cosa fosse andato storto in questa città che non è più capace d'immaginare un futuro che non sia la ripetizione del presente, solo più in grande, cioè con 120 locali anziché 60.
Per fortuna ci ha dato una bella scossa Roma, per antonomasia la città rivale di Milano. Per quanto antipatico sia il monopolio dittatoriale ivi esercitato da un unico gruppo, il World Pride del 2000 ci ha dimostrato impeccabilmente che certe cose si fanno solo se c'è una leadership chiara.
E sia pure con enorme ritardo il miracolo si sta oggi compiendo a Milano, e la polvere dei mille gruppuscoli si sta coagulando in una nuova stella: un coordinamento "Arcobaleno" che organizza il "Gay Pride".
Quanto sarà splendente tale stella è presto, e azzardato, dirlo. Il "Pride" del prossimo giugno a Milano sconterà anzi, è inevitabile, tutti gli anni in cui i gay milanesi non hanno fatto politica, non hanno sognato, non hanno progettato, non hanno organizzato, si sono illusi che bastasse o aprire locali oppure (e l'errore è speculare, ma errore rimane) strillare che i locali vanno tutti rasi al suolo…
Sconterà inesperienza e ingenuità: qualche pasticcetto mettiamolo perciò fin d'ora in conto.
E mettiamo in conto che di sicuro un Gay Pride come quello del 2000 a Roma non si ripeterà, e non solo a Milano ma anche a Roma stessa, dato che il Giubileo (per fortuna!) è finito ed era (per fortuna!) un evento unico.
Ma questo non è importante.
Quello che importa è rimettere in moto questa maledetta locomotiva rugginosa, dare l'occasione ai giovani, giovanissimi militanti di imparare come si fa a chiedere un permesso, come si fa a colloquiare con la polizia e con le autorità, come si fa ad organizzare… Tutte esperienze che verranno buone fra un anno, fra due, fra tre: esperienze da portare all'incasso quando Milano, che si pretende tanto "moderna" ed "europea", dovrà dimostrare a fatti e non solo a parole cosa implichi essere "europei" in un'Europa in cui tutti gli Stati hanno leggi pro-gay che in Italia ci sogniamo.
Venite quindi a Milano, il prossimo giugno. Venite ad essere orgogliosi di voi stessi e di coloro a cui volete bene, a divertirvi e a incazzarvi, a mostrare all'Italia che esistete e ad ammirare un'Italia che esiste ma non si ha mai occasione di vedere.
Gli strilli che stanno già lanciando i politici milanesi di fronte alla "minaccia" di un Gay Pride (da Albertini in giù) mostrano che dietro la facciata di modernismo Milano ha un'anima avvelenata d'intolleranza e che, dato il ruolo che questa città ricopre (basti pensare al semi-monopolio che esercita sull'industria della comunicazione, dello spettacolo e dell'editoria) avvelena anche il resto del Paese.
Eppure non è stato sempre così, e sotto la cenere cova un tesoro mortificato di idee - di "utopie" - che i milanesi negli anni passati hanno sbagliato a liquidare (per avere in cambio cosa? la "Milano da bere"!) e che oggi devono essere aiutati a ritrovare.
Venite a Milano, il prossimo giugno, per insegnarci di nuovo a sognare.
Fatelo soprattutto per voi: per una società in cui essere omosessuale sia banale; in cui si possa tenere per mano il proprio ragazzo senza paure e parlarne ai genitori senza temere di esser cacciati di casa; in cui amare non ci riempia come oggi di vergogna; in cui riscoprire che "nessun uomo è un'isola" e che sono gli altri che ci fanno capire di esistere…
Venite a Milano, e se tra un "insegnamento" e l'altro vi rilasserete con un po' di sesso, approfittando della specialità locale, be', il sesso piace anche a me.
E se proprio voleste "insegnarmi" qualcosa anche in questo campo… perché no?
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