Pensieri su talune risse, tra femministe e froci, correnti oggidì.
[Da "In cerca di guai", 13 settembre 2017]
di:
Giovanni Dall'Orto.
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Ho sprecato un bel po’ di tempo a
discutere, coi miei amici, sull’ondata dei cozzi amari fra mondo
lgbtqpqrstuvz e femminismo “radicale”, che all’improvviso ha illuminato
la buia notte politico-culturale del mondo frocio con i bagliori delle
sue esplosioni.
In particolare ha destato sconcerto (anche in me) un post su Facebook (3 settembre 2017) della giornalista Marina Terragni, che ha definito lo stupro: “Partecipare con zelo e godimento al progetto omosessuale di sottomissione delle donne“.
Terragni ha spiegato a chi la criticava (anche con i toni di un maschilismo aggressivo e neanderthaliano) che il suo uso del termine “omosessuale” era stato frainteso, dato che esso andava inteso nel senso di “monosessuale maschile” (così come usato da Carole Pateman, nel libro del 1988 Il contratto sessuale). Una scelta semantica che lascia comunque perplessi: Terragni è scrittrice raffinata e quindi perfettamente in grado di dire “monosessuale maschile” se e dove e quando intenda dire “monosessuale maschile”. Non occorre citare Freud e i lapsus per capire quindi che se le è scappato detto che “tutti i maschi sso’ porci… e puro ffroci“, come molti decenni prima di lei aveva già fatto Luce Irigaray (la “femminista” più amata dai no-gender e dal Pontificio consiglio per i laici), qualche problemino qui lo abbiamo.
Non m’interessa prendere posizione nella diatriba, che come tutte le diatribe di Facebook è fatua (davvero il quasi mezzo secolo di femminismo della Terragni non ci suggerisce che non è onesto trattarla come se fosse un Adinolfi qualsiasi?) e destinata a svanire entro pochi giorni senza lasciare traccia diversa dai rancori.
Semmai m’interessa cercare di capire come sia stato possibile che una donna intelligente come lei abbia potuto venir fuori con uno sfondone come quello: per cambiare la realtà occorre per prima cosa capirla.
Avendo qualche annetto, mi è stato facile
ricordare di quando (anni Ottanta-Novanta del secolo scorso) era tutto
un filone del femminismo, il Pensiero della Differenza,
a vedere nei maschi gay la quintessenza, l’incarnazione del Male
Assoluto, della fallocrazia e dell’oppressione della donna. Non per le
idee che avevano, ma per quello che erano: maschi. Il loro torto non
stava in quel che facevano, ma nel fatto stesso di esistere e di non provare alcun desiderio verso il Mistico Corpo della Donna-Madre (e Matriarca).
Tuttavia chi è più giovane, e non ha mai udito narrare dei tiasi dove pythonissae ispirate dai divini Lacan o Derrida esalavano oracoli di Verità freudo-marxista, non avrà mai sentito nominare il Pensiero della Differenza, una delle più micidiali teorie razziste che mente (sedicente) “di sinistra” sia mai riuscita a concepire.
Visto che una delle caratteristiche del Pensiero della Differenza è
l’abuso di paroloni tanto roboanti quanto privi di senso, per escludere
chiunque non fosse un(a) credente ortodossa delle sibille glossolaliche,
ne fornisco qui una versione terra-terra per il popolo ‘gnorante e
rozzo: “X = buono, quindi XX = ottimo, invece Y = causa di ogni
Male, XY sempre male, XY + XX = diavolo ed acqua santa, ppe’ ccarità!,
XX + XX = purità angelica, e infine XY + XY = somma di tutti i mali, “progetto di sottomissione delle donne“, zolfo fuso e lapilli dal cielo, amen”.
A causa del suo carattere di religione
incagliata, suo malgrado, in cerchie sempre più minuscole di sempre più
anziane signorine, con i decenni questo pensiero è progressivamente
sparito dalla scena politica, anche se filosofe come Luisa Muraro ne hanno tenuto vivo il culto in (ridottissime) cerchie di Vere Credenti.
Purtroppo oggi le generazioni di donne successive alle cinquantenni non
prestano più la minima attenzione ai preziosi oracoli di queste Judith Butler de noantri (un oracolo della Muraro per esempio ci ha fatto sapere: “Chi
sono io per giudicare i gay? Sono una donna e come tale appartengo
all’umanità chiamata a mettere al mondo donne e uomini, gay e papi
compresi.“, insomma, sono la vostra mamma, quindi se voglio prendervi a sberle voi le pigliate, e zitti! Ah, la profondità argomentativa delle filosofe de noantri!).
Ecco, secondo me quello che sta
succedendo, fra l’incomprensione di tutti, è semplicemente, e
banalmente, l’improvviso recupero dei temi e dei toni delle sibille del
Pensiero della Differenza. Ipotizzo che ciò avvenga per una inconscia (o
conscia) ricerca delle certezze del passato, di un ancoraggio, di punti
fissi nel tornado postmoderno che ormai è giunto a scompaginare anche
le narrazioni femministe.
Da qui derivano le incomprensioni fra generazioni e le polemiche quasi surreali su Facebook. La recente polemica sul separatismo lesbico difeso da Arcilesbica (in sé, nulla di nuovo rispetto alla prassi del separatismo lesbico teorizzata e praticata da oltre mezzo secolo) ha fatto uscire di cranio la generazione più giovane di frocelle e trans, che si sentono terribilmente escluse se le donne si ritrovano in spazi solo loro (come se qualsiasi sauna o cruising gay permettesse a qualsiasi donna di entrare! Però il separatismo gay maschile non lo nota mai nessuno!).
Da qui hanno origine, ipotizzo, la sorprendente vista della Muraro che va a predicare agli incontri di Arcilesbica, fenomeno insolito negli sdegnosi annali delle torri d’avorio delle Sibille italiche, o addirittura l’intervista da lei fatta a Cristina Gramolini di Arcilesbica, che politicamente ha il sapore d’una investitura pubblica: “Tu es Filia mea dilecta; in te complacui” (Marco 1:11).
Da qui anche l’improvviso bisogno della generazione più anziana di
Arcilesbica (o per quel che ci riguarda qui, della Terragni), di
ripescare dalla cantina il Pensiero della Differenza, senza neppure
spolverarlo dallo strato d’omofobia depositato negli anni.
Non pretendo di aver capito la ragione di
tale fenomeno, ma la mia impressione (che propongo qui nella speranza
che se qualcun* possiede una spiegazione migliore me la possa offrire) è
che è infine giunto all’acme lo scontro del femminismo con il pensiero postmoderno, che fino ad oggi in campo sessuale in Italia s’era affannato soprattutto a demolire il concetto, anzi l’esistenza stessa dell’omosessualità. (E lo dirò solo una volta: “Io è da venticinque anni che ve lo dicevo, e non mi avete mai voluto dare ascolto, gné gné“, e poi non lo dirò più, promesso).
L’idea che i sessi non esistano se non come epifenomeni del genere
e siano essi stessi costruzioni sociali, l’idea che la realtà non
esista, l’idea che i fatti non esistano, l’idea che non esistono verità
(eccetto quelle proclamate da chi sta affermando che le verità non
esistono, ovviamente) è infine penetrata nel senso comune d’una
generazione di giovani donne e uomini (che per l’appunto hanno
venticinque anni ora) , ed ha finito per minare il senso stesso della
lotta “delle donne“.
Se la donna è solo una costruzione sociale, non ha senso che le donne lottino in quanto tali: è sufficiente decostruire la costruzione sociale che ha “inventato” le donne. Dunque, la lotta “in quanto donne”, esattamente come quella “in quanto gay” o “in quanto lesbiche”, non ha senso. La parola d’ordine è “intersezionalità“.
Per le generazioni più vecchie, per le quali essere riuscite infine a combattere in quanto donne era stata una conquista, strappata a una sinistra contrarissima alle lotte “sovrastrutturali“, questo cambiamento è immediatamente percepibile come una minaccia a tutto ciò in cui hanno creduto e a tutto ciò per cui hanno lottato.
Per la generazione più giovane, invece, non si tratta d’una minaccia, dato che essa conosce unicamente la lotta sovrastrutturale, e considera l’aspirazione a cambiare la realtà economica (strutturale) del mondo una patetica utopia,
un’illusione sconfitta dal trionfo del Pensiero unico e dalla “fine
della storia”. (Uno dei post su Facebook, per dimostrare quanto
dinosauriche fossero le compagne di Arcilesbica, richiamava l’attenzione
sul fatto che fra di loro si chiamassero “compagne”… Ho detto tutto).
Siamo di fronte a uno scontro generazionale, il che nei post su Facebook non è sfuggito, visto che la dirigenza di Arcilesbica nazionale è stata a lungo sbeffeggiata come branco di dinosaure sull’orlo più dell’estinzione che della crisi di nervi.
Per la vecchia generazione, era importante rivendicare la differenza, e spazi propri in cui poterla agire: spazi separati, spazi separatisti.
Per me che ho i miei anni, è semplicemente logico che le donne (e i gay) rivendichino spazi solo per loro: “una stanza tutta per sé“.
Per la generazione giovane invece, l’ideale propagandato e perseguito è
quell’omogeinizzazione portata avanti dal Pensiero Unico della
globalizzazione, che propone un mondo di uno smagliante e splendente e
rutilante… grigio uniforme, in cui tutti potranno sbarazzarsi delle
vecchie e sciocche etichette che dividono gay da etero, uomini da donne,
ricchi da poveri, americani da italiani, israeliani da palestinesi,
vittime da oppressori… (ormai si è oppressori non in virtù delle proprie
scelte politiche ed economiche nell’ambito della mai sopita lotta di classe, e neppure in base ai propri atti, bensì per il semplice fatto di essere “cisgender”, ossia per il fatto di non avere problemi psichici all’idea di essere se stesse/i!).
L’ideale è il pastone, con lo stesso sapore ovunque: quello dei McDonald. E’ l’ideale di Macron – notorio politico di estrema sinistra – quando annuncia: “Non esiste una cultura francese. Esiste UNA cultura… nella Francia“. Ha detto “nella” perché quella cultura non è della o dalla Francia: è concepita nelle think-tank Usa, ed esportata in tutto il mondo con gli stessi prodotti, le stesse idee, le stesse parole d’ordine, le stesse ONG, gli stessi personaggi politici ex banchieri… Tipo: lui.
Per motivi politici, io non posso vedere il pensiero postmoderno (e derivati)
altro che come l’ennesima mascheratura del pensiero di (estrema) destra
sotto le spoglie del pensiero di sinistra, come già ai tempo del socialismo nazionalista (“nazismo” per gli intimi).
E per motivi anagrafici non posso che capire la problematica della
“vecchia” generazione di Arcilesbica. Essere giovane non è una garanzia
di un bel nulla. Anche mio nonno Giovanni Dall’Orto, a 22 anni, cantando “Giovinezza, giovinezza, primavera di bellezza“,
andò a Roma a rottamare una generazione politica vecchia, superata, non
più al passo coi tempi. Ed aveva torto marcio: lui era il vecchiume che era avanzato, non la gioventù che avanzava.
Che un’idea sia buona unicamente per il fatto d’essere nuova è una
minchiata, che non è credibile neppure per i detersivi, che anche quando
proclamano NUOVO! hanno solo sostituito un profumo a un altro. Troppo spesso in politica, o in filosofia, il nuovo è solo una riproposizione del vecchio con un packaging diverso.
Concordo quindi con Arcilesbica sul fatto che nel caso della polemica che fa oggi il botto su Facebook, il decantato “nuovo” consista solo nel negare deliberatamente la specificità femminile ed omosessuale, ed in prospettiva più ampia la realtà del reale in favore di fumisterie dogmatiche.
Tuttavia ne dissento
sulla bizzarra idea secondo cui il rimedio ai fanatismi dogmatici delle
nuove generazioni sia riproporre i fanatismi dogmatici delle vecchie
generazioni, come appunto l’omofobia del “Pensiero della differenza”.
Se i templi delle pythonissae sono deserti e invasi da ortiche,
ciò non è avvenuto per un destino cinico e baro, ma solo perché le
sibille non dicevano più nulla che potesse interessare alle fedeli. (Ed
anche perché, dopo aver teorizzato il “tutto il potere alle Madri”, le
sibille s’erano scordate che anche le figlie, una volta cresciute,
diventano Madri…).
Insomma, ancorarsi alle certezze del passato non servirà a risolvere la crisi e a scacciare la minaccia. Anche perché le certezze del passato possono rivelarsi false. Lo scontro fra ideologie che è ormai tanto avanzato da essersi manifestato perfino al livello del pettegolezzaio immondo dei Social networks è uno scontro che si basa anche sulle contraddizioni oggettivamente presenti nelle certezze del passato.
Da un video di Riley Dennis, attivista trans, su Youtube. |
Per quanto detto, sono d’accordo con quante, nel campo femminista, lottano contro coloro che han dichiarato guerra alla realtà, per esempio coloro che affermano che “alcune donne hanno un pene“. Ma sempre nel nome della difesa della realtà non posso che essere contro la pretesa simmetrica delle
ideologie femministe, ogni volta che riscrivono a loro volta la realtà
biologica per renderla più “politicamente corretta”.
Di fronte a me infatti io vedo lo stesso errore, con due segni uguali e
contrari: sia il Pensiero postmoderno che il Pensiero della differenza
concordano sul fatto che il terreno reale dello scontro sia l'”Ordine del Simbolico”
e non quello degli interessi reali, materiali. La diatriba è solo su
quali siano i simboli che contano, tuttavia nel condurre la guerra alla
realtà esiste un’inquietante concordia.
Dal profilo Facebook di “Femminismo radicale intersezionale”.
Tra le femministe del Pensiero della Differenza questo avviene in modo evidente nella negazione ideologica della funzione biologica del maschio nella procreazione animale. Nella loro narrazione conta unicamente la gestazione, cosicché il concetto di paternità come co-parenting è inconcepibile, nel senso letterale che queste donne non riescono a comprendere cosa c’entrino i maschi con il concepimento.
Qui sopra vediamo come il profilo Facebook di “Femminismo radicale
intersezionale”, una proposta postmodernista, si faccia beffe della
posizione, che è anche mia, secondo cui la cessione di qualsiasi parte o funzione di un corpo umano vivente non debba poter essere oggetto di commercio: “Ebbene
sì, per alcuni eiaculare in un bicchierino è lo stesso di portare
avanti una gravidanza per 9 mesi, quindi se si vieta l’uno di deve
vietare anche l’altro“.
Ebbene no, per “alcuni” questo è uno sfacciato paralogismo, dato che eiaculare in un bicchierino “è lo stesso di” eiaculare fuori da un bicchierino, non certo di portare a termine una gravidanza.
La posizione corretta di quegli alcuni, è che un gamete con 23 cromosomi, fra cui uno X, è esattamente la stessa cosa
di un gamete con 23 cromosomi, fra cui uno o X oppure Y. Non esiste
quindi nessuna ragione per cui uno debba essere vendibile liberamente,
mentre l’altro assolutamente mai.
Un “principio basilare” a cui si inizi a fare eccezioni prima ancora di
avere finito di enunciarlo non è un principio: è un capriccio. Un
capriccio che potrà aver successo solo con l’imposizione violenta, dato
che non possederà nessuna logica, o motivazione, salvo quella del: “Io
voglio così, quindi deve essere così”.
Non curiosamente questa visione delle cose la ritrovo in una femminista che si colloca sul versante opposto, la sociologa Daniela Danna, una delle più articolate (e in genere, condivisibili) avversarie della GPA, che nel suo libro Fare un figlio per altri è giusto (falso!), (Laterza, Bari 2017, € 12) afferma:
“Gli uomini pensano
che un neonato sia (almeno) per metà cosa loro perché c’è la parità, e inoltre hanno dato l’indispensabile contributo di un orgasmo“. Daniela Danna. |
E’ curioso osservare come persone che
hanno visioni del femminismo per molti versi opposte abbiano poi la
medesima idea disneyana del concepimento umano. Evidentemente credono
davvero che nell’antica Grecia fosse il vento a ingravidare le cavalle
del dio Sole…
Gli uomini, guardate un po’ voi, “pensano” che un embrione nasca per
metà da loro, e che il loro contributo non sia l’impollinazione, ma addirittura la vera e propria produzione del polline!
Ops, si dà il caso che le cose stiano
proprio come la “pensano” gli uomini. Il “contributo” corrispondente
all’orgasmo maschile è l’orgasmo femminile, non la gravidanza. Ci può
essere l’uno senza l’altra e l’una senza l’altro.
Non esiste invece corrispondente maschile della gravidanza
perché l’evoluzione, essendo cieca, non s’è mai posta il problema
d’essere egalitaria. Ed ha escogitato corpi differenti, con funzioni
procreative differenti. Punto.
Daccapo, ideologia e realtà sono due mondi privi di punti di contatto.
La realtà biologica non è politicamente corretta (ecco perché i/le guru del politicamente corretto la odiano). I maschi non restano incinti. Se ne facciano una ragione, imparino a superare la loro invidia dell’utero. Sarà forse ingiusto, sarà terribile per qualcuno, però l’evoluzione della razza umana ha scelto questa strada. Avrebbe potuto farla riprodurre per gemmazione, per scissione, per sporulazione, per ovoposizione ermafroditica, per talea o per margotta… e invece no: altri esseri viventi possono farlo, mentre la razza umana non può. Chi è nato maschio, non potrà mai portare a termine una gravidanza, e mai vuol dire assolutamente mai.
Purtroppo però simmetricamente nessuna donna potrà mai portare avanti una gravidanza senza il contributo che un uomo “pensa” di poter dare. Anzi, in realtà non “pensa” di darlo: lo dà, punto e basta.
Dico sciocchezze? Nessun problema: è sufficiente popolarizzare la pratica della partenogenesi per smentirmi con ignominia. Dopo tutto, esistono razze di afidi che lo fanno…
Peccato solo che noi non siamo afidi (anche se certi post su Facebook sembrano scritti da zecche).
Mi sembra che in questo tripudio di progressismo,
in cui donne, uomini, etero, trans e gay vengono di volta in volta
disprezzati e odiati, di progressismo non ne sia rimasto molto.
Forse sarebbe opportuno smetterla d’inventarsi l’esistenza di donne che
“liberamente” desiderano figli da regalare a sconosciuti per pura
generosità uterina, donne che ingravidano grazie a bicchierini, gay che
stuprano le donne per sottometterle (incredibilmente, senza degnare
d’uno sguardo i loro mariti!), trans m-t-f che sono donne però col pene,
uomini gay che con le terapie riparative diventano etero, e non so
cos’altro.
A furia di spiegare al mondo (e in taluni casi addirittura a Dio) come “dovrebbe” essere per poter essere giusto secondo i propri criteri, s’è dimenticato come fare a capire il mondo per quello che esso è, in modo da poter poi verificare in quale modo le nostre visioni politiche possano cambiarlo e, secondo noi, migliorarlo.
Tu chiama questa roba “sinistra”, se vuoi: io no.
Giovanni Dall’Orto, 13 settembre 2017.
Come trasformare un’aspirazione alla libertà di Simone de Beauvoir (che si diceva bisessuale) in una prescrizione morale, negando la legittima esistenza delle realtà lesbica e gay.
I commenti hanno fatto a pezzi la citazione.