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Come direbbe La Palisse, le scoperte più sorprendenti sono
quelle che arrivano inattese...
Leggevo
più
per curiosità di pettegolezzo che per altro le lettere, in sé
piuttosto banali, del poeta Francesco
Berni (1497-1536) [1].
Ora, tale insistenza avrebbe potuto essere solo una bizzarrìa se "prosciutto" non fosse anche un termine del gergo usato dalla poesia bernesca, di cui guarda caso il Berni è l'esponente più celebre: in questo gergo i prosciutti sono le natiche maschili. Qualche esempio? Eccolo. Francesco Rùspoli (1579-1625) si scaglia contro un "pedante" (cioè un maestro) perché: "Non mostra tante facce un arcolaioE padre Francesco Moneti (1635-1712), inveendo contro il vizio sodomitico dei fiorentini, afferma: "Molto soavi son di mele i fruttidove le "mele" sono ovviamente le natiche, e il "troiano coppier di Giove" è Ganimede. . Attratta dunque la mia attenzione dal termine "sospetto", ho provato a leggere le lettere con i criteri con cui avrei letto un sonetto bernesco, cioè decifrando i doppi sensi secondo il codice cinquecentesco dell'equivoco, e con sorpresa ho visto emergere dalle lettere, inatteso, un viavai di giovanotti marchettari. La corrispondenza inizia il 15 maggio 1530: Berni chiede a Boiano due paia di prosciutti perché vuole donarli a un gentiluomo. Il 6 giugno i prosciutti sono arrivati, e Berni ringrazia. Il 14 agosto Berni aggiunge che ne vuole altri sei
per sé, da mandare uno alla volta dato che in casa è l'unico a
consumare quel tipo di carne, perché si è stufato "di carne di vacca"
(dove le "vacche" sarebbero le donne/prostitute, ça va sans dire).
Il 15 settembre, in risposta a qualcosa scritta dal
Boiano (forse l'annuncio della condanna a morte di una delle marchette
che avrebbe dovuto inviare?) Berni augura che Dio faccia pace con le
anime di "quei peccatori", che sono stati così maltrattati da essere
"morti martiri": se così è, della richiesta del Berni non se ne parli
più.
Un anno
dopo, nell'ottobre 1531, troviamo una lettera
intenzionalmente oscura che allude di sguincio a fatti ben noti ai
corrispondenti, ma che noi possiamo solo inferire.
Per concludere, il 5 luglio 1532 è Berni ad inviare a Boiano (impegnato in opere d’architettura commissionate da Giberti), per incarico di "Monsignore" (Giberti) un muratore "eccellente per il pilastro vostro" ["pilastro" = "membro virile"]"e per ogni cosa", con l'autorizzazione a fare con lui ciò che vorrà. Qui finiscono le lettere del Berni conservateci, ma credo che di carne al fuoco ce ne sia a sufficienza. Francesco Berni in abito religioso. Incisione seicentesca. *** Incuriosito dalla vicenda ho cercato di sapere chi fosse Boiani, trovando alcune poesie latine scritte da lui. Mentre le leggo, anche qui più per curiosità che per altro, mi imbatto, guarda tu il caso, in due composizioni indirizzate Ad ingenuum adulescentem Johannem Matthaeum [7], scritte dal Boiani venti/venticinquenne (cioè verso il 1510/1515). E chi sarà mai l'"adolescente Giovan Matteo" a cui sono indirizzate? Ebbene sì: proprio il Giberti (che aveva cinque/dieci anni meno del Boiani). La "coincidenza" è resa ancora più significativa dal fatto che in una delle composizioni Boiani parla... dell'amicizia amorosa e intensissima che lega lui e Giberti, paragonandola ai mitici esempi delle più belle amicizie dell'antichità classica. Il cerchio si chiude. Berni, Boiano, "messer Marco" e l'"abate di san Zeno" costituiscono una piccola cerchia di "sodomiti" cortigiani e amici che si dà da fare dietro le spalle del severo vescovo Giberti e che, legati da vincoli di complicità, si scambiano il favore di segnalarsi (e inviarsi) a vicenda i ragazzotti "che ci stanno". Succede molto raramente di imbattersi in documenti di questo genere, vere "prove a carico" che, nelle mani sbagliate, avrebbero potuto costare la vita a chi li scrisse. La sorte capitata a "quelli peccatori" (se davvero si tratta di sodomiti noti al Boiani, catturati e giustiziati) è un monito costante sul pericolo corso da chi aveva rapporti omosessuali in quel periodo, specie se non aveva "santi in cielo" come Berni e soci. Il gruppetto che ruota intorno al cardinale Giberti, infatti, appartiene ad un'elite nei confronti della quale di solito il Potere usa reti a maglie molto larghe... *** Ciononostante almeno uno degli "allegri compari" della brigata dovette subire una (blanda) punizione per il suo eccessivo attaccamento ai ragazzi. Il 29 gennaio 1523 proprio Francesco Berni, allora venticinquenne, scrisse tre sonetti contro Amore da un'abbazia in Abruzzo, dov'era relegato per certe colpe d'amore omosessuale di cui si protesta innocente. Salvo poi divertirsi a dire che lui sì "ha in culo" (cioè disprezza fortemente) Amore, però lo dice con una frase a doppio senso sessuale: "Marte ho nella brachetta e in culo Amore" [8], ovvero: "davanti, nelle mutande" (brachetta) "ho la guerra, e nel culo lo stimolo d'amore". Questo è il Berni, uno "spudorato" che approfitta del clima di tolleranza che esistette in Italia prima della Controriforma per promettere ai giovani "abati Cornaro" che: "pur, per non star inutilmente chetoÈ lo stesso che scrive un "Capitolo d'un ragazzo" a proposito del ragazzo regalato da Mecenate a Virgilio, che se ne era innamorato, aggiungendo serafico: "Io non son né poeta né dottore,È lo stesso che parlando delle "pesche" non esita a beffarsi della convenzione burlesca, che permetteva di scherzare solo sulla sodomia "attiva" (giudicata più "virile"), esaltando come massimamente fortunato ("avventurato") colui che riesca a godere tanto della sodomia attiva che di quella passiva: "che sopra gli altri avventurato siacioè "darlo e prenderlo" [11]. Altri documenti, se lo spazio non mi imponesse di fermarmi, confermerebbero la straordinaria "sfacciataggine" con cui Berni e quelli del suo ambiente sociale vissero la loro omosessualità nei decenni precedenti la Controriforma. E sono certo che curiosando sull'"abate di san Zeno" e su "messer Marco" emergerebbero altri elementi su questa buffa cricca di sodomiti rinascimentali. Per non farla troppo lunga mi fermo qui, per ora, limitandomi a riportare di seguito il testo originario delle lettere del Berni, a dimostrazione di quanto materiale riservi, per lo storico dell’omosessualità che abbia la pazienza di mettersi a ricercare, la letteratura e la storia italiana. Appendice: Il testo delle lettere. [Per semplificare l'eventuale stampa della versione online di questo articolo ho scelto di pubblicare i testi originali qui di seguito, anziché nasconderli separatamente dietro a link]. Lettera del 15 maggio 1530
Lettera del 6 giugno 1530
Lettera del 14 agosto 1530
Lettera
del 16 settembre 1530
E
ricordatevi che siano grassetti, non operosi, come vi dissi per
l'ultima lettera (...).
Lettera dell'ottobre 1531
Affermando
quanto il Berni ha scritto di sopra, non farò altre cerimonie con voi,
messer Vincilao mio, che potrei dire molte cose dandomene occasione
questo bel giovine che ci avete mandato; al quale ancora speriamo di
avere a dar moglie per mano vostra, innanzi che venga la settuagesima,
che si farà l'alleluia.
Lettera del 5 luglio 1532
L'autore ringrazia fin d'ora chi vorrà aiutarlo a trovare immagini e ulteriori dati su persone, luoghi e fatti descritti in questa scheda biografica, e chi gli segnalerà eventuali errori contenuti in questa pagina. |
Note
[1] Stanno in: Opere di Francesco Berni, Sonzogno, Milano 1928, pp. 307-313. [2] Sul Boiani si veda: Riccardo Della Torre, Un amico del Berni. Vincislao Boiani umanista cividalese del sec. XVI, "Memorie storiche forogiuliesi", VII 1911, pp. 141-160. [3]-Sonetti inediti di Francesco Ruspoli, Fava, Bologna 1876, p. 5. [4] Francesco Moneti, Della vita e dei costumi dei fiorentini, Giornale di erudizione, Firenze 1888, p. 11. Anche in ristampa anastatica: Forni, Bologna s.d. Si veda anche il sonetto 9 di Silvio Stampiglia (1664-1725), "Eccoti, amico, un poco di prosciutto", innocuo ma con alcuni doppi sensi burchielleschi: "amico" e "fratello" indicano il membro virile, l'"osso" ovviamemente lo stesso in erezione, "ghiotto" e "gentile" stanno per "sodomita"... [5] Una nota
(in: Opere di Francesco Berni, Sonzogno, Milano 1928, p. 309)
lo identifica in Marco Contarini, a cui Berni scrisse il capitolo "A
Messer Marco veniziano", e che possedeva una villa vicino al luogo in
cui Berni voleva incontrare Boiani.
[6] Uno dei tre abati
Cornaro, precisamente Andrea Cornaro
(1511-1551).
[7] Le due composizioni latine vedile in: Riccardo Della Torre, Op. cit., pp. 146 e 147. [8] Vedili
in: Francesco Berni, Rime, Op. cit., pp. 49-51.
[9] "Capitolo agli signor abbati", Ibidem, p. 95. [10] "Capitolo d'un ragazzo", Ibidem, p. 47. [11] "Capitolo delle pesche", Ibidem, p. 34. [12] È un'ulteriore allusione alla "carne bovina" cioè "di vacca", intendendo irrispettosamente per "uccello di san Luca" il simbolo apocalittico dell'evangelista Luca: un vitello o toro (talvolta declassato a... bue) con le ali. [13] I
commentatori ipotizzano che questo "giovane" morto o giustiziato sia il
fallito attentatore alla vita di Pietro Aretino, attentatore che era un
servitore del "virtuoso" vescovo Giberti (quando si dice il
caso!).
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