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Paolo Manuzio 
(Paulus Manutius, 1512-1574)

L'umanista-editore Paolo Manuzio

De morte Bonfadii - Sulla morte del Bonfadio [ca. 1550] [1]
.

Dilectae Musis animae, Iovis unica cura, 
in quibus et rectum et longos exstincta per annos 
nunc demum exoriens virtus antiqua relucet; 
et tu, qui docti dux inclitus agminis anteis, 
magnanime o iuvenis, Grimoalde, quis ille, quis esse 
tam culto ingenio possit, tam divite vena, 
officium vestrum qui versibus exprimat aptis? 

Anime care alle Muse, unico amore di Giove, 
per cui la virtù antica, giustamente estinta per lunghi anni, solo ora sorge e riluce; 
e tu famoso capo del gruppo dei dotti che conduci,
o magnanimo giovane Grimaldi, chi è quello, che può avere
tanto raffinato ingegno quanta ispirazione divina 
da esprimere il vostro compito con versi adatti?
Lapsus erat miser in culpam Bonfadius: iudex 
detulerat patribus, nec inani teste probarat. 
Quid facerent legum custodes? Legibus uti 
coguntur; dignum est; servantur legibus urbes.
Il povero Bonfadio era caduto in errore: il giudice 
lo aveva deferito ai padri: ed era stata dimostrata la sua colpevolezza da una testimonianza ben valida. 
Cosa avrebbero dovuto fare i custodi delle leggi? Essi pensarono di applicarle: è giusto. Le città si conservano con le leggi. [Trad. G. Delfino]
Continuo infelix in carcere conditur atro. 
Nuntius interea tristis percusserat aures 
omnium amicorum. Vestris dolor haesit acerbus mentibus; afflicti propere concurritis omnes.
Subito l’infelice fu condotto in un terribile carcere.
Intanto un triste annuncio aveva colpito le orecchie 
di tutti gli amici. Un aspro dolore si attaccò alle vostre menti;
presto tutti afflitti siete accorsi.
O pietas, o prisca fides! Vos crimine duro oppressum et multis invisum, non tamen ipsi 
pendentem extremo casu liquistis amicum. 
Pugnastis precibus, fletu pugnastis amaro,
si possent flecti sensus mentesque severae. 
Est etiam mimine dubio sermone relatum 
argento atque auro multos cupiisse redemptum. 
Docta cohors, quid agis? Turbatis navigat Euris
spes tua; vana petis portuque salutis aberras.
O pietà, o antica fede! Voi avete abbandonato un amico
oppresso da una dura accusa e odiato da molti, 
non tuttavia che paga con la stessa estrema morte. 
Avreste combattuto con le preghiere, avreste combattuto con lacrime amare, se le menti e i sentimenti rigidi potessero essere addolciti. 
È anche senza minimo dubbio che molti desiderassero riscattarsi con discorsi d’oro e d’argento. Dotta cohorte, che fai? La tua speranza naviga nei burrascosi mari d’oriente; aspiri a cose vane e ti allontani dal porto della salvezza. 
Ne lacrimas, ne funde ultra; desiste precari; 
suscipis ingratum studium sterilemque laborem. 
Fixa manet duris sententia legibus atrox; 
Si fecit, pereat; factum patet, ergo peribit. 
Horrendum carmen, tamen immutabile; quod non 
frangere vis hominum, non flectere gratia possit. 
Exprimitur tandem hoc invito a iudice, vivus 
ne comburatur crepitanti deditus igni. 
Tum se carnifici saevo Bonfadius ultro, 
mente Deum spectans, animo imperterritus offert; 
ille ministerio propere functurus iniquo 
terribilis rigidam suspendit ad alta securim.
Non versare lacrime, non oltre; smetti di supplicare; 
fai uno sterile sforzo e una fatica inutile. 
La sentenza fissata dalle leggi rimane dura e atroce; 
se lo ha fatto, muoia; è provato che lo fece, dunque morrà. Orrenda sentenza, tuttavia immutabile; ciò che la forza degli uomini non può spezzare, la grazia non può piegare. 
Infine è stato ottenuto a stento dal giudice che non sia messo nel fuoco crepitante e bruciato vivo. 
Allora Bonfadio, rivolgendo la mente a Dio, imperterrito nell’animo, si offre spontaneamente al feroce carnefice; 
egli terribile, che stava per compiere un compito ingiusto,
sospese la rigida scure in alto
Quem feris, ah! scelerata manus? quam nobile collum 
percutis ignoras, et quo te sanguine tingis? 
Hic, qui prostratus iugulum tibi porrigit, a te 
fortiter exspectans extremi vulneris ictum, 
dulcibus et numeris et molli doctus avena, 
cum caneret versus Musis et Apolline dignos, 
aerio sacras descendere monte Camenas 
atque habitare tuo, Benace, in litore iussit. 
Hic et Romano eloquio et praecellit Etrusco, 
mansuetus, facilis, dulci sermone disertus.
Che ferisci, ah! scellerata mano? Ignori quale nobile
collo colpisci, e di che sangue ti tingi?
Costui, che prostrato ti porge la gola, da
te aspettando il forte colpo dell'estrema ferita,
abile nei dolci, nella matematica e nel flauto dolce, 
benché cantasse versi degni delle Muse e di Apollo,
gli ordinò di scendere dall’alto monte verso le sacre muse
e gli ordinò di abitare, o Lago di Garda, sulle tue rive.
Costui eccelse nella lingua latina e in quella italiana,
fu mansueto, affabile, esperto nel parlare dolcemente.

Haec tu non audis; sed inanibus irrita ventis 
mandantur quaecumque loquor; tu parcere nescis: 
eximios humilesque feris discrimine nullo.

Ma tu sei sorda a tutto ciò, e vanamente ai vuoti venti 
è affidato tutto ciò che dico: tu non sai perdonare:
ferisci senza discernere gli eccellenti e gli infimi.
Sic visum est superis; mutari fata nequibant. 
Fixum erat ut damnatus et acri iudice victus, 
Bonfadi, ante diem Ligurum morereris in urbe.
Così è piaciuto agli dèi: non potevano cambiare il Destino:
era stabilito che condannato e vinto da un crudele giudice,
o Bonfadio, tu morissi prima del tempo nella città dei Liguri.

Urbs praeclara viris, urbs classe insignis et armis,
barbaricae gentis magnis decorata tropaeis, 
cur veterem a nobis, cur fidum avellis amicum?

Città famosa per i suoi cittadini, gloriosa per flotta ed armi,
adorna di grandi trofei dei popoli barbarici,
perché ci strappi un vecchio, un fedele amico?
Non tamen obscurus perit aut inglorius; exstant 
scripta viri, quae posteritas mirabitur omnis.
Che tuttavia non è morto senza fama o gloria: restano
gli scritti suoi, che la posterità tutta ammirerà.
Tu quoque in historiis seros memorata per annos, 
Genua, florebis viridi cum laude, et ab illo 
quem tu exstinxisti tibi lucida gloria surget.
Tu stessa ricordata negli anni a venire nelle sue Storie,
Genova, fiorirai con forte lode, e da colui che hai ucciso sorgerà luminosa gloria per te.
At tu, cui miser extrema Bonfadius hora 
aspersam lacrimis misit per scripta salutem, 
flos Ligurum, Grimoalde, tuae decus urbis et orbis, 
et vos, o Phoebo sacri studiisque decoris,
Ma tu, a cui il misero Bonfadio nell’estrema ora, 
mandò lettere cosparse di lacrime per la sua salvezza, 
fiore dei liguri, Grimaldi, onore della tua città e del mondo, 
e voi, eccellenti giovani devoti a Febo,
egregii iuvenes, maestum lenite dolorem: 
iam sat honorifico celebrastis funera fletu, 
iam satis officio, satis et tribuistis amori. 
lenite il triste dolore con studi onorevoli: 
ormai celebraste funerali con sufficiente pianto onorifico, 
con sufficiente funzione e dimostrate sufficiente amore.
Nec vestrum studium, pietas nec vestra latebit, 
sed clarorum hominum semper notescet ab ore;
Non sarà nascosto né il vostro zelo né la vostra pietà, 
ma sarà sempre noto per voce degli uomini illustri;
et quas ille truci correptus morte nequivit
officio studioque pares persolvere grates, 
has qui perpetua vobis cum laude rependat 
forsitan alter erit, vel iam est; multique sequentur.
e quelli che egli, colto da morte violenta, non poté
per passione e dovere ricambiare il favore, chi vi contraccambierà con lode continua, forse sarà un altro, oppure c’è già; e molti seguiranno.
Vive diu, studiosa manus, doctamque Minervam 
excole, quae vestras divino nectare mentes 
pascet et extremum tribuet per saecula nomen.
Vivi a lungo, manipolo di letterati, e venera la dotta Minerva
che nutre le vostre menti con il nettare divino 
e dà suprema fama per i secoli.

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Note

[1] "Edito anche come: "Carmen ad eos qui pro salute Bonfadii laborarunt". 
Il testo qui riprodotto è quello messo  online nella Bibliotheca augustana.

La traduzione dal latino qui proposta, inedita, è sia mia sia di Pierluigi Gallucci, che ringrazio per il contributo. 
La revisione del testo italiano è mia, quindi eventuali errori sono da imputare a me soltanto.

Un'edizione a stampa recente di questo testo è in: Iacopo Bonfadio, Le lettere e una scrittura burlesca, Bonacci, Roma 1978, pp. 179-181.

Questa poesia è il resoconto in versi agli amici sulla vicenda (un po' noiosetto) scritto da Paolo Manuzio, umanista amico del Bonfadio che si adoperò per salvargli la vita.

Si noti come, in barba agli storici eterosessuali di oggi che sostengono l'assoluta innocenza del  Bonfadio, perfino Manuzio è convinto ("lapsus erat miser in culpam Bonfadius") della sua colpevolezza!


Ripubblicazione consentita previo permesso dell'autore: scrivere per accordi.

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