De morte Bonfadii
- Sulla morte del Bonfadio [ca. 1550] [1]
.
Dilectae
Musis animae, Iovis unica cura,
in quibus
et rectum et longos exstincta per annos
nunc demum
exoriens virtus antiqua relucet;
et tu, qui
docti dux inclitus agminis anteis,
magnanime
o iuvenis, Grimoalde, quis ille, quis esse
tam culto
ingenio possit, tam divite vena,
officium
vestrum qui versibus exprimat aptis? |
Anime care
alle Muse, unico amore di Giove,
per cui la
virtù antica, giustamente estinta per lunghi anni, solo ora sorge
e riluce;
e tu famoso
capo del gruppo dei dotti che conduci,
o magnanimo
giovane Grimaldi, chi è quello, che può avere
tanto raffinato
ingegno quanta ispirazione divina
da esprimere
il vostro compito con versi adatti? |
Lapsus
erat miser in culpam Bonfadius: iudex
detulerat
patribus, nec inani teste probarat.
Quid facerent
legum custodes? Legibus uti
coguntur;
dignum est; servantur legibus urbes. |
Il
povero Bonfadio era caduto in errore: il giudice
lo aveva deferito
ai padri: ed era stata dimostrata la sua colpevolezza da una testimonianza
ben valida.
Cosa avrebbero
dovuto fare i custodi delle leggi? Essi pensarono di applicarle: è
giusto. Le città si conservano con le leggi. [Trad.
G. Delfino] |
Continuo
infelix in carcere conditur atro.
Nuntius
interea tristis percusserat aures
omnium amicorum.
Vestris dolor haesit acerbus mentibus; afflicti propere concurritis omnes. |
Subito
l’infelice fu condotto in un terribile carcere.
Intanto un
triste annuncio aveva colpito le orecchie
di tutti gli
amici. Un aspro dolore si attaccò alle vostre menti;
presto tutti
afflitti siete accorsi. |
O
pietas, o prisca fides! Vos crimine duro oppressum et multis invisum, non
tamen ipsi
pendentem
extremo casu liquistis amicum.
Pugnastis
precibus, fletu pugnastis amaro,
si possent
flecti sensus mentesque severae.
Est etiam
mimine dubio sermone relatum
argento
atque auro multos cupiisse redemptum.
Docta cohors,
quid agis? Turbatis navigat Euris
spes tua;
vana petis portuque salutis aberras. |
O
pietà, o antica fede! Voi avete abbandonato un amico
oppresso da
una dura accusa e odiato da molti,
non tuttavia
che paga con la stessa estrema morte.
Avreste combattuto
con le preghiere, avreste combattuto con lacrime amare, se le menti e i
sentimenti rigidi potessero essere addolciti.
È anche
senza minimo dubbio che molti desiderassero riscattarsi con discorsi d’oro
e d’argento. Dotta cohorte, che fai? La tua speranza naviga nei burrascosi
mari d’oriente; aspiri a cose vane e ti allontani dal porto della salvezza. |
Ne lacrimas,
ne funde ultra; desiste precari;
suscipis
ingratum studium sterilemque laborem.
Fixa manet
duris sententia legibus atrox;
Si fecit,
pereat; factum patet, ergo peribit.
Horrendum
carmen, tamen immutabile; quod non
frangere
vis hominum, non flectere gratia possit.
Exprimitur
tandem hoc invito a iudice, vivus
ne comburatur
crepitanti deditus igni.
Tum se carnifici
saevo Bonfadius ultro,
mente Deum
spectans, animo imperterritus offert;
ille ministerio
propere functurus iniquo
terribilis
rigidam suspendit ad alta securim. |
Non versare
lacrime, non oltre; smetti di supplicare;
fai uno sterile
sforzo e una fatica inutile.
La sentenza
fissata dalle leggi rimane dura e atroce;
se lo ha fatto,
muoia; è provato che lo fece, dunque morrà. Orrenda sentenza,
tuttavia immutabile; ciò che la forza degli uomini non può
spezzare, la grazia non può piegare.
Infine è
stato ottenuto a stento dal giudice che non sia messo nel fuoco crepitante
e bruciato vivo.
Allora Bonfadio,
rivolgendo la mente a Dio, imperterrito nell’animo, si offre spontaneamente
al feroce carnefice;
egli terribile,
che stava per compiere un compito ingiusto,
sospese la
rigida scure in alto |
Quem feris,
ah! scelerata manus? quam nobile collum
percutis
ignoras, et quo te sanguine tingis?
Hic, qui
prostratus iugulum tibi porrigit, a te
fortiter
exspectans extremi vulneris ictum,
dulcibus
et numeris et molli doctus avena,
cum caneret
versus Musis et Apolline dignos,
aerio sacras
descendere monte Camenas
atque habitare
tuo, Benace, in litore iussit.
Hic et Romano
eloquio et praecellit Etrusco,
mansuetus,
facilis, dulci sermone disertus. |
Che ferisci,
ah! scellerata mano? Ignori quale nobile
collo colpisci,
e di che sangue ti tingi?
Costui, che
prostrato ti porge la gola, da
te aspettando
il forte colpo dell'estrema ferita,
abile nei dolci,
nella matematica e nel flauto dolce,
benché
cantasse versi degni delle Muse e di Apollo,
gli ordinò
di scendere dall’alto monte verso le sacre muse
e gli ordinò
di abitare, o Lago di Garda, sulle tue rive.
Costui eccelse
nella lingua latina e in quella italiana,
fu mansueto,
affabile, esperto nel parlare dolcemente. |
Haec tu
non audis; sed inanibus irrita ventis
mandantur
quaecumque loquor; tu parcere nescis:
eximios
humilesque feris discrimine nullo. |
Ma tu sei sorda
a tutto ciò, e vanamente ai vuoti venti
è affidato
tutto ciò che dico: tu non sai perdonare:
ferisci senza
discernere gli eccellenti e gli infimi. |
Sic visum
est superis; mutari fata nequibant.
Fixum erat
ut damnatus et acri iudice victus,
Bonfadi,
ante diem Ligurum morereris in urbe. |
Così
è piaciuto agli dèi: non potevano cambiare il Destino:
era stabilito
che condannato e vinto da un crudele giudice,
o Bonfadio,
tu morissi prima del tempo nella città dei Liguri. |
Urbs praeclara
viris, urbs classe insignis et armis,
barbaricae
gentis magnis decorata tropaeis,
cur veterem
a nobis, cur fidum avellis amicum? |
Città
famosa per i suoi cittadini, gloriosa per flotta ed armi,
adorna di grandi
trofei dei popoli barbarici,
perché
ci strappi un vecchio, un fedele amico? |
Non tamen
obscurus perit aut inglorius; exstant
scripta
viri, quae posteritas mirabitur omnis. |
Che tuttavia
non è morto senza fama o gloria: restano
gli scritti
suoi, che la posterità tutta ammirerà. |
Tu quoque
in historiis seros memorata per annos,
Genua, florebis
viridi cum laude, et ab illo
quem tu
exstinxisti tibi lucida gloria surget. |
Tu stessa ricordata
negli anni a venire nelle sue Storie,
Genova, fiorirai
con forte lode, e da colui che hai ucciso sorgerà luminosa gloria
per te. |
At tu, cui
miser extrema Bonfadius hora
aspersam
lacrimis misit per scripta salutem,
flos Ligurum,
Grimoalde, tuae decus urbis et orbis,
et vos,
o Phoebo sacri studiisque decoris, |
Ma tu, a cui
il misero Bonfadio nell’estrema ora,
mandò
lettere cosparse di lacrime per la sua salvezza,
fiore dei liguri,
Grimaldi, onore della tua città e del mondo,
e voi, eccellenti
giovani devoti a Febo, |
egregii
iuvenes, maestum lenite dolorem:
iam sat
honorifico celebrastis funera fletu,
iam satis
officio, satis et tribuistis amori. |
lenite il triste
dolore con studi onorevoli:
ormai celebraste
funerali con sufficiente pianto onorifico,
con sufficiente
funzione e dimostrate sufficiente amore. |
Nec vestrum
studium, pietas nec vestra latebit,
sed clarorum
hominum semper notescet ab ore; |
Non sarà
nascosto né il vostro zelo né la vostra pietà,
ma sarà
sempre noto per voce degli uomini illustri; |
et quas
ille truci correptus morte nequivit
officio
studioque pares persolvere grates,
has qui
perpetua vobis cum laude rependat
forsitan
alter erit, vel iam est; multique sequentur. |
e
quelli che egli, colto da morte violenta, non poté
per passione
e dovere ricambiare il favore, chi vi contraccambierà con lode continua,
forse sarà un altro, oppure c’è già; e molti seguiranno. |
Vive diu,
studiosa manus, doctamque Minervam
excole,
quae vestras divino nectare mentes
pascet et
extremum tribuet per saecula nomen. |
Vivi a lungo,
manipolo di letterati, e venera la dotta Minerva
che nutre le
vostre menti con il nettare divino
e dà
suprema fama per i secoli. |
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Note
[1]
"Edito anche come: "Carmen ad eos qui pro salute Bonfadii laborarunt".
Il testo qui
riprodotto è quello messo online nella Bibliotheca
augustana.
La traduzione
dal latino qui proposta, inedita, è sia mia sia di Pierluigi
Gallucci, che ringrazio per il contributo.
La revisione
del testo italiano è mia, quindi eventuali errori sono da imputare
a me soltanto.
Un'edizione
a stampa recente di questo testo è in: Iacopo Bonfadio, Le lettere
e una scrittura burlesca, Bonacci, Roma 1978, pp. 179-181.
Questa poesia
è il resoconto in versi agli amici sulla vicenda (un po' noiosetto)
scritto da Paolo Manuzio, umanista amico del Bonfadio che si adoperò
per salvargli la vita.
Si noti come,
in barba agli storici eterosessuali di oggi che sostengono l'assoluta innocenza
del Bonfadio, perfino Manuzio è convinto ("lapsus erat
miser in culpam Bonfadius") della sua colpevolezza! |