Giovanni
Bosco nacque in provincia di Asti da una poverissima famiglia contadina,
e solo grazie alla "protezione" di alcuni sacerdoti riuscì ad entrare
in seminario e ad essere ordinato sacerdote (nel 1841).
Fin dagli
inizi l'attività religiosa di don Bosco si rivolse agli adolescenti
e ai ragazzi di estrazione contadina, privi di formazione lavorativa
e di casa (maschi), attirati a centinaia a Torino dalla Rivoluzione
industriale.
Don Bosco
dedicò la sua intera vita alla prevenzione (contrapposta
alla repressione) del crimine, fornendo a questi adolescenti il
minimo per sopravvivere che il capitalismo rifiutava di dare loro:
un alloggio (sia pur precario) dove dormire, qualcosa da mangiare, e lezioni
per imparare un lavoro.
In breve la proposta paternalistica ma in fondo umanitaria di don Bosco ebbe successo: nel 1846 i ragazzi che frequentavano il primo oratorio di don Bosco erano più di trecento, e nel 1864 egli potè fondare addirittura la "Pia società di san Francesco di Sales" (i "Padri salesiani"), alla quale affiancò le "Figlie di Maria Ausiliatrice" dedicate, infine, all'assistenza delle adolescenti. Gli Oratori salesiani furono fin dall'inizio centri di formazione professionale per adolescenti privi di qualunque accesso all'istruzione; l'iniziativa ebbe un tale successo che dal 1875 i salesiani cominciarono a mandare missioni in altri Paesi (specie in Sud America), diffondendosi in tutto il mondo cattolico. Tali risultati furono ottenuti nonostante una caparbia ostilità delle gerarchie cattoliche, per le quali i preti salesiani che giocavano negli Oratori assieme ai ragazzi delle più basse classi sociali erano un scandalo, contrario alla visione gerarchica della società che esse propagandavano. Negli ultimi anni della sua vita Bosco fu addirittura costretto a pagare il prezzo della sua ottusa propaganda di obbedienza al papa: il papa stesso gli ordinò infatti di raccogliere enormi somme di denaro (Bosco s'era dimostrato abilissimo nel raccogliere fondi) per la costruzione di chiese a Roma, allo scopo di ottenere il "perdono" del vescovo di Torino... che lo aveva osteggiato! Nonostante le opposizioni, alla morte di don Bosco gli oratori salesiani erano ben 250, e la sua fama di santità era tale che la causa di beatificazione fu aperta già nel 1890: nel 1924 egli fu proclamato beato, e nel 1934 santo. ***
*** Eppure la Chiesa cattolica, nella sua bigotteria, s'illude di riuscire a impedire che se ne parli. Così quando di recente Sergio Quinzio ne ha accennato, con serenità, in un libro dedicato ai "santi sociali" piemontesi [2], àpriti cielo.
Si ego non scandalizor, quia vos scandalizamini? Eppure anni
prima Guido
Ceronetti aveva già discusso Urbi et Orbi dell'omosessualità
di Bosco, sul quotidiano torinese "La Stampa" [3].
Ma tant'è: la Chiesa cattolica va sbandierando ai quattro venti di non essere nemica degli omosessuali, bensì "solo" degli atti contronatura, ma se poi si punta il dito sul caso di un omosessuale che effettivamente riuscì ad osservare l'arduo (e casto) modello che essa va proponendo ai gay, si dà a vere scene isteriche. Di fronte alla
Lettera
ai vescovi della Chiesa cattolica sulla cura pastorale delle persone omosesuali
(10 ottobre 1986) del cardinale Ratzinger,
qualcuno ha commentato che la gerarchia cattolica vuole che i gay siano
solo o santi, o dannati. A giudicare dalla "questione don Bosco" sembrerebbe
piuttosto che gli omosessuali non li voglia proprio, né santi, né
dannati.
Perché
all'interno delle gerarchie cattoliche questi altarini sono ben conosciuti,
figuriamoci: l'istituzione ecclesiastica ha avuto due millenni di tempo
per imparare a mettere a nudo le altrui, diciamo così, "difficoltà
dell'anima"... Pensiamo solo ai gesuiti,
pensiamo a quali fini (e pericolosi) conoscitori dell'animo umano siano
questi nostri ammirevoli nemici.
E in barba a tutte le condanne all'omosessualità, le inchieste sulla sessualità dei sacerdoti continuano a rivelare percentuali "scandalosamente" alte di gay nelle fila della più antiomosessuale organizzazione del mondo. La Chiesa naturalmente sa di avere una così grossa pattuglia di "diversi" nei suoi ranghi, e considera la cosa un po' come un tallone d'Achille. L'esplosione dell'Aids fra i sacerdoti cattolici statunitensi sta del resto rendendo sempre meno "gestibile" e sempre più imbarazzante la questione: ormai i giornali ne discutono apertamente. La paura che
questa curiosità riveli troppi "panni sporchi" è probabilmente
la ragione per cui i gay costituiscono per la gerarchia cattolica un'ossessione
così fanatica.
Et tu ex illis es, nam et loquela tua manifestum te facit Sicuramente per noi sarebbe importante capire cosa nell'istituzione ecclesiastica attiri in modo così potente gli omosessuali. Da un lato esiste indubbiamente un aspetto di "convenienza": per secoli il religioso è stato una delle poche persone a cui l'opinione pubblica concedeva il diritto di vivere celibe. Per secoli tutti gli omosessuali meno disposti al matrimonio e ai dolori della "doppia vita" eterosessuale, hanno trovato nella Chiesa un rifugio, uno schermo contro il pettegolezzo e l'ostilità che colpivano senza pietà chi fosse celibe "senza giustificazione". In un certo senso la Chiesa
fu anzi "vittima" della sua stessa propaganda antiomosessuale, finendo
con l'incoraggiare coloro che perseguitava a rifugiarsi nel suo
seno per avere un po' di requie.
Vale a dire: sospetta di lui come sodomita, salvo che nel caso in cui abbia scelto di vivere celibe per motivi religiosi... Esiste però
anche una seconda motivazione, altrettanto forte del desiderio di
sfuggire al pregiudizio sociale, e che forse oggi, coll'estendersi dell'accettabilità
del single, è prevalente.
La segregazione sessuale all'interno della Chiesa offre insomma ai gay l'occasione irripetibile di vivere il loro affetto per persone dello stesso sesso, in un contesto che non solo non disapprova tale sentimento, ma anzi lo incoraggia e loda. Basta solo che questo amore non "trascenda" mai al livello sessuale, e si mantenga nei limiti dell'"amore cristiano": tutto qui. "Guai ai soli", dice la Bibbia, "perché se inciamperanno chi li aiuterà a rialzarsi?" [6]. Per molti omosessuali la risposta alla domanda è sempre stata: "la Chiesa cattolica".
Don Bosco è indubbiamente uno di questi casi di omosessuali che nella Chiesa hanno trovato una famiglia e una "missione". Anzi, di più: è un (probabile) pedofilo che riuscì a sublimare la sua attrazione per i bambini in modo non solo non riprovato, ma addirittura socialmente utile. Lo intuiamo
da uno dei pareri più sorprendenti mai espressi su di lui: quello
di padre Girolamo
Moretti, il frate iniziatore della grafologia
in Italia, che analizzò la scrittura del santo, presentatagli in
modo anonimo. Questo fu il suo soprendente responso:
Il parere di
Moretti mozza il fiato, eppure riceve la sorprendente conferma da san
Giuseppe Cafasso, un altro dei "santi sociali" piemontesi,
che di don Bosco fu il confessore:
Enigma, cultore della "doppia vita", facile preda dell'"intenerimento sessuale"... Ce n'è abbastanza per far drizzare le orecchie anche ai più ingenui. Il
fatto è che tutto lascia pensare don Bosco non fosse solo
omosessuale. Se fosse stato solo quello, la vita per lui sarebbe stata
più facile. Una certa indulgenza verso le "tentazioni", figlie del
demonio e non responsabilità dell'individuo che le subisce (senza
cedervi, ovviamente) era normale da parte della Chiesa e della società
laica del tempo, che non aveva ancora il concetto di "tendenza omosessuale".
Per mettere
a fuoco la questione mi servirò delle parole di Ceronetti, ammirevoli
per la loro sapienza nel "dire" in modo esplicito ma discreto.
E poco oltre:
Spiritus carnis me colaphissat Se questo è il quadro "segreto" dei desideri "inconfessabili" di don Bosco, è facile capire come per lui l'ingresso nell'istituzione ecclesiastica abbia voluto dire una possibilità di dar sfogo, e in modo onesto, al suo desiderio di star vicino ai "fanciulli", e al tempo stesso una garanzia di ferrea disciplina per evitare di cedere ai propri impulsi. Ceronetti nel
suo saggio suggerisce esplicitamente una dinamica di questo genere:
E, conclude
Ceronetti, se non fosse stato prete
L'abito religioso è insomma per Bosco al tempo stesso "chiave" meravigliosa che gli apre la porta all'intimità coi "fanciulli" senza destare sospetti, e corazza che lo difende da se stesso e dai propri desideri. Repressa e compressa la sessualità diviene così per Bosco un'ossessione, un sogno segreto, un fantasma spaventoso, un'idea fissa che tende a travasarsi sulle preoccupazioni che egli instilla nei suoi collaboratori e discepoli. L'intero ideale educativo di don Bosco è impregnato del suo amore per i bambini, del suo bisogno di stare con loro, di amarli. L'educatore deve amare il ragazzino, fargli sentire che è amato ("in Cristo", ovviamente), e attraverso questo "amore pedagogico" farsi strada verso la sua anima, che deve essere guidata, sorvegliata e indirizzata ai valori cristiani. L'educatore
deve essere capace di scendere al livello dei bambini, farsi bambino coi
bambini, parlare loro con il linguaggio che essi capiscono.
Queste furono teorie a modo loro "rivoluzionarie" per l'epoca, e suscitarono scandalo negli ambienti più retrivi della Chiesa cattolica, che mal vedevano tanta familiarità tra sacerdoti e laici, fra adulti e ragazzacci, fra borghesi e figli di povera gente o figli di nessuno. Furono teorie che "diedero un tono" peculiare a un ideale educativo tutto sommato tradizionale come quello di Bosco (il quale non capì mai veramente, ed anzi ne diffidò profondamente, i nuovi tempi che venivano, a cominciare dall'Unità d'Italia che lo vide, lui piemontese, tiepido, se non decisamente ostile). Furono anche
teorie che diedero modo al suo éros paidikòs di esprimersi,
di farsi strada verso la luce del sole, di farsi evidente, esplicito, sicuro
di sé.
Sotto questo aspetto don Bosco sembra uscito pari pari da un manuale freudiano. La sua esistenza assomiglia a un'esemplificazione quasi pedìssequa (e di una evidenza che negli attuali e maliziosi tempi post-freudiani sarebbe del tutto impensabile) del concetto di "sublimazione dell'impulso sessuale" in un'attività creativa. L'intera esistenza
di Bosco è dedicato all'assistenza ai "fanciulli", specie quelli
abbandonati, i "ragazzi di strada", i "ragazzi di vita" del secolo scorso.
La virtù
ideale di Bosco è la castità, al punto che gli
sarebbe piaciuto che caratterizzasse specificamente i suoi salesiani, così
come la povertà "caratterizzava" i francescani
e l'obbedienza i gesuiti.
Si può basare un programma di "rinascita cristiana" basandosi sulla rinuncia alla sessualità? Per la società dell'epoca, come per quella di oggi, la risposta era ed è evidentemente no. Eppure l'ossessione di Bosco per la "purezza" mostra che egli in parte ci credette, come suggeriscono anche i suoi famosi "sogni", allucinazioni oniriche in cui le più sadiche catastrofi colpiscono i "giovinetti" che si lasciano traviare (sempre su questioni di "purezza", ovviamente) da "cattive compagnie". Lo stesso modo in cui "costruì" la santità di Domenico Savio dopo la morte (a quindici anni) del ragazzo, mostra fino a che punto lo slogan "la morte, ma non peccati" (di tipo sessuale, ovviamente) fosse importante per lui. Domenico si
è meritato un posto nel calendario cattolico lottando contro i suoi
primi istinti sessuali. Nessuno in quell'epoca si è meritato la
canonizzazione lottando contro gli industriali che per pochi centesimi
facevano lavorare quattordici ore al giorno bambini di molti anni più
giovani di Domenico Savio.
In ogni caso
se don Bosco credette tanto a questo "itinerario verso la santità",
una ragione a mio parere c'è. Ed è che quello fu l'itinerario
che guadagnò a lui la santità. Se egli non avesse
represso e sublimato così bene i suoi desideri, sarebbe forse stato
solo uno di quei "froci di paese" di cui è piena la cronaca nera
dei giornali di provincia. Chissà.
La risposta è: semplicemente perché gli altri non erano lui. Come ha compreso la stessa Chiesa cattolica, che oggi guarda con un certo sospetto agli ideali educativi di don Bosco. Puzzano di pederastia anche per lei, ormai. Specie in un'epoca
in cui sul prete che "tocca i ragazzini" in Oratorio non si ride più
dandosi di gòmito: oggi
si denuncia, perché la pedofilia, a differenza di
qualche anno fa, è presa molto sul serio, ormai.
Sia come sia,
resta il fatto che, lasciato da parte diavolo e diavoletti, anche la
Chiesa cattolica comincia a capirne qualcosa di "tendenze sessuali"
"pulsioni" e simili "diavolerie" laiche.
Oggi i pedagogisti cattolici non vedono di buon occhio il "farsi fanciullo tra i fanciulli" di don Bosco, e la sua "amicizia amorosa" per loro. Ciò non
significa - sia chiaro - che i cattolici siano disposti ad ammettere
che Bosco era omosessuale, foss'anche casto. Per esempio Giacomo
Dacquino, psicoanalista cattolico (docente alla Università
Pontificia Salesiana di Torino) ha così osservato:
Don Bosco, insiste
Dacquino, condannò più volte l'omosessualità; il che
secondo lui dimostra che omosessuale non fu! (ma basta davvero
così poco per "dimostrare" così tanto?).
No, conclude
Dacquino dopo questa sconcertante confessione (che a mio giudizio costituisce
da parte di Bosco l'ammissione di essere andato un po' troppo in là):
don Bosco non "lo" era perché se fosse stato omosessuale non avrebbe
avuto tanti collaboratori e amici che gli furono fedeli per tutta la vita.
Con buona pace di Dacquino, la verità è che oggi la stessa educazione segregata per sessi, un tempo considerata unica salvezza contro lascive frequentazioni tra giovani, è vista come un pericoloso incentivo allo sbocciare di tentazioni omoerotiche fino a quel punto assopite. Ben vengano le scuole miste, dunque, in barba al terrore che delle donne aveva don Bosco! Insomma: magari nella Chiesa l'idea di un don Bosco gay non la manderanno mai giù, però intanto il buon prete contadino si ritrova sì santo, ma sconfessato proprio in quell'aspetto della sua vita che ha fatto di lui un santo. Ironie della storia...
Questo saggio, riedito sul sito di gay.tv, ha suscitato una polemica furibonda, corredata da insulti gratuiti delle chierichecche offese e speziata da pesantissime considerazioni omofobe e intolleranti.
Post scriptum. Qualche anno
fa il responsabile di un sito di cattolici
gay mi chiese la prima stesura di questo scritto, che inviai; il pezzo
fu così messo in Rete.
Ora, se gli omosessuali cattolici sono i primi a pensare che sia disonorevole "insinuare" che un omosessuale possa diventare santo, quanto sarà credibile la pretesa della Chiesa cattolica di "odiare il peccato omosessuale, ma amare e rispettare i peccatori"? Davvero, se
si nasce omosessuali, la via della santità è preclusa?
Come si vede, la contraddizione è insanabile, e alla fin fine il proclama cattolico di odiare "solo il peccato" dimostra tutta la sua ipocrisia: ciò che tutti i cattolici odiano, a quanto pare ivi inclusi quelli omosessuali, sono gli omosessuali in quanto tali, siano o non siano "peccatori". Come dimostra appunto la loro indisponibilità a discutere del fatto che uno di loro possa essere stato omosessuale, anche se casto. A titolo di
documentazione, ricopio qui due obiezioni mosse alla prima stesura del
presente saggio
L'autore ringrazia fin d'ora chi vorrà aiutarlo a trovare immagini e ulteriori dati su persone, luoghi e fatti descritti in questa scheda biografica, e chi gli segnalerà eventuali errori contenuti in questa pagina. |
Note
[1]
Paul Pennings, "Don Bosco breathes his last. The scenario of Catholic social
clubs in the Fifties and Sixties". In: Among mern, among women,
Amsterdam 1983, pp. 166-175 e 598-599.
[2] Sergio Quinzio, Domande sulla santità, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1986, pp. 31-39. [3] Le considerazioni di Guido Ceronetti si possono oggi leggere nel suo Albergo Italia (Einaudi, Torino 1985), col titolo di "Elementi per una anti-agiografia", pp. 122-133. [4] Molti anni dopo aver scritto questo articolo, che si fonda sull'assunto che Bosco non diede mai sfogo fisico ai suoi impulsi, conobbi un torinese che motivava l'anticlericalismo suo e della sua famiglia con li fatto che un suo nonno era stato allievo di don Bosco ed era stato sessualmente molestato da lui. Da qui l'odio - sosteneva - per l'istituzione che di un pedofilo violentatore aveva osato fare addirittura un santo. Che
dirò di questa originale "oral history"? Che nessun tribunale,
né quello dell'Inquisizione e nemmeno quello della Storia, accetta
testimonianze di terza mano, come questa. Ma che lo storico ha il
dovere di registrare anche l'esistenza di voci (magari
per confutarle), perché costuiscono documenti storici di
una mentalità e di un periodo.
[5]-San Bernardino da Siena, Le prediche volgari (a cura di Ciro Cannarozzi), Pacinotti, Pistoia 1934, vol. 1, p. 416. [7] Citato in: Guido Ceronetti, Op. cit., pp. 126-127 e Sergio Quinzio, Op. cit., p. 59. [8] Citato in: Guido Ceronetti, Op. cit., p. 125, e Sergio Quinzio, Op. cit., p. 59. [9] Guido Ceronetti, Op. cit., p. 126. [13] Sergio Quinzio, Op. cit., pp. 35 e 38. [15]
Giacomo Dacquino, Psicologia
di don Bosco, Sei, Torino 1988, pp. 124-129, citazione alle pp.
124-125.
Non
contento, in Educazione psicoaffettiva (Borla, Torino 1972) Dacquino
osserva:
[16]-Ibidem,
p. 128.
|