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Anticipiamo alcuni episodi scelti da «M. L’enigma Caravaggio» dello scrittore australiano Peter Robb, editore Mondadori.
Il libro, che uscirà in ottobre, è una biografia di Michelangelo Merisi, detto il Caravaggio, il grande pittore dalla vita avventurosa nato a Milano nel 1571 e morto a Porto Ercole nel 1610. Nel racconto l’artista è indicato con l’iniziale «M».
L'identità del ragazzo che aveva posato per l’Amor vincitore aveva una sua importanza. L'aveva perché il ragazzo era il nuovo amante di M, che comparì in alcuni dei dipinti di M più straordinari, più profondamente sentiti e più radicalmente intimi, il primo dei quali, dopo l'iniziale angelica comparsa nella prima versione del Saulo, era l'Amor vincitore.
E ha la sua importanza anche in un più lungo arco di tempo, perché questo dodicenne era destinato da adulto a diventare lui stesso un pittore, nonché uno dei primi seguaci di M, pur con uno stile distintamente suo. E sarà proprio come pittore che più tardi lasciò un'eccezionale testimonianza visiva sulla natura della vita condivisa con M nei primi anni.
Di lui si sapeva forse poco, ma quel poco era sufficiente per capire che nella vita di M contava più di chiunque altro. L'arte di M lo dimostrava. Dunque, chi era?
Cinquant'anni dopo, attorno alla metà del secolo, di quel ragazzo si parlava ancora. C'era un inglese a Roma, fra il 1649 e il 1651, un appassionato d'arte di nome Richard Symonds, che teneva una specie di diario artistico dove annotava le sue impressioni sui dipinti visti in varie collezioni.
Symonds visitò il palazzo Giustiniani tredici anni dopo la morte del marchese per vederne i dipinti. A un certo punto, in una confusa miscela del suo inglese e dell'italiano del suo informatore, buttò giù alcune righe a proposito di Amor vincitore. Si limitò unicamente a fissare l’immagine in poche parole e a registrare le enormi somme che certe persone stavano ancora offrendo per il dipinto.
Symonds captò qualche vecchio pettegolezzo riguardo a questo modello e ne prese nota assieme al resto. La sua fonte era un membro della famiglia Giustiniani.
«Checco», il nome trascritto foneticamente da Symonds nel suo diario, stava per «Cecco», vezzeggiativo affettuoso di Francesco.
Lo stesso ragazzo aveva fatto la sua prima comparsa in un ruolo-cammeo l'anno prima, nelle vesti dell'angelo che salvava Cristo da un capitombolo nella prima versione della Conversione di Saulo.
Subito dopo Amor, M lo dipinse nudo a figura intera come san Giovannino Battista: dipinto sbalorditivo e sensuale quasi quanto l'Amor vincitore e assai meno ideologicamente corretto.
[Per un'analisi del carattere omoerotico di quest'opera fare clic qui].
Per M il 1602 fu l'anno dei nudi con Cecco protagonista, e saranno gli unici nudi integrali di tutta la sua opera: i suoi unici due dipinti di gioiosa e sbrigliata energia sessuale.
Nell'ultima riga della sua annotazione Symonds spiegava cosa intendesse dire con l'affermazione che Cecco «era il suo ragazzo»: era cioè il ragazzo o servo di M che giaceva con lui, «his owne boy or servant thait laid with him».
La storia udita da Symonds non fu contraddetta, anche se non pienamente confermata, da un documento di un censimento parrocchiale risalente al 1605, tre anni dopo che l'artista aveva dipinto questi nudi. In esso era elencato un certo «Francesco» che viveva con M nelle sue stanze d'affitto a Roma e che veniva descritto come «garzone» di M, di cui era quindi l'assistente o il servitore, di età non specificata, «il suo ragazzo».
Il lavoro del garzone di un pittore comportava il macinare i colori, montare le tele sui telai e applicarvi l'imprimitura. Era una sorta di apprendistato durante il quale un giovane si familiarizzava con quella che era la base del mestiere. Era ciò che lo stesso M, all'età di dodici anni e mezzo, era stato mandato a imparare nello studio di Simone Peterzano a Milano, e che Peterzano si era impegnato per contratto a insegnargli.
La relazione tra il maestro e l'apprendista non era necessariamente formalizzata e vincolante dal punto di vista finanziario, a differenza del tipo di tirocinio voluto dalla scrupolosa famiglia di M, e il ragazzo, in quanto servo, non era esattamente un allievo. Posare come modello per il maestro faceva parte dei normali doveri del garzone, e dormire con il proprio padrone - in casa erano da soli - non era una cosa rara fra i servi e i modelli degli artisti.
Pittore e ragazzo, secondo il documento parrocchiale, facevano regolarmente la comunione durante la messa.
Il ragazzo stava imparando a dipingere. Il suo nome non diceva nulla a Symonds, anche se l'inglese avrebbe potuto riflettere sulla stranezza che dopo cinquant'anni qualcuno se lo ricordasse ancora. Essere ricordati non era il normale destino dei servi e dei modelli degli artisti.
Ma Cecco da adulto acquisì un proprio prestigio e, più o meno trent'anni prima che il suo nome fosse menzionato al turista inglese, Mancini definiva «Francesco detto Cecco del Caravagio» uno dei pittori più dotati di talento fra i seguaci di M nel suo stile più tardo.Si chiamava Francesco Boneri. Una famiglia di artisti con il cognome Boneri aveva lavorato durante tutto il Cinquecento nella provincia di Bergamo, dove si trovava anche il luogo natale di M.
I genitori di Cecco appartenevano probabilmente a quella folta schiera di artisti lombardi attivi a Roma - in Campo Marzio c'era anche una cospicua comunità proveniente dalla stessa Caravaggio - e non sarebbe stato sorprendente se avessero messo a bottega da M il loro figliolo Francesco affinché apprendesse la pittura.
(10 - continua)
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Possibile ritratto di Cecco di Caravaggio dal Sacrifico d'Isacco (agli Uffizi, Firenze). Secondo alcuni, però, il modello potrebbe anche essere il Giovan Battista citato in un processo come "bardassa" (amante passivo) del Caravaggio.
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