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Scultore, orafo e scrittore.
Nato a Firenze, Cellini fu "messo a bottega" come orafo, ed esercitando questa attività si trasferì nel 1523 a Roma. Pur facendo alcuni viaggi in altre città italiane, a Roma rimase fino al 1540, diventando fra l'altro (nel 1529) maestro della zecca pontificia ed eseguendo numerosi oggetti d'oreficeria per cardinali e papi, oltre a monete e medaglie.
Di carattere violento ed arrogante, ebbe per tutta la vita problemi con la giustizia (si macchiò pure di tre omicidii), ed anche nel momento in cui il re di Francia Francesco I lo chiamò presso di sé era incarcerato in Castel sant'Angelo. In Francia, a Fontainebleau, eseguì non solo oggetti d'oreficeria ma anche sculture (in gran parte perdute) che, assai ammirate, contribuirono a consolidare il gusto "manierista" in Francia.
L'attività di Cellini si volse da questo momento prevalentemente alla scultura, producendo nel 1545-1550 anche quello che è il più cospicuo corpus di statue a tematica omosessuale mai creato da uno scultore italiano del Rinascimento: i marmi di Ganimede e l'aquila, Apollo e Giacinto e Narciso del Museo del Bargello a Firenze, oltre ad un bronzo di Ganimede e l'aquila (anch'esso al Bargello) la cui attribuzione è però disputata fra lui ed il Tribolo. Nel 1557 arrivò improvvisa la catastrofe: Benvenuto fu condannato per sodomia a quattro anni di carcere, che il duca commutò in quattro anni di arresti domiciliari, durante i quali Cellini scolpì il Crocifisso ora all'Escorial di Madrid e iniziò la stesura della celebre autobiografia, la Vita, a cui lavorò fino al 1565 e che contiene gli avvenimenti della sua vita sino al 1562 (con l'omissione delle sue tre denunce per sodomia... ma non dei suoi omicidi!). [Per un'antologia dei brani utili a capire l'omosessualità del Cellini, fare clic qui]. Una volta scontata la pena Cellini si rassegnò a rientrare infine nei ranghi e nel 1562 sposò (perseverando anche in campo eterosessuale nella sua confusione tra "personale di servizio" e "partner") la sua domestica Piera Parigi, da cui avrebbe avuto, a dar retta a una sua dichiarazione fiscale del 1570 in cui il prolifico vecchietto lamenta di averli "a carico", addirittura cinque figli. Tuttavia, prima
di questo "ritorno all'ovile", ricordato con piacere da tutti i critici
omofobi, esiste un episodio poco noto ma estremamente rivelatore: la "strana"
(per chi non vuol capire) adozione, nel 1560 (cioè
in un momento in cui le finanze del Cellini non erano più in buono
stato) di Antonio di Domenico Sputasenni, uno scapestrato "ragazzo
di vita" che finì pure in prigione.
In quello stesso 1570 Cellini morì, e fu sepolto nella cappella di san Luca nella chiesa della Santissima Annunziata di Firenze.
La dimensione omosessuale del Cellini è fra le meglio documentate della storia rinascimentale, sia a causa delle condanne che egli subì (ricostruite fin dal 1930 da un fondamentale studio di Luigi Greci) [1], sia per gli accenni che egli fa nella Vita.[2] ad accuse rivoltegli (presentandole ovviamente sempre come calunnie) e che riuscì ad evitare, talora con la fuga. Tre sono le accuse ufficiali di sodomia che gli furono rivolte.
Il ventitreenne artista se la cava con poco: la legge infatti prevedeva una multa fino a trenta fiorini d'oro: una cifra molto più consistente. Probabilmente la sua giovane età (inferiore ai 25 anni della "piena maturità") venne tenuta presente come "attenuante generica" [3].
Perciò il 26 febbraio 1557 Benvenuto è condannato a pagare cinquanta scudi d'oro (una bella cifra), è "confinato a stare quattro anni in le Stinche", cioè nelle famigerate carceri di Firenze, ed è infine escluso "in perpetuo" dai pubblici uffici. I protettori del Cellini, i Medici, lo lasciano marcire in galera per due mesi, forse per dare una lezione (si era all'inizio del "giro di vite" dei duchi di Firenze contro la sodomia, che portò a leggi sempre più severe); poi intervengono e gli ottengono gli arresti domiciliari, in modo che mentre attende il processo e sconta la pena continui a lavorare per loro...
Dal carcere (nel giugno-agosto 1556) il Nostro si sfoga e lancia fulmini e maledizioni ai quattro venti. Anche contro la Fortuna che l'ha portato lì:
Il giorno che viene liberato scrive un altro sonetto in cui si presenta come un bravo bambino e nega di aver mai rubato la marmellata:
mentre invece, stragiura,
(il Perseo a cui allude è ovviamente la già citata statua in Piazza Signoria a Firenze, per la quale si sente mal ripagato). Da bravo delinquente incallito Cellini nega tutto, suggerisce d'essere finito in carcere per "reato d'opinione" e assicura di amare "solo le donne". Le donne? Boh. Forse avrà inteso parlare di quella che in Francia verso il 1543 lo denunciò, secondo quanto egli stesso racconta nella Vita (libro II, capp. 29-30) per sodomia.
L'omosessualità traspare comunque a più riprese anche nella sua Vita. Basta saperla leggere.
Come si vede il giovane "virtuoso" era apprezzato per le sue "virtù" anche da personaggi eterosessualissimi come il Cellini stesso, Michelangelo e un vescovo non meglio nominato che, per aggiungere virtù a virtù, a quanto lascia intendere Cellini, lo aveva contagiato di sifilide. Inconvenienti dell'eterosessualità... Tanta virtù attirò l'attenzione di Girolamo Balbi, e successivamente di Giovanni Balbo, suo nipote, che evidentemente condivideva il "vizietto" dello zio:
Tramite Giovanni, Luigi conosce una prostituta che s'incapriccia di lui. Cellini, gelosissimo della sua preda, lo affronta e lo avvisa: sta' lontano da quella donna. E via grandi giuramenti di Luigi di star lontano dalle donne, che rovinano i maschi "virtuosi"...
Insomma: finché vive con Cellini il giovane Luigi trabocca di virtù, quando va a farsi mantenere dal rivale Giovanni, diventa una lurida marchetta!
In alternativa, Gambetta chiede la sciocchezza di cento scudi per corrompere le autorità, perché chiudano un occhio. Quando il ragazzino, affrontato da Cellini, nega vergognoso il misfatto, la madre, donna assai di mondo, anzi mondana tout-court, lo rimprovera: "Ahi ribaldello, forse che io non so come si fa?". Lo sapeva, lo sapeva "come si fa"... ma Cellini risolve salomonicamente il dubbio sbattendo tutti fuori di casa insultando, gridando e minacciando con un pugnale. Ma la sua innocenza è talmente specchiata che il giorno dopo fugge precipitosamente da Firenze. Della serie: "la mia coscienza pulita è usbergo ad ogni accusa"... Sempre nella Vita Cellini racconta della lite, davanti al duca di Toscana, con lo scultore rivale Baccio Bandinelli(1488-1560). Il quale a un certo punto sbottò: "Oh sta' cheto, soddomitaccio!".
In questo modo riuscì a fare scoppiare a ridere tutti i presenti, sviando con la prontezza di spirito l'attenzione dal fatto che in realtà egli era davvero un soddomitaccio...
Per concludere.
Eppure è così: fu l'outsider Cellini, e non qualcuno di più "garantito", a voler scolpire per proprio diletto i già citati Apollo e Giacinto (in cui è palese il legame erotico che unisce il dio e il giovane, ca. 1547-48) e Narciso (tour-de-force esibizionistico sull'attrattiva sessuale dell'adolescente nudo, bello fino alla leziosità, ca. 1548) senza averne ricevuto la commissione da nessuno, al punto da non venderle per tutto il resto della vita e da lasciarle in eredità al duca alla propria morte. La vicenda del Cellini mostra insomma come nella società antica una "scelta di vita" coscientemente "omosessuale" non fosse inconcepibile o comunque impossibile da teorizzare con gli strumenti culturali esistenti; essa era però comunque impraticabile se non come scelta che poneva non solo ai margini della società, ma addirittura al di là del confine con la scelta criminale vera e propria. Una posizione, questa, talmente pericolosa che alla fine persino un outsider di vocazione come Cellini, che della legge non ebbe mai rispetto, finì per trovarla intollerabile, rientrando nei ranghi. Anche il più "trasgressivo" e criminale dei sodomiti del Rinascimento fu, alla fine, costretto a piegarsi alla regola sociale e a sposarsi. Il carcere era servito al suo scopo. L'autore ringrazia fin d'ora chi vorrà aiutarlo a trovare immagini e ulteriori dati su persone, luoghi e fatti descritti in questa scheda biografica, e chi gli segnalerà eventuali errori contenuti in questa pagina. |
Note
[1] Luigi Greci, Benvenuto Cellini dei delitti e nei processi fiorentini, ricostruiti attraverso le leggi del tempo, "Archivio di antropologia criminale", L 1930, pp. 342-385 e 509-542. Il primo (che io sappia) ad accennare in tempi moderni alla questione dell'omosessualità del Cellini era stato Adolfo Mabellini in: Delle rime di Benvenuto Cellini, (Libreria Dante, Firenze 1892), che alle pp. 105-111 e 129-131 affrontava, sia pure un po' alla lontana, le due condanne per sodomia. Il dibattito vero e proprio fu però inaugurato da Paul Courbon con il suo Étude psychiatrique sur Benvenuto Cellini, Maloine, Paris-Lyon 1906, che ne discute con franchezza alle pp. 79-85. Ciò procurò uno sturbo agli studiosi italiani. Come Francesco Quarenghi, che in: La psiche di Benvenuto Cellini, (Istituto italiano di arti grafiche, Bergamo 1913, pp. 8-13 e 18-19) contesta e nega.
Fu il già citato, e finora insuperato, studio di Luigi Greci a stabilire nel 1930, una volta per tutte (grazie alla pubblicazione dei documenti), l'esistenza d'una serie impressionante di denunce e condanne criminali contro Cellini, nella quale la sodomia era solo un dettaglio. Da allora l'argomento non può più essere negato, ma solo censurato e taciuto (come ha fatto
Sul fronte opposto la recente biografia di Ivan Arnaldi, La vita violenta di Benvenuto Cellini, Laterza, Bari 1986, che affronta il tema più volte, alle pp. 22-23; 32; 40-41; 57; 67, 69-71, 96 e soprattutto 129-143, con un'interessante ricostruzione (pp. 138-141) dei rapporti fra Cellini e i suoi garzoni/amanti, che furono anche i modelli per il Perseo. Ne è consigliata la lettura a chi sia interessato al tema. Per completare la bibliografia segnalo: A. Bernard, A propos de Benvenuto Cellini (1500-1571), "Arcadie", n. 39, Mars 1957, pp. 49-53 (in chiave omosessuale, non spregevole ma poco concludente). James Saslow, Ganymede in the Renaissance, Yale university press, New Haven & London 1986, con un formidabile capitolo sul Cellini, la società fiorentina e la sodomia alle pp. 142-174. Caldamente consigliato. Dario Trento (a cura di), Benvenuto Cellini. Opere non esposte e documenti notevoli, Spes, Firenze 1984, pp. 48-49. Juan Antonio Vallejo-Nagera, Pazzi & celebri, Rizzoli, Milano 1983, p. 65 (irrilevante). Non ho ancora consultato:
[2]
Per la legislazione e la realtà omosessuale di Firenze nel Rinascimento
rimando a: Michael Rocke,
Forbidden
friendships. Homosexuality and male culture in Renaissance Florence,
Oxford University Press, Oxford e New York 1996.
[3] Benvenuto Cellini, La vita.
[4].Il testo della condanna in Greci, Op. cit. [5] Da: Benvenuto Cellini, Rime. In: Opere, Rizzoli, Milano 1968, p. 901 [6].Ibidem, p. 900. [7].Ivi.
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