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LIBRO
PRIMO
Libro
I, cap. XXX
[Roma,
circa 1520]
[Benvenuto
va a una festa portando come sua compagna un sedicenne travestito
da donna, Diego spagnolo].
Di
già era quasi cessata la peste, di modo che quelli che si ritrovavono
vivi molto allegramente l'un l'altro si carezavano. Da questo ne nacque
una compagnia di pittori, scultori, orefici, li meglio che fussino [fossero]
in
Roma; e il fondatore di questa compagnia si fu uno scultore domandato
[chiamato]
Michelagnolo.[2].
Questo
Michelagnolo era sanese, ed era molto valente uomo, tale che poteva comparire
in fra ogni altri di questa professione, ma sopra tutto era questo uomo
il più piacevole e il più carnale che mai si cognoscessi
al mondo. Di questa detta compagnia lui era il più vecchio, ma sì
bene [e ciononostante] il più giovane alla valitudine [vigoria]
del corpo. Noi ci ritrovavomo spesso insieme; il manco [meno] si
era due volte la settimana.
Non
mi voglio tacere che in questa nostra compagnia si era Giulio
Romano pittore e Gian
Francesco, discepoli maravigliosi del gran Raffaello
da Urbino.
Essendoci
trovati più e più volte insieme, parve a quella nostra buona
guida che la domenica seguente noi ci ritrovassimo a cena in casa sua,
e che ciascuno di noi fussi ubbrigato [obbligato] a menare [portare]
la sua cornacchia [amante], ché tal nome aveva lor posto
il ditto Michelagnolo; e chi non la menassi, fussi ubbrigato a pagare una
cena attutta la compagnia.
Chi
di noi non aveva pratica di tal donne di partito [prostitute], con
non poca sua spesa e disagio se n'ebbe approvvedere [dovette procurarsene],
per non restare a quella virtuosa cena svergognato. Io, che mi pensavo
d'essere provisto bene per una giovane molto bella, chiamata Pantassilea,
la quali era grandemente innamorata di me, fui forzato a concederla a un
mio carissimo amico, chiamato il Bachiacca
il quali era stato ed era ancora grandemente innamorato di lei.
In
questo caso si agitava un pochetto di amoroso isdegno, perché veduto
che alla prima parola io la concessi al Bachiacca, parve a questa donna
che io tenessi molto poco conto del grande amore che lei mi portava; di
che ne nacque una grandissima cosa in ispazio di tempo, volendosi lei vendicare
della ingiuria ricevuta da me; la
qualcosa dirò poi al suo luogo.
Avvenga
che l'ora si cominciava a pressare di appresentarsi alla virtuosa compagnia
ciascuno con la sua cornacchia [3],
e io mi trovavo senza e pur troppo mi pareva fare errore mancare di una
sì pazza cosa; e quel che più mi teneva si era che io non
volevo menarvi sotto il mio lume, in fra quelle virtù tali, qualche
spennacchiata cornacchiuccia; pensai a una piacevolezza per acrescere alla
lietitudine maggiore risa. Così risolutomi, chiamai un giovinetto
de età di sedici anni, il quale stava accanto a me: era figliuolo
di uno ottonaio spagnuolo [4].
Questo
giovine attendeva alle lettere latine ed era molto istudioso. Avea nome
Diego: era bello di persona, maraviglioso di color di carne: lo
intaglio della testa sua era assai più bello che quello antico di
Antino
e molte volte lo avevo ritratto; di che ne aveva aùto [avuto]
molto onore nelle opere mie.
Questo
non praticava con persona [non frequentava nessuno], di modo che
non era cognusciuto: vestiva molto male e accaso: solo era innamorato dei
suoi maravigliosi studi.
Chiamato
in casa mia, lo pregai che mi si lasciassi addobbare di quelle veste femminile
che ivi erano apparecchiare. Lui fu facile e presto si vestì, e
io con bellissimi modi di acconciature presto accresce' gran bellezze al
suo bello viso: messigli dua anelletti agli orecchi, dentrovi dua grosse
e belle perle - li detti anelli erano rotti; solo istrignevano gli orecchi,
li quali parevano che bucati fussino - [5];
da poi li messi al collo collane d'oro bellissime e ricchi gioielli: così
acconciai le belle mane di anella.
Da
poi piacevolmente presolo per un orecchio, lo tirai davanti a un mio grande
specchio. Il qual giovine vedutosi, con tanta baldanza disse: - Oimè,
è quel, Diego? - Allora io dissi: - Quello è Diego, il quale
io non domandai mai di sorte alcuna piacere: solo ora priego quel Diego,
che mi compiaccia di uno onesto piacere: e questo si è, che in quel
proprio abito - io volevo che venissi a cena con quella virtuosa compagnia,
che più volte io gli avevo ragionato [descritto].
Il
giovane onesto, virtuoso e savio, levato da sé quella baldanza,
volto gli occhi a terra, stette così alquanto senza dir nulla: di
poi in un tratto alzato il viso, disse: - Con Benvenuto vengo; ora andiamo
-.
Messoli
in capo un grande sciugatoio [telo copricapo], il quale si domanda
[chiama] in Roma un panno di state,
giunti al luogo, di già era comparso ugniuno, e tutti fattimisi
incontro: il ditto Michelagnolo era messo in mezzo [aveva ai lati]
da Iulio e da Giovanfrancesco.
Levato
lo sciugatoio di testa a quella mia bella figura [maschera], quel
Michelagnolo - come altre volte ho detto, era il più faceto e il
più piacevole che inmaginar si possa - appiccatosi [attaccatosi]
con tutte a dua le mane, una a Iulio e una a Gianfrancesco, quanto egli
potette in quel tiro li fece abbassare, e lui con le ginocchia in terra
gridava misericordia e chiamava tutti e' populi dicendo: - Mirate,
mirate come son fatti gli Angeli del Paradiso! che con tutto che si chiamino
Angeli, mirate che v'è ancora [anche] delle Angiole -
e gridando diceva
-
O Angiol
bella, o Angiol degna,
-
tu mi
salva, e tu mi segna.
A queste
parole la piacevol creatura ridendo alzò la mano destra, e gli dette
una benedizion papale con molte piacevol parole.
Allora
rizzatosi Michelagnolo, disse che al Papa si baciava i piedi e che agli
Angeli si baciava le gote [guance]: e così fatto, grandemente
arrossì il giovane, che per quella causa si accrebbe bellezza grandissima.
Così
andati innanzi, la stanza era piena di sonetti, che ciascun di noi aveva
fatti, e mandatigli a Michelagnolo.
Questo
giovine li cominciò a leggere, e gli lesse tutti: accrebbe alle
sue infinite bellezze tanto, che saria inpossibile il dirlo.
Di
poi [Dopo] molti ragionamenti e maraviglie, ai quali io non mi voglio
stendere [dilungare], che non son qui per questo: solo una parola
mi sovvien dire, perché la disse quel maraviglioso Iulio
pittore, il quale virtuosamente girato gli occhi a chiunque era ivi
attorno, ma più affisato [guardando fisso] le donne che altri,
voltosi a Michelagnolo, così disse: - Michelagnolo mio caro, quel
vostro nome di cornacchie oggi a costoro sta bene, benché le sieno
qualche cosa manco [un po' meno] belle che cornacchie apresso a
uno de' più bei pagoni [pavoni] che immaginar si possa -.
Essendo
presto [pronte] e in ordine le vivande, volendo metterci a tavola,
Iulio chiese di grazia di volere essere lui quel che a tavola ci mettessi.
Essendogli tutto concesso, preso per mano le donne, tutte le accomodò
per di dentro e la mia in mezzo; dipoi tutti gli uomini messe di fuori,
e me in mezzo, dicendo che io meritavo ogni grande onore.
Era
ivi per ispalliera alle donne un tessuto di gelsumini naturali e bellissimi,
il quale faceva tanto bel campo [sfondo] a quelle donne, massimo
alla mia, che impossibile saria il dirlo con parole. Così seguitammo
ciascuno di bonissima voglia quella ricca cena, la quale era abundantissima
a maraviglia.
Di
poi che avemmo cenato, venne un poco di mirabil musica di voce insieme
con istrumenti: e perché cantavano e sonavano con i libri inanzi,
la mia bella figura chiese da cantare la sua parte; e perché
quella della musica lui la faceva quasi meglio che l'altre, dette tanto
maraviglia, che li ragionamenti che faceva Iulio e Michelagnolo non erano
più in quel modo di prima piacevoli [scherzosi], ma erano
tutti di parole grave, salde e piene di stupore.
Apresso
alla musica, un certo Aurelio
Ascolano, che maravigliosamente diceva allo improviso [improvvisava
stornelli], cominciatosi a lodar le donne con divine e belle parole,
in mentre che costui cantava, quelle due donne, che avevano in mezzo quella
mia figura, non mai restate di cicalare [non smisero mai di spettegolare];
che una di loro diceva innel modo che la fece a capitar male [come
fosse finita a prostituirsi], l'altra domandava la mia figura
in che modo lei aveva fatto, e chi erano li sua amici, e quanto tempo egli
era che l'era arrivata in Roma, e molte di queste cose tale.
Egli
è il vero che se io facessi solo per descrivere cotai piacevolezze,
direi molti accidenti che vi accaddono, mossi [causati] da quella
Pantassilea, la quale forte era innamorata di me: ma per non essere
innel mio proposito, brevemente li passo.
Ora,
venuto annoia questi ragionamenti di quelle bestie donne alla mia
figura, alla quali noi avevamo posto nome Pomona, la detta Pomona,
volendosi spiccare [liberare]
da quelli sciocchi ragionamenti di coloro, si scontorceva ora
in sun una banda ora in su l'altra [si agitava ora da una parte ora
dall'altra].
Fu
domandata da quella femmina, che aveva menata Iulio [che era stata
portata da Giulio], se lei si sentiva qualche fastidio. Disse che sì,
e che si pensava d'esser grossa [incinta] di qualche mese, e che
si sentiva dar noia alla donna del corpo [all'utero].
Subito
le due donne, che in mezzo l'avevano, mossosi a pietà di Pomona,
mettendogli le mane al corpo, trovorno che l'era mastio [maschio].
Tirando presto [ritirando rapidamente] le mani a loro con ingiuriose
parole, quali si usano dire ai belli giovanetti [6],
levatosi da tavola subito le grida spartesi [alzatesi] e con gran
risa e con gran maraviglia, il fiero Michelagnolo chiese licenzia
da tutti di poter darmi una penitenzia a suo modo.
Avuto
il sì, con grandissime gride mi levò di peso, dicendo: -
Viva il Signore: viva il Signore - e disse, che quella era la condannagione
che io meritavo, aver fatto un così bel tratto [scherzo].
Così
finì la piacevolissima cena e la giornata; e ugniun di noi ritornò
alle case sue.
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