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Libro
II, cap. LXXI.
[Firenze,
verso 1547]
[Lo scultore
rivale Baccio
Bandinelli insulta Cellini durante una disputa dandogli del "soddomitaccio";
Cellini ribatte facendo a sorpresa l'apologia dell'amore fra maschi, cosa
degna degli dèi].
Questo
uomo non potette stare alle mosse d'aver pazienza che io dicessi ancora
i gran difetti di Cacco.[2];
l'una si era che io dicevo 'l vero, l'altra si era che io lo facevo conoscere
chiaramente al Duca e agli altri che erano alla presenzia nostra, che facevano
i più gran segni e atti di dimostrazione di maravigliarsi e allora
conoscere che io dicevo il verissimo.
A
un tratto quest'uomaccio disse: - Ahi cattiva linguaccia, o dove lasci
tu 'l mio disegno? -
Io
dissi che chi disegnava bene e' non poteva operar mai male - imperò
[e
perciò] io crederrò che 'l tuo disegno sia come sono le
opere -.
Or,
veduto quei visi ducali e gli altri, che con gli sguardi e con gli atti
lo laceravano, egli si lasciò vincere troppo dalla sua insolenzia,
e voltomisi con quel suo bruttissimo visaccio, a un tratto mi disse: -
Oh sta' cheto, soddomitaccio -.
Il
Duca a quella parola serrò le ciglia malamente inverso di lui, e
gli altri serrato le bocche e aggrottato gli occhi inverso di lui.
Io,
che mi senti' così scelleratamente offendere, sforzato dal furore,
e a un tratto, corsi al rimedio e dissi: - O pazzo, tu esci dei termini
[passi ogni limite]: ma Iddio 'l volessi che io sapessi fare una
così nobile arte [la sodomia], perché e' si legge
ch'e' l'usò Giove
con Ganimede in paradiso, e qui in terra e' la usano i maggiori
imperatori e i più gran re del mondo. Io sono un basso e umile omicciattolo,
il quale né potrei né saprei impacciarmi d'una così
mirabil cosa -.
A questo
nessuno non potette esser tanto continente che 'l Duca e gli altri levorno
un rumore delle maggior risa che immaginar si possa al mondo.
E con
tutto che [nonostante che] io mi dimostrassi tanto piacevole, sappiate,
benigni lettori, che dentro mi scoppiava 'l cuore, considerato che uno,
'l più sporco scellerato che mai nascessi al mondo, fussi [fosse]
tanto ardito, in presenza di un così gran principe, a [da]
dirmi una tanta e tale ingiuria; ma sappiate che egli ingiuriò
'l Duca e non me; perché, se io fussi stato fuor di così
gran presenza, io l'arei [l'avrei] fatto cader morto.
Veduto
questo sporco ribaldo goffo che le risa di quei Signori non cessavano,
ei cominciò, per divertirgli [distrarli] da tanta sua beffe,
a entrare innun nuovo proposito [discorso, argomento], dicendo:
- Questo Benvenuto si va vantando che io gli ho promesso un marmo -.
A queste
parole io subito dissi: - Come! non m'hai tu mandato a dire per [attraverso]
Francesco di Matteo fabbro, tuo garzone, che se io voglio lavorar di
marmo, che tu mi vuoi donare un marmo? E io l'ho accettato, e vo' lo -.
Allora
ei disse: - Oh fa' conto di noll'aver mai -.
Subito
io, che ero ripieno di rabbia per le ingiuste ingiurie dettemi in prima,
smarrito dalla ragione e accecato della presenza del Duca, con gran furore
dissi: - Io ti dico espresso che se tu non mi mandi il marmo insino accasa,
cèrcati di un altro mondo, perché in questo io ti sgonfierò
a ogni modo -.
Subito
avvedutomi che io ero alla presenza d'un sì gran Duca, umilmente
mi volsi a Sua Eccellenzia, e dissi: - Signor mio, un pazzo ne fa cento;
le pazzie di questo omo mi avevano fatto smarrire la gloria di Vostra Eccellenzia
illustrissima e me stesso; sì che perdonatemi -.
Allora
il Duca disse al Bandinello: - È egli 'l vero che tu gli abbia promesso
'l marmo? -
Il
detto Bandinello disse che gli era il vero.
Il
Duca mi disse: - Va all'Opera, e to'tene uno a tuo modo - [3].
Io
dissi che ei me l'aveva promesso di mandarmelo a casa.
Le
parole furno terribile; e io innaltro modo nollo volevo.
La
mattina seguente e' mi fu portato un marmo accasa; il quale io dimandai
chi me lo mandava: e' dissono [dissero] che e' me lo mandava 'l
Bandinello, e che quello si era 'l marmo che lui mi aveva promesso.
Libro
II, cap. LXXII.
[Baccio
Bandinelli, costretto a regalare un marmo a Cellini, ne manda uno difettoso
e crepato. Da esso Cellini trae l'Apollo
e Giacinto (opera di tema omosessuale!) oggi al Museo
nazionale del Bargello. Non soddisfatto, crea altre due opere omosessuali
(anch'esse al Bargello): un Ganimede
e l'aquila e un Narciso!].
Subito
io me lo feci portare in bottega e cominciai a scarpellarlo; e in mentre
che io lavoravo, io facevo il modello: e gli era tanta la voglia che io
avevo di lavorare di marmo, che io non potevo aspettare di risolvermi a
fare un modello con quel giudizio che si aspetta [è opportuno
per], a tale arte.
E perché
io lo sentivo tutto crocchiare, io mi penti' più volte di averlo
mai cominciato allavorare: pure ne cavai quel che io potetti, che è
l'Appollo
e Iacinto, che ancora si vede imprefetto [incompiuto]
in bottega mia.
E in
mentre che io lo lavoravo, il Duca veniva a casa mia, e molte volte mi
disse: - Lascia stare un poco 'l bronzo e lavora un poco di marmo, che
io ti vegga -.
Subito
io pigliavo i ferri da marmo, e lavoravo via sicuramente. Il Duca mi domandava
del modello che io avevo fatto per il detto marmo; al quale io dissi: -
Signore, questo marmo si è tutto rotto, ma assuo dispetto io ne
caverò qualcosa; imperò io non mi sono potuto risolvere al
modello, ma io andrò così faccendo 'l meglio che io potrò
- [4].
Con
molta prestezza mi fece venire 'l Duca un pezzo di marmo greco, di Roma,
acciò che io restaurassi il suo Ganimede
antico, qual fu causa della ditta quistione [litigio]
connil
Bandinello [5].
Venuto
che fu 'l marmo greco, io considerai che gli era peccato a farne pezzi
per farne la testa e le braccia dell'altre cose per il Ganimede; e mi providdi
d'altro marmo, e a quel pezzo di marmo greco feci un piccol modellino di
cera, al quale posi nome Narciso.
E perché
questo marmo aveva dua buchi che andavano affondo più di un quarto
di braccio e larghi dua buone dita, per questo feci l'attitudine [la
posa] che si vede, per difendermi da quei buchi, di modo che io gli
avevo cavati [lasciati fuori dalla] della mia figura. Ma quelle
tante decine d'anni che v'era piovuto sù, perché e' restava
sempre quei buchi pieni d'acqua, la detta aveva penetrato tanto che il
detto marmo si era debilitato; e come marcio in quella parte del buco di
sopra; e si dimostrò dappoi che e' venne quella gran piena d'acqua
d'Arno, la quale alzò in bottega mia più d'un braccio e mezzo.
E perché il detto Narciso era posato in su un quadro di legno, la
detta acqua gli fece dar la volta [rovesciare], per la quale e'
si roppe in su le poppe [sul torace], e io lo rappiccai; e perché
e non si vedessi quel fesso [la fessura] della appiccatura, io gli
feci quella grillanda [ghirlanda. È oggi perduta] de' fiori
che si vede che gli ha in sul petto; e me l'andavo finendo accerte ore
innanzi dì, o sì veramente [oppure] il giorno delle
feste, solo per non perdere [rubare] tempo dalla mia opera del Perseo.
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