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LAUDOMIA FORTEGUERRI (1515-dopo il 1556)
 
di: Giovanni Dall'Orto


Laudomia Forteguerri o Forteguerra (Siena, 1515 - Siena, dopo il 1556) fu un'aristocratica, appartenente a un'illustre famiglia senese, e una poetessa. Fu celebre per la sua bellezza, descritta dai contemporanei come straordinaria, anche se non è noto nessun ritratto che ce la tramandi.

Vita
Fu donna colta e partecipe delle vicende politiche della sua città, tanto che durante l'assedio di Cosimo I de' Medici che nel 1555 sancì la fine dell'indipendenza senese organizzò un gruppo di donne che parteciparono ai lavori di fortificazione e difesa della città. Nonostante in passato si sia ritenuto che la Forteguerri fosse morta durante l'assedio, la dedica d'un sonetto l'anno successivo (1556) smentisce tale notizia, pertanto al momento attuale se ne ignora la data della morte.

La Forteguerri scrisse anche sonetti petrarcheschi d'amore che Konrad Eisenbichler ha definito: "il primo esempio di poesia (per così dire) "lesbica" nella lirica italiana[1]. Di tutta la produzione, che i contemporanei attestano essere stata ben più numerosa, ce ne sono stati tramandati sei, uno dedicato alla poetessa Alda Torella Lunata e gli altri cinque alla principessa Margherita d'Austria (1522-1586), figlia naturale dell'imperatore Carlo V, sposata ad Alessandro de' Medici e poi a Ottavio Farnese, conosciuta a Siena nel 1535.



 
Margherita d'Austria.
 Un segreto aperto.
Nonostante la Forteguerri fosse sposata e madre, come le convenzioni sociali imponevano allora alle donne della sua classe, la sua passione per Margherita d'Austria costituì una delle relazioni lesbiche più note del Rinascimento italiano. Su di essa Konrad Eisenbichler ha scritto:
    «Tutto ciò che ci è rimasto a testimoniare in prima persona questa storia d'amore sono cinque sonetti della Forteguerri pubblicati nelle diverse collezioni di rime curate da Lodovico Domenichi (1546, 1549 e 1559), Antonio Bulifon (1695), e Luisa Bergalli (1726). Le altre rime della Forteguerri, oppure le assidue lettere che le due donne si sarebbero scambiate, non sono state ancora rinvenute. Sebbene siano veramente pochi, questi cinque sonetti sono però di grande valore perché ci permettono di notare, quasi di sfuggita, la possibilità di un amore tra donne in pieno Cinquecento» [2].
La Forteguerri subì in un certo senso un outing quando il letterato senese Alessandro Piccolomini lesse e commentò pubblicamente nel 1541 un suo sonetto per Margherita d'Austria (che però evidentemente era stato fatto circolare in precedenza dalla stessa autrice), aggiungendo che:
     «felicemente i dolcissimi loro amori rinnovarono, & oggi più che mai, con avisi e da questa parte e da quella caldamente conservano, come addur vi potrei in testimonianza, molti sonetti, & alcune canzoni e stanze bellissime, di questa Madonna Laudomia in tal proposito fatte». (Citato in Eisenblicher, Op. cit., p. 102). 
Pochi anni dopo Agnolo Firenzuola (1493-1545), nel Dialogo della bellezza delle donne, parlando della concezione dell'amore fra persone dello stesso sesso esaltata da Aristofane nel Simposio di Platone, citava Laudomia Forteguerri e Margherita d'Austria come bell'esempio di questo amore "platonico":
    «Quelle che'erano femine o discendono da quelle che erano femine in ogni parte, amano la bellezza l'una dell'altra, chi puramente e santamente, come la elegante Laudomia Forteguerra, la illustrissima Margherita d'Austria; chi lascivamente, come Saffo la Lesbia anticamente, e ai tempi nostri a Roma la gran meretrice Cicilia Viniziana; e queste così fatte per natura schifano il tor marito e fuggono la intrinseca conversazione di noi altri; e queste debbiamo credere che sien quelle che si fanno monache volentieri e volentieri vi stanno, che sono poche; percioché nei munisteri le più vi stanno per forza e vivonvi disperate» [3] .
Della castità di questo amore si permise però di dubitare già Brantôme (ca. 1540-1614) che, dopo avere letto questo passo di Firenzuola insieme al signor del Gua gli mise in bocca queste considerazioni:
    «A questo punto il signor del Gua confutò l'autore del libro, asserendo essere falso che codesta illustre Margherita amasse quella bella dama di puro e santo amore: considerato che, avendo ella preferito porre il suo amore in costei piuttosto che in qualcun'altra altrettanto bella e virtuosa, era da presumere che lo facesse per dei fini particolari; ma, per nascondere la propria lascivia, dichiarava pubblicamente di amare santamente la bella Fortiguerra, all'esempio di molte altre sue simili le quali usano adombrare i propri amori lussuriosi con tali pompose dichiarazioni» [4].

I sonetti per Margherita d'Austria.
Ancora Eisenbichler, che finora è lo studioso che più a lungo ha esaminato questo aspetto della poesia della Forteguterri, giudica che:

     «il sonetto "Ora ten' vai superbo, or corri altiero" è certamente il più famoso e conosciuto, grazie in gran parte ad Alessandro Piccolomini, il quale lo commentò in una riunione dell'Accademia degli Infiammati di Padova, e grazie ad uno spregiudicato editore bolognese il quale, ottenutane una copia, immediatamente la pubblicò senza neppure chiederne il permesso all'autore.
    Ora ten' vai superbo, or corri altero,
    Pingendo di bei fiori ambe le sponde
    Antico Tebro; or ben purgate l'onde
    Rendi l'imago a un sol più chiaro e vero;

    Ora porti lo scettro, ora hai l'impero
    De i più famosi: or haverai tu donde
    Verdeggian più che mai liete e feconde
    Le belle rive; or hai l'essere intero,

    Poi ch'egli è teco il vago almo mio Sole
    Non or lungi, or vicin, ma sempre appresso;
    E bagni il lembo de l'altiera gonna:

    Ch'arte, natura, e 'l ciel; e così vuole
    Ch'el tutto può, mostran pur oggi espresso,
    Che star ben pote al mondo immortal donna». (Ibidem, p. 103).

Dopo aver sottolineato gli aspetti riconoscibilmente petrarchisti e i richiami a Dante, che fanno di questo sonetto un prodotto "tipico" dell'epoca in cui fu prodotto e privo di elementi di spicco, Eisenbichler conclude che:
     «Ciò che confonde, invece, è che non solo l'amata, ma anche l'amante sono donne. In altre parole, questa tipica poesia petrarchesca si distacca dai soliti schemi d'amore tra uomini e donne e si inserisce, invece, nell'abominevole e innominabile problema dell'amore "lesbico". Ma siccome il linguaggio del sonetto è attentamente strutturato ad evitare qualsiasi vocabolo che potesse identificare il poeta come donna, il lettore innocentemente presume che qui si abbia a che fare con il solito poeta-uomo che si lamenta della distanza che lo divide dalla solita amata-donna.
    Nel sonetto "Felice pianta, in ciel tanto gradita" la poetessa lascia cadere il velo dell'anonimato e al verso 4 dichiara apertamente che la sua amata non è altri che la «mia diva d'Austria Margherita». (Ivi)

Bibliografia

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Note 
 
[1] Konrad Eisenbichler, Poetesse senesi a metà Cinquecento: tra politica e passione, "Studi rinascimentali: Rivista internazionale di letteratura italiana", I 2003, pp. 95-102, p. 102

[2] Konrad Eisenbichler, Poetesse senesi a metà Cinquecento: tra politica e passione, "Studi rinascimentali: Rivista internazionale di letteratura italiana", I 2003, pp. 95-102], p. 102

[3] Agnolo Firenzuola, "Dialogo della bellezza delle donne" [1548], in Opere scelte, UTET, Torino 1957, p. 489.

[4] Pierre de Bourdeille, sire de Brantôme (ca. 1540-1614), Le dame galanti, Adelphi, Milano 1982 [1583-1584], pp. 175-176.


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