Vincenzo Gemito
nel 1887 - Autoritratto
Scultore
napoletano.
Gémito
iniziò la sua carriera artistica partendo dai gradini più
bassi: era infatti un trovatello adottato da una povera famiglia
di falegnami.
La sua prima produzione furono bozzetti, per lo più terracotte, raffiguranti scugnizzi di Napoli e scene popolaresche. Nel 1868 l'acquisto di una sua terracotta da parte del re d'Italia lo sbalzò alla notorietà a soli sedici anni. Egli
poté così iniziare a vendere una vasta serie di terracotte,
bronzi e bronzetti "veristi" raffiguranti in buona parte bambini e adolescenti
spesso nudi o seminudi.
Il carattere
omoerotico della sua ispirazione non sfuggì neppure ai suoi
contemporanei non omosessuali, come Salvatore
Di Giacomo, che parlando nel 1905 delle sue sculture affermò:
E se l'entusiasmo
erotico è nelle sculture è abbastanza contenuto, nei disegni
(meno conosciuti) è addirittura sfacciato:
Gli anni che vanno dal 1870 al 1885 sono quelli del massimo successo e della migliore produzione di Gemito; dopo di che si verifica una crisi che è al tempo stesso artistica ed umana. Il
successo, che fornisce a Gémito importanti commissioni "ufficiali",
lo strappa però dal sogno poco "rispettabile" rappresentato da pescatorelli,
acquaioli
e "scugnizzi",
nudi
e disponibili (in una delle statue più celebri di Gémito,
"L'acquaiolo", un adolescente nudo offre da bere con un gesto e
un sorriso che vanno al di là dell'offerta dell'acqua).
La crisi personale, precipitata anche dalla determinazione di costruirsi, sposando Anna Cutolo, quella vita e quella famiglia (eterosessuale) tradizionalmente "normali" che il trovatello Gemito non aveva avuto (ormai per la * sua età e per la sua posizione sociale non era più egli stesso uno degli scugnizzi che ritraeva) lo portò infine verso il 1887 a dare segni di squilibrio mentale, che lo costrinsero per una ventina d'anni ad alternare periodi in manicomio a periodi di lavoro più o meno regolare. La sua parabola è parallela a quella del coetaneo pittore "verista", che condivise con Gemito l'entusiasmo omoerotico per la ragazzaglia napoletana, lo studio e forse anche il letto: Antonio Mancini (1852-1930), anch'egli internato in manicomio dai famigliari e uscitone annientato. Purtroppo per loro, l'ispirazione "verista" di Gemito e Mancini li spingeva in direzione d'una sempre maggior sincerità, cioè d'una sempre più spudorata ispirazione omosessuale, da cui invece il successo "borghese" imponeva d'allontanarsi. Nel 1909 anche Gemito uscì definitivamente dal manicomio, ma pur non avendo perso il suo virtuosismo artistico non sarebbe più riuscito a ritrovare l'ispirazione, la spontaneità (e il successo) della gioventù. La commissione di alcuni ritratti di Antonio ("Nino") Cesarini (1889-1943), il compagno di Jacques d'Adelsward Fersen [3], prova che la sua opera continuava ad avere richiamo su quella clientela omosessuale a cui però Gemito, per la sua posizione, ormai non poteva (o voleva) più rivolgersi. D'altro canto
per la committenza borghese l'omoerotismo dei suoi superbi disegni
era ormai troppo evidente (anche per via d'un mutato clima sociale
e artistico), come mostra un aneddoto: nel 1904 l'amico e mecenate Achille
Minozzi
ottenne, per dare un po' di lavoro e denaro a Gemito appena uscito dal
manicomio, che il quotidiano "Il Mattino" gli commissionasse un manifesto
pubblicitario. Gemito,
Vincenzo Gemito - Alessandro a cavallo di Bucefalo (dettaglio) - 1904 Non poteva essere inviato a Gemito messaggio più esplicito sull'inaccettabilità dei suoi "arditi" nudi e sulla fine dell'epoca di cui egli era senza dubbio stato uno dei massimi cantori. L'acquisizione da parte del Museo nazionale di san Martino di Napoli d'una parte rilevante della produzione migliore di Gemito ha permesso di salvaguardarne e valorizzarne l'opera, che è comunque ancora interamente in attesa d'una valutazione adeguata del suo aspetto omoerotico [5].
Vincenzo Gemito in una foto di nudo del 1928, di Vincenzo Lembo. L'autore ringrazia fin d'ora chi vorrà aiutarlo a trovare immagini e ulteriori dati su persone, luoghi e fatti descritti in questa scheda biografica, e chi gli segnalerà eventuali errori contenuti in questa pagina. |
Note
[1] Sul tema vedi: Robert Aldrich, The seduction of the Mediterranean, Routledge, London and New York 1993. [2] Salvatore Di Giacomo,Vincenzo Gemito Minozzi, Napoli 1905, p. 35 (di cui mi sono servito, e da cui sono tratte le scansioni delle immagini di questa pagina). Ristampa accresciuta da Michele Buonuomo: Il Mattrino, Napoli 1988. [3] Roger Peyrefitte, L'esule di Capri, Longanesi, Milano 1959. [4] Salvatore Di Giacomo, Op. cit., p. IX. [5]
Sul tema vedi anche: LucaSclabas (pseud. Vincenzo Patanè), Rinascita
partenopea, "Babilonia" n. 180, settembre 1999, pp. 48-51.
|