|
Scrittore e poeta.
Anton Francesco (o Antonfrancesco) Grazzini, detto "il Lasca", nacque a Firenze da una famiglia di farmacisti (ma il padre era notaio) e pur non avendo seguito un ciclo regolare di studi riuscì a costruirsi una vastissima cultura, anche se non apprese né il greco né (pare) il latino. Come letterato Grazzini fu un protagonista della cultura toscana dell'epoca, al punto che nel 1540 compare tra i fondatori dell'Accademia degli Umidi e nel 1582 della più famosa accademia d'Italia, l'Accademia della Crusca (tutt'ora esistente), una società letteraria creata per mantenere la "purezza" della lingua italiana. Il posto nella storia della letteratura Grazzini l'ha conquistato con le sue sette commedie (La gelosia [1551], La spiritata [1560], La strega, La sibilla, La pinzochera, I parentadi, L'arzigogolo) e soprattutto con la sua raccolta di novelle, Le cene, costruite sulla lezione del Decamerone del Boccaccio. Grazzini fu letterato "borghese" ed anti-classicista (in un'epoca in cui le élites borghesi italiane si stavano lasciando assorbire dall'aristocrazia, adottandone mentalità e cultura), e difese sempre l'uso "democratico" dell'italiano contro quello, aristocratico e cortigiano, del latino e del greco, combattendo la sua battaglia anche con l'ironia, l'umorismo e la satira. Per questo in
poesia fu continuatore della tradizione fiorentina di poesia
giocosa, popolaresca e bernesca.[1];
in difesa di tale tradizione letteraria curò anche la
pubblicazione a stampa delle poesie del Berni,
del Burchiello,
e di altri poeti berneschi
e burchielleschi.
Dopo una vita priva di eventi di rilievo, dedicata alla letteratura e trascorsa senza mai sposarsi, morì a Firenze e fu sepolto nella tomba di famiglia nella chiesa di san Pier Maggiore (abbattuta nel 1784).
L'omosessualità appare nell'opera di Grazzini sotto luci diverse, addirittura opposte. 1) In un nucleo di poesie burlesche egli beffeggia il poeta Benedetto Varchi per la sua pretesa di "nobilitare" in poesia i suoi amori omosessuali sotto una patina neoplatonica e soprattutto petrarchista. Usando il linguaggio crudo e diretto della tradizione popolare, Grazzini demolisce le pretese di "spiritualità" delle poesie del Varchi, insistendo che al di sotto cova sempre il desiderio sessuale:
2) In un
altro gruppo di poesie Grazzini loda la bellezza dei ragazzi e dei giovani,
parlando con quella franchezza che rimproverava al Varchi di non usare,
per esempio nella "Madrigalessa IX" [3],
nella quale parla della sua ossessione amorosa per un certo Liliano, o
nel divertente "Capitolo in lode della statua di san Giorgio" [4],
nel quale spiega di essersi innamorato della statua di san
Giorgio scolpita da Donatello (oggi al Bargello):
oltre ad essere un bellissimo
giovane, scrive Grazzini, la statua ha rispetto ai ragazzi in carne
ed ossa il vantaggio di non chiedere soldi, di non andare in giro per taverne
e bordelli, di non provar fastidio se si passano ore ad ammirarne la bellezza,
di non essere conteso da altri "buggeroni" [sodomiti] e di non invecchiare
mai, in modo da non costringere a trovare ogni due o tre anni un nuovo
amante.
In questo gruppo di scritti sorprende il modo in cui Grazzini infila il tema dell'omosessualità anche laddove parrebbe impossibile introdurlo: così ne "In lode del bagnarsi in Arno"
Oppure ne "In lode della palla al calcio" loda il calcio fiorentino (che somiglia un po' al rugby), perché offre la possibilità di abbracciare e stringere finalmente il corpo di un bel ragazzo a lungo desiderato con la scusa di impedirgli di prendere il pallone:
3) In un
altro gruppo di poesie Lasca usa poi i doppi sensi berneschi
e burchielleschi
per esprimere concetti crudamente sessuali, come nel celebre "Capitolo
della salsiccia" [7],
o nel più modesto "Per un cacciatore", che descrive l'abilità
nel "battuage" di un certo Squitti:
E si noti che i doppi sensi sessuali sono presenti anche nelle altre meno esplicitamente "erotiche": ad esempio "giocare a calcio" e "bagnarsi in Arno" sono anche metafore per "compiere l'atto sessuale". 4) Per finire, in alcuni scritti satirici Grazzini sposa la condanna sociale dei sodomiti per colpire rivali letterari, accusandoli di sodomia, arrivando nella novella II 7 delle Cene [9] a presentare la punizione d'un insegnante tradizionalista (un "pedante") per avere osato abbandonare la sodomia (omosessuale), tipica della sua categoria, e corteggiare... una donna! O ancora, nei due finti epitaffi contro un "cavalier Covoni", scrive:
È evidente che l'ampio spazio dato da Grazzini all'omosessualità nella sua opera ha una doppia radice: da un lato per una polemica "borghese" e realistica contro la letteratura di Corte, sempre più rarefatta e anti-realista; dall'altro per una motivazione personale, che solo lo schermo di una plurisecolare tradizione rinascimentale italiana permetteva di esprimere in modo socialmente accettato. Grazzini appartiene in effetti all'ultima generazione di letterati italiani che poté sfruttare questa tradizione, prima che la Controriforma chiudesse ogni possibilità di parlare di omosessualità, arrivando nel 1573 ad imporre la mutilazione a scopo di censura dello stesso Decameron, per secoli considerato testo fondamentale della lingua italiana. In questa battaglia culturale Grazzini appartenne al partito perdente, quello anti-aristocratico, ma è interessante notare come il tentativo opposto, compiuto dal Varchi, di sposare la letteratura di Corte e il petrarchismo per dare una veste socialmente accettabile ai desideri omosessuali, abbia anch'esso fallito.
L'autore ringrazia fin d'ora chi vorrà aiutarlo a trovare immagini e ulteriori dati su persone, luoghi e fatti descritti in questa scheda biografica, e chi gli segnalerà eventuali errori contenuti in questa pagina. |
Note
[1] Giovanni Dall'Orto, voci: "Bernesque, poetry", "Burchiellesque, poetry", in: Wayne Dynes and Warren Johansson (a cura di), Encyclopedia of homosexuality, vol. 1, St James Press, New York and London 1990. [2] Guido Davico-Bonino (a cura di), Opere di Anton Francesco Grazzini, Utet, Torino 1974, pp. 300-301 [3] Anton Francesco Grazzini, Le rime burlesche edite e inedite, Sansoni, Firenze 1882, pp. 261-263. [4] Ibidem, pp. 526-529. [5] Guido Davico-Bonino (a cura di), Opere di Anton Francesco Grazzini, Utet, Torino 1974, pp. 412-416. [6] Ibidem, p. 42. [7] Piero Lorenzoni, Erotismo e pornografia nella letteratura italiana, Il formichiere, Milano 1976, pp. 49, 197-201. [8] Davico-Bonino, Op. cit., p. 394. [9] Vedila, per esempio, in: Davico-Bonino, Op. cit. [10] Anton Francesco Grazzini, Op. cit., p. 639. I cherubini erano rappresentati con un viso di bambino o di ragazzo con due ali, ma senza corpo. |