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Poeta
e scrittore.
Era figlio
del conte Monaldo
Leopardi, intellettuale appartenente all'ala più reazionaria
e clericale della nobiltà dello Stato
della Chiesa.
Visse in varie città italiane (Firenze, Roma, Bologna, Milano, Napoli, Pisa) collaborando con vari editori. Vittima dall'infanzia di deformità fisiche e malattie croniche, che periodicamente gli impedivano di portare a termine i suoi impegni di lavoro, non riuscì per questo mai a raggiungere l'indipendenza economica dalla famiglia, cosa che lo obbligò a scendere a compromessi con il suo dotto quando reazionario padre. L'infelicità derivante da queste circostanze (e, aggiungo io, dai suoi amori omosessuali non ricambiati) hanno contribuito a fargli appiccicare la sbrigativa etichetta di "poeta del pessimismo". Classico nella
sua formazione intellettuale, Leopardi è Romantico nella sua sensibilità.
Fra le sue opere, sia in poesia che in prosa, vanno ricordate almeno: Canzoni (1824), Versi (1826), Operette morali (1827), Canti (1818-1831). [Per un elenco dei 300 e più titoli di e su Leopardi in commercio in Italia fare clic qui].
Morì
a soli 39 anni a Napoli, dove s'era stabilito alla ricerca di un clima
più mite.
Il punto di partenza privilegiato
per trattare il nostro tema è ovviamente la grande passione amorosa
di Leopardi, quella che occupò gran parte della sua vita adulta:
il "sodalizio" con Antonio
Ranieri (1806-1888).
Cominciamo dai fatti noti. Leopardi conobbe a Firenze nel 1827 il napoletano Antonio Ranieri, studente ventunenne, che un biografo descrive così: "giovanissimo, bellissimo, aitante della persona" e con "quell'ardor giovanile dell'animo che tanto piace al bel sesso" [3] ("e non solo"... aggiungo io). Nel 1830 la frequentazione si fece assidua, e nell'inverno 1831/32 i due trascorsero cinque mesi a Roma[4], ufficialmente per la salute del Leopardi, in realtà perché Ranieri voleva star vicino all'attrice Maria Maddalena Pelzet (sposata!) per cui smaniava. Quando nel 1832-33 Ranieri tornò a Napoli dalla famiglia, che versava in dissesti finanziari sempre più gravi, Leopardi gli scrisse da Firenze frequenti lettere d'amore. In esse leggiamo dichiarazioni come questa: "Ranieri mio, tu non mi abbandonerai però mai, né ti raffredderai nell'amarmi. Io non voglio che tu ti sacrifichi per me, anzi desidero ardentemente che tu provvegga prima d'ogni cosa al tuo ben essere: ma qualunque partito tu pigli, tu disporrai le cose in modo, che noi viviamo l'uno per l'altro, o almeno io per te; sola ed ultima mia speranza. Addio, anima mia. Ti stringo al mio cuore, che in ogni evento possibile e non possibile, sarà eternamente tuo" [5].Un'"amicizia" così "accesa" non passò inosservata, come emerge da un'altra lettera che accenna alle "derisioni" che scatenava: "Povero Ranieri mio! Se gli uomini ti deridono per mia cagione, mi consola almeno che certamente deridono per tua cagione anche me, che sempre a tuo riguardo mi sono mostrato e mostrerò più che bambino. Il mondo ride sempre di quelle cose che, se non ridesse, sarebbe costretto ad ammirare; e biasima sempre, come la volpe, quelle che invidia.E ancora: "Ranieri mio, non hai bisogno ch'io ti dica che dovunque e in qualunque modo tu vorrai, io sarò teco [con te]. Considera bene e freddamente le tue proprie convenienze (...) e poi risolviti. La mia risoluzione è presa già da gran tempo: quella di non dividermi mai più da te. Addio" [7].E quando infine Ranieri parte alla volta di Firenze per andare a prendere l'amico, al quale ha proposto di vivere a Napoli insieme, Leopardi gli scrive: "Ranieri mio. Ti troverà questa <lettera> ancora a Napoli? Ti avviso ch'io non posso più vivere senza te, che mi ha preso un'impazienza morbosa di rivederti, e che mi par certo che se tu tardi anche un poco, io morrò di malinconia prima di averti avuto. Addio addio" [8].Dirò subito che leggendo queste e le altre lettere di solito si ricava l'impressione che fra i due esistesse una relazione. Si ha un bel ricordare che nell'Ottocento l'amicizia si esprimeva in termini molto più calorosi che ai giorni nostri. Ciò è vero, ma è altrettanto vero che qui si era comunque passato il segno anche delle convenzioni dell'amicizia Romantica, come dimostrano le considerazioni del Leopardi a proposito delle "derisioni" a cui andava incontro il loro "sodalizio"! Anzi, per maggior chiarezza Ranieri si affannò a rivelarci da cosa nascessero "scandalo" e derisione: dall'eccessiva intimità fra i due. Appena arrivati a Napoli assieme, nel 1833: "io, lasciatone il mio antico letto, dormiva in una camera non mia (cosa che nelle consuetudini del paese, massime in quei tempi, toccava quasi lo scandalo), per dormire accanto a lui" [9].Tanta premura suscitò i sospetti della padrona di casa che "Mi dichiarò: ch'io le aveva introdotto un tisico in casa; che, amandolo tanto da fargli le nottate, non altra poteva essere la cagione onde non gliele facessi in casa mia [non c'era ragione per non fargliele a casa mia]; ch'essa voleva, ad ogni costo, essere sciolta dall'affitto" [10].Un incidente simile era già accaduto durante il già citato soggiorno comune a Roma nel 1831/32: un maligno parrucchiere compaesano di Leopardi, stupito della convivenza fra i due, s'era premurato di riferire certi pettegolezzi a Ranieri:
Appena uscito il pettegolo, piomba Leopardi e si sfoga: "Sappi, ch'io divento un forsennato, al solo sognare di andarne per le bocche di quella gente [i recanatesi]; sappi, che io inventai, invento ed inventerò tutte le favole, tutti i romanzi di questa terra, per salvarmi da questa orribile sciagura!" [12].(con buona pace delle "favole" e i "romanzi" su Silvia e compagnia bella). Ranieri gli riconferma la sua amicizia, però aggiunge velenoso: "Ma, io confesso, che non avrei mai inteso concedergli quella <libertà> che mi si riferisce leggersi in alcune delle sue lettere. E dico: mi si riferisce; perché, insino da una prima pubblicazione di questa specie, io, tre volte tentai di farne lettura, e tre fui preso dalla febbre" [13].Eccoci allora al dunque: quali che fossero le convenzioni dell'amicizia dell'Ottocento, è Ranieri stesso a dirci che le lettere di Leopardi andavano oltre l'accettabile, al punto che la sola lettura gli procurava la febbre decenni dopo! Ma allora i due stavano assieme o no? A giudicare dal fatto che Leopardi aveva bisogno di certe misteriose "passeggiate" e di certi incontri con sconosciuti proletari, non direi proprio che fra i due ci fosse, o ci fosse più, una relazione erotica: "Mi parve di scorgere, prima in Roma, poscia [poi], assai più di frequente, qui, che altre ragioni gli destavano l'inesplicabile desiderio di andar fuori solo, e che queste fossero certe più libere confabulazioni con certa gente verso la quale, prima io da solo in Roma, poscia insieme con l'aureo Margàris, qui, non si era mancato di dire la mente [opinione] nostra.
Fin qui i dati che i protagonisti ci hanno lasciato. Vediamo ora d'integrarli con ciò che i biografi hanno scoperto.
Un primo dato che emerge leggendo le biografie è che Ranieri fu un donnaiolo accanito e sconsiderato, come esemplifica la sua avventura con la Pelzet (che non fu la sola). Leopardi, al contrario, non ebbe notoriamente avventure o storie con donne. Un secondo dato
è che le memorie scritte da Ranieri sono inattendibili. Esse
furono scritte non per tramandare, ma per occultare "qualcosa".
Forse una relazione omosessuale?
Questa "scoperta" cambia l'ottica in cui leggere la relazione. Che Leopardi fosse cotto di Ranieri, ce lo dicono a sufficienza le lettere. Che Ranieri, perso nei suoi amori con donne, reciprocasse tale amore, lo nega la sua biografia. Se dunque amore ci fu, esso fu a senso unico. Si capisce perciò anche perché Ranieri, della sua pluriennale convivenza con Leopardi, ci abbia lasciato solo pettegolezzi e insinuazioni: la reale grandezza di Leopardi in parte gli sfuggì. Per lui Leopardi fu soprattutto un "ricchione" innamorato, della cui debolezza umana approfittare. Si capisce anche perché egli ci abbia tenuto a tramandare i fatterelli che ho sopra citato: per stabilire che "o' ricchione era isso", Leopardi, non lui. In quest'ottica
assumono dunque un preciso significato le sibilline lamentele del Ranieri
per i "soliloqui amorosi" (in circostanze "di cui è assai bello
tacere") con cui Leopardi lo tormentava.
"I soliloqui amorosi nei cui scabrosi anfratti il Ranieri dice di essersi spesso e con sua grande angoscia trovato, non s'hanno altrimenti a interpretare che come vaneggiamenti d'amore che egli sarebbe stato spesso costretto a udire dalla bocca del sodale.Anzi, sentiamolo direttamente, Giosuè Carducci, che in una sua conferenza su Jaufré Rudel, a proposito dell'amore del Leopardi per "Aspasia", testimoniò: "Raccontavano a Firenze che egli, quando più ardea dell'Aspasia, solesse affazzonare con uno scialle un giovinetto congiunto di lei che molto le somigliava e stesse contemplando a lungo quell'immascherato e dicendogli ciò che non osava all'Aspasia. No 'l credo, e mi pare indegno" [17].Non posso non sottolineare l'importanza di questa testimonianza, che ci viene da chi aveva accesso a testimonianze dirette. Da essa veniamo finalmente a sapere che esistettero "vociferazioni" sull'innamoramento di Giacomo, a Firenze, non per "Aspasia" (che cantò nelle sue poesie), bensì per il "giovinetto congiunto". E veniamo anche a sapere che "si vociferava" che tale amore riguardasse "eziando il sodale Ranieri". Eccoci, finalmente! Di nostro aggiungiamo
che ci pare bizzarro che Leopardi, innamorato invano della bella Fanny
Targioni-Tozzetti alias
"Aspasia"
(con la quale Ranieri aveva una tresca amorosa!), preso da furore amoroso
travasasse la passione sul "giovinetto congiunto" solo perché...
le assomigliava. Anzi, arrivasse a travestirlo da Aspasia. Anzi, già
che c'era trasferisse tale ardore su Ranieri. E a questo punto, perché
non sul cavallo della donna amata?
Arrivati a questo
punto, però, ci rendiamo conto di avere raccolto indizi sulle preferenze
omosessuali di Leopardi, ma non su quelle di Ranieri. Insomma, l'idea
d'una relazione fra Leopardi e Ranieri, bella, poetica, romantica... purtroppo
non regge. Peccato, perché l'avremmo augurata come unico
raggio di sole e fonte di gioia nella travagliata vita di Giacomo.
C'è qualcos'altro, allora, su Leopardi? Sì. Innanzi
tutto, pochi lo sanno, esiste una serie di documenti inediti che
gli attuali conti Leopardi rifiutano di mettere a disposizione degli studiosi.
Si tratta, affermano i conti, di opere giovanili irrilevanti, che nulla
aggiungono alla comprensione dell'artista.
E il fatto che Leopardi fosse benissimo capace di scrivere apertamente di omosessualità lo rivelano tre appunti dallo Zibaldone, in data 1821 e 1824 che, a mio parere, documentano il tormentato tentativo del giovane Leopardi di venire a patti con una certa parte di sé. Il primo appunto, con tono falsamente asettico, anzi cosparso di qualche debita esecrazione, nota come l'amore vero, per l'antichità, fosse quello omosessuale: "Il vantato amor platonico, sì sublimemente espresso nel Fedro, non è che pederastia.Subito dopo queste righe, forse temendo di essersi spinto troppo in là, Giacomo aggiunge un'altra noterella: "Forse all'esuberanza di vita si può attribuire la grande universalità della pederastia nella Grecia (...) mentre fra noi bisogna convenire che questo è un vizio antinaturale, un'inclinazione che il solo eccesso di libidine snaturante i gusti e l'inclinazione degli uomini, può produrre" [20].Sul tema Giacomo ritornò infine nel 1824, ribadendo i due corni del dilemma: "Alle altre barbarie umane da me altrove notate si aggiunga la pederastia, snaturatezza infame (...); non fu solo propria de' barbari ma di tutta una nazione così civile come la greca, e per tanto tempo (lasciando i romani), e sì propria che sempre che i greci scrivono d'amore in verso o in prosa, intendono (eccetto ben rade volte) di parlare di questo siffatto" [21].Per Leopardi ventitreenne e poco più, insomma, l'omosessualità è quella cosa che è nobilissima fra gli amatissimi greci, ma che oggi è sordida e turpe. Come risolvere la contraddizione? Forse amando "castamente" gli uomini (ad esempio Ranieri) ma negandosi il sesso. O forse come milioni di omosessuali di tutti i tempi: prima cedendo ai sensi, e poi vergognandosi di quel che s'è fatto. O forse ancora in altro modo, che solo le carte inedite degli eredi Leopardi possono svelarci, o che al contrario non sapremo mai... Purtroppo Leopardi
divenne,
già in vita, una sorta di "santino patriottico", una gloria
nazionale italiana sulla quale era consentito dire solo "bene". Ci manca
perciò nel suo caso il "pettegolezzo storico" che di solito emerge,
magari decenni dopo i fatti narrati, da lettere, diari, memorie di contemporanei.
"Spettegolare" sulla sua vita sessuale sarebbe stato sacrilego [22];
l'unico che osò farlo, Ranieri, fu costretto a dire e non dire.
Ci hanno
raccontato che Leopardi fu solo perché era gobbo. Balle. Era
se non ricco benestante, era nobile, era stimato: una donna che lo sposasse,
in un'epoca in cui il matrimonio era ancora visto come un affare economico,
l'avrebbe trovata, se l'avesse voluta.
Solo se Antonio, il bell'Antonio, avesse accettato di sposarlo, la sua vita avrebbe potuto essere davvero diversa...
Nota: Questo mio studio ha provocato un piccolo dibattito con il curatore (eterosessuale) di un sito leopardiano, (Angelo Fregnani) che dopo la sparizione improvvisa del suo sito ho inglobato nel mio: 1) Angelo Fregnani, Premessa a - Sempre caro mi fu...; 2) Giovanni Dall'Orto, Sempre caro mi fu...; 3) Angelo Fregnani, L'etero invidioso; 4) Giovanni Dall'Orto, "Ma perché insozzare la sua memoria?". Appunti sull'opportunità di fare storia gay e sulle difficoltà da superare in questo campo. Nell'ottobre 2003 il testo è stato poi ripreso sul sito di gay.tv, suscitando anche qui polemiche scandalizzate. Per leggere gli interventi del forum di gay.tv fare clic qui. L'autore ringrazia fin d'ora chi vorrà aiutarlo a trovare immagini e ulteriori dati su persone, luoghi e fatti descritti in questa scheda biografica, e chi gli segnalerà eventuali errori contenuti in questa pagina. |
Note
[1]
Si veda per un esempio: Mario Cervio Gualersi, Amami Antonio, "Babilonia"
n. 88, aprile 1991, pp. 49-51.
[2] Essenziali sono: Franco Ridella, Una sventura postuma di Giacomo Leopardi, Clausen, Torino 1897 e Francesco Moroncini, Il retroscena e il supplemento del libro del Ranieri sul "sodalizio", "Nuova antologia", CCCLXVI 1933, pp. 384-416 (con ulteriore bibliografia). Sul tema esistono comunque numerosi altri studi. [3] Franco Ridella, Op. cit., p. 179. [4]
Su questo soggiorno vedi: Diego Angeli, Roma romantica, Treves,
Milano 1933, pp. 107-114.
[5] Giacomo Leopardi, Lettere, Salani, Firenze 1958; lettera 481, 11/12/1832. [6]-Ibidem, Lettera 486, 5/1/1833. [7]-Ibidem, Lettera 490, 5/2/1833. [8]-Ibidem, Lettera 498, 2/4/1833. [9] Antonio Ranieri, Sette anni di sodalizio con Giacomo Leopardi [1880], Garzanti, Milano 1979, p. 55. [10]-Ibidem, p. 56. [11]-Ibidem, p. 38. [12]-Ibidem,
pp. 38-39.
[13]-Ibidem, p. 39. Non commenterò la puerile scusa con cui Ranieri pretende di non aver mai letto le lettere. Nota Ridella (Op. cit. p. 401): "Che altro è il Sodalizio se non l'effetto della lettura di esse lettere?". A margine noterò invece la significativa "marcia indietro" del Ranieri, segnalata da Paolo Abbate: "Il libretto"; scrive Abbate, "destò, naturalmente, subito un bel vespaio tra i letterati di fine secolo, che lo accusarono di aver "detto troppo", e chiedevano, allo stesso tempo, chiarimenti di alcune sue affermazioni. Ranieri rispose seccato ed evasivo, come nella lettera a Alessandro D'Ancona del 29 giugno 1880: "Se la verità portasse che nessuna donna si fosse mai sognata, né si fosse mai potuta sognare di essere delizia o erinni [...] quale accrescimento ne verrebbe alla gloria del sommo scrittore?". (Paolo Abbate, La vita erotica di Giacomo Leopardi, C.I. Edizioni, Napoli 20000, pp. 9-10). Ovviamente a noi oggi viene più spontanea la domanda opposta: chedanno avrebbe "la gloria dl sommo scrittore" se emergesse che nessuna donna fu mai amata da lui? [14]-Ibidem, p. 73. [15] Sulle vicende economiche del duo e della famiglia Ranieri si veda l'esauriente studio di Moroncini, citato. [16]-Ibidem, p. 178. [17] La conferenza si svolse l'8 aprile 1888. Ho tratto la citazione dal testo online sul sito: Accademia Jaufré Rudel di studi medievali. [18] L'incredibile vicenda fu denunciata verso il 1984-1985 da un articolo su "L'Unità", che mi fu mostrato ma che non riuscii a fotocopiare. Qualcuno mi può aiutare ad averne copia, o almeno la data esatta di pubblicazione? [19] Giacomo Leopardi, Zibaldone di pensieri, Mondadori, Milano 1967, in data 4 ottobre 1821. [20]-Ivi. [21]-Ibidem, in data 15 marzo 1824. [21]
Per gli eterosessuali inventare di sana pianta amori eterosessuali e fantasie
di tutti i tipi significa "essere un autorevole studioso" e serio "biografo",
mentre se si documentano rigorosamente, testi alla mano, amori omosessuali,
allora si è un "pettegolo" e uno "scandalista".
Quest'opera
di Paolo Abbate intitolata La vita erotica di Giacomo Leopardiè
stata pubblicata nel 2000 e sostiene la tesi dell'omosessualità
del poeta. Fare clic sull'immagine per leggerne una mia breve recensione.
Francobollo commemorativo italiano per il centenario della morte di Leopardi, 1937. |