Poeta latino.
Nato a Sulmona da famiglia dell'ordine degli equites, studiò a Roma grammatica e retorica. Il padre cercò di avviarlo alla carriera politica ma Ovidio, dopo aver ricoperto alcune magistrature minori, preferì dedicarsi alla poesia. Riuscì presto ad acquisire fama con raccolte poetiche dedicate a temi amorosi e "alla moda" (Amores, Ars amatoria, Remedia amoris, Heroides). La fama portò con sé l'amicizia della famiglia imperiale e Ovidio iniziò a scrivere opere di maggiore impegno: i Metamorphoseon libri, il suo capolavoro, e i Fastorum libri. Improvvisamente, nell'8 a.C. il poeta fu esiliato a Tomi, sul Mar Nero, per motivi non chiari: si pensa che avesse offeso qualche membro della famiglia imperiale. Qui rimase fino alla morte, componendo ancora: Tristia, Epistulae ex Ponto, Ibis.
Ovidio non
fu omosessuale e non esaltò in prima persona l'amore
omosessuale [1].
L'unico cenno, del tutto convenzionale, è negli Amores[2],
dove si lamenta di non avere da cantare per amore né un ragazzo
né una ragazza.
Per il resto, Ovidio condivide coi suoi contemporanei il disprezzo per l'uomo che si dà ad altri uomini [4]. Un aspetto interessante è però il fatto che, parlando di Saffo, egli prenda apertamente in considerazione il suo "lesbismo", sia pure condannandolo. Infatti nelle Heroides l'intera lettera XV è dedicata al leggendario amore di Saffo e al suo suicidio dalla rupe di Leucade per amore del crudele Faone. Al verso 19 Saffo ammette di aver amato Attide e altre cento donne "non senza delitto" [5], e al verso 200 aggiunge che per aver amato le donne di Lesbo la sua fama è stata macchiata [6]. Alla luce di quest'opinione si spiega anche una frase dei Tristia, in cui, elencando a propria difesa il modo in cui gli antichi poeti parlarono, non sempre convenientemente, di amore, Ovidio chiede: "Che cosa ha insegnato Saffo se non ad amare le ragazze?" [7].
Il vero contributo di Ovidio all'immaginario omosessuale è però nella sua opera che per secoli è stata fra le più lette ed amate dell'antichità: i Metamorphoseon libri. Per molti secoli la forma con cui vi sono stati raccontati da Ovidio alcuni miti omosessuali è stata quella più accessibile e nota a scrittori, pittori e scultori, e al grande pubblico: sia direttamente, sia in compilazioni.
Accanto ai miti più noti (Orfeo inventore dell'amore per i maschi, Ciparisso e Apollo, Zeus e Ganimede, Giacinto e Apollo.[8], Narciso) vi appaiono cenni ad amori meno noti: Poseidone e Pelope, Cicno e Filio, Minosse e Mileto nonché, interessante per la sua rarità, il mito di Ifi che, nata femmina e innamoratasi d'una donna, è trasformata in maschio dalla dea Iside impietosita. Un altro cenno all'amore mitologico di Bacco e Ampelo è infine nei Fastorum libri, III 407-414 [9]. L'autore ringrazia fin d'ora chi vorrà aiutarlo a trovare immagini e ulteriori dati su persone, luoghi e fatti descritti in questa scheda biografica, e chi gli segnalerà eventuali errori contenuti in questa pagina. |
Note
[1] Per l'omosessualità nell'opera di Ovidio: Saara Lilja, Homosexuality in Republican and Augustan Rome, Societas Scientiarum Fennica, Helsinki 1983, pp. 79-81.
[2] Ovidio, Amores, (traduzione italiana: Gli amori, Einaudi, Torino 1995), I 1, 20: "nec mihi materia est numeris levioribus apta, / aut puer aut longas compta puella comas". [3] Ovidio, Ars amatoria, III 681-687. (Trad. italiana: L'arte di amare, Rizzoli, Milano 2000). [4] Si veda Ars amatoria, (Op. cit.), I 520-523, e III 437-438 [Femina quid faciat, cum sit vir levior ipsa,/ forsitan et plures possit habere viros?]. [5] Ovidio, Heroides, (trad. italiana: Eroidi, Garzanti, Milano 1996), Epistula XV: "Non oculis grata est Atthis ut ante meis / atque aliae centum, quas non sine crimine amavi". [6] Ivi: "Lesbides, infamem quae me fecistis amatae". [7] Ovidio, Tristia, (trad. italiana in: Opere, Utet, Torino 1997, vol. 2), II 365: "Lesbia quid docuit Sappho, nisi amare, puellas?".
[8] Tutti nel libro X delle Metamorphoses (trad. italiana: Metamorfosi, Garzanti, Milano 1995, 2 voll. - Una traduzione italiana online si trova qui). [9] Ovidio, Fastorum libri, III 407-414. (Trad. italiana: I fasti, Rizzoli, Milano 1998). |