Filosofo, teologo e umanista italiano.
Giovanni Pico dei conti della Miràndola studiò diritto canonico a Bologna ma, insoddisfatto, nel 1474 si diede agli studi umanistici a Firenze (qui divenne amico del Poliziano), poi a Ferrara e, nel 1480-82 a Padova.
Aiutato da una memoria tanto prodigiosa da essere divenuta proverbiale, studiò oltre ai classici latini e greci (fra i quali ebbe particolarmente caro Platone) anche la letteratura araba e la càbala ebraica.
Spirito profondamente religioso, tentò di conciliare la sapienza antica (greco-platonica, medievale-aristotelico, ebraico-cabalistica, addirittura ermetica del Corpus hermeticum) con la Rivelazione cristiana.
Tale sforzo, a cui la brevità della sua vita impedì d'arrivare a vere conclusioni, fu sintetizzato nel 1486 nelle 900 tesi delle Conclusiones philosophicae, cabalisticae et theologicae.
Una commissione di teologi vi trovò però tesi sospette d'eresia e, alla replica risentita di Pico, papa Innocenzo VIII condannò tutta l'opera.
Pico si rifugiò allora in Francia (1488) dove fu arrestato; riuscì però infine a riconciliarsi col papa. Tornato a Firenze, si dedicò sino alla morte alla stesura di opere filosofico-teologiche.
Negli ultimi di vita il suo misticismo lo spinse tra i sostenitori del frate riformatore Girolamo Savonarola.
Assai influenzato da Platone, Pico accettava l'ideale dell'"amore socratico" fra uomini popolarizzato da Marsilio Ficino. Così egli lo descrive:
"Nell'amor celeste (...) tutto tende, e si drizza [dirige] alla bellezza spirituale dell'animo, e dell'intelletto, la quale molto più perfetta si trova ne' maschi, che nelle donne, come d'ogni altra perfezione si vede; però [perciò] tutti coloro, che di questo Amore sono stati accesi, hanno la maggior parte amato qualche giovane d'indole generosa, la cui virtù è stata ad altri tanto più grata, quanto più quella è stata in un bel corpo, e non si sono effeminati dietro a uno armento [mandria] di meretrici" [1]. |
Gli antichi greci che amarono di questo amore,
"tutti non desideravano di esequire con li loro amati alcuna cosa sozza, come si credono molti, che con la misura de' loro vituperosi desideri misurano i celesti pensieri di coloro; ma solo per eccitarsi della bellezza corporale esteriore a riguardare quella dell'Anima, dalla quale emanò, e pervenne a quella corporea, ed essendo quella dell'Anima una partecipazione della Bellezza Angelica, surgendo più in su, elevarsi ad un più sublime grado di contemplazione, tanto che si pervenga al primo fonte di ogni bellezza, ch'è Iddio" [2]. |
Pico visse questo * tipo di "celeste amore" con Girolamo Benivieni (1453-1542), anch'egli fervente cristiano e neoplatonico, che reciprocò i suoi ardori.
Quanto possa essere costato a Pico sublimare i suoi istinti ce lo rivela comunque il superiore dell'Abbazia di Fiesole, Matteo Bossi, che in una lettera lodò come santo e virtuoso l'ossessivo controllo di sé del nostro, tale da spingerlo alla misantropia:
"Quale santità di vita e pietà religiosa (...), quale ardore verso le cose divine quale profumo di castità e di pudicizia.
Egli aveva allontanato talmente il piede da ogni mollezza e tentazione della carne da sembrare che, al di là dei sensi e dell'ardore giovanile, vivesse una vita da angelo evitando i colloqui, lo sguardo, gli atteggiamenti da cui potesse sorgere il pericolo di desiderare o di essere desiderato(...).
Da lui ho udito una volta, con molta confidenza e amicizia, che possedeva il dominio contro le forze e i richiami della libidine in modo da non avere tentazioni più gravi di quelle di un fanciullo di sette anni" [3]. |
Misantropia, la sua, che "ovviamente" portava anche al rifiuto del matrimonio:
Pensa - gli scriveva <un> amico - alla "rex uxoria", cioè prendi moglie. Ma Pico da questo orecchio non ci sentiva e non gli rispose neppure. (...)
A sposarsi non pensò mai perché rifuggiva da ogni vincolo, perfino quello religioso [sic!] [4]. |
Eppure alla
sua morte fra' Girolamo
Savonarola, che conosceva Pico, fece durante una predica una rivelazione
che destò scalpore: l'anima di Pico non aveva potuto andare sùbito
in Paradiso, ma era assoggettata per un certo tempo alle fiamme del Purgatorio-per
certi peccati (che non nominò). Che perciò i presenti
pregassero per la sua anima [5].
La notizia, detta e non detta, fece discutere: alla fine si concluse che Pico aveva avuto una amante o una concubina segreta.
Vai tu a sapere, a cinque secoli di distanza, quale fosse la verità, ma la probabilità che Pico avesse semmai avuto un amante (forse lo stesso Benivieni?) diviene meno incredibile oggi, mentre stanno emergendo i documenti che mostrano la rilevanza dell'omosessualità nella cerchia degli amici di Pico, come Ficino o Poliziano.
Resta inoltre la circostanza della morte improvvisa di Pico a soli due mesi dall'altrettanto repentina morte del Poliziano, a sua volta morto poco dopo un giovane prostituto che l'accusò d'averlo contagiato (anche se forse è più probabile l'opposto).
In passato
s'è parlato di avvelenamento, ma di recente s'è sospettato
che Poliziano e Pico siano stati fra le prime vittime della grande
epidemia di sifilide che colpì l'Europa nel 1493-1494, con
sintomi acuti e decorso rapidissimo[6].
Ma non voglio spingermi oltre sulla strada delle ipotesi, anche perché, a mezzo millennio di distanza, ogni ipotesi (compresa quella dell'avvelenamento) può essere solo illazione.
Restiamo dunque ai fatti, cioè alla circostanza che
Girolamo Benivieni, quando Pico morì, fu sul punto di suicidarsi e volle essergli sepolto vicino.
Sotto loro trovò poi posto anche Poliziano, che era morto, a quarant'anni, circa due mesi prima di Pico, lasciandolo in un dolore muto, ma straziante [7]. |
Ecco arrivato il momentodi parlare di Girolamo Benivieni, che condivise (e la cosa giunti a questo punto non stupirà di certo) il medesimo entusiasmo di Pico per l'amore divino, rigorosamente fra uomini.
Trascrivo a titolo di esempio un suo sonetto d'amore spirituale per Pico della Mirandola:
"Se in fra gli altri pensier che in mezzo al core
misero, han posta lor superba sede
veder d'alcun come la mente il vede,
signor, potessi il suo proprio valore,
vedresti bensì come in cima Amore
de' tuoi superbi don ricco si siede,
e come irato al cor null'altro or chiede,
se non ch'io torni a te, dolce signore.
Quinci cresce il disio, che a lento corso,
l'ali mie impenna; quinci il dolce sono
del suo troppo amoroso stil mi sforza.
Di qua fortuna, e con più duro morso
mi tiene, così in fra l'una e l'altra forza
afflitto in dubbio di mia vita sono" [8]. |
Girolamo Benivieni ritratto
da Ridolfo del Ghirlandaio
nel 1510-1520 ca.
Londra, National Gallery
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È commovente vedere come queste premesse non furono tradite dal Benivieni, che fu preceduto dall'amato nella morte di quasi mezzo secolo, e che ciò nonostante non lo dimenticò mai, al punto da farsi seppellire assieme a lui.
La tomba comune di Giovanni Pico e Girolamo Benivieni in San Marco, Firenze.
Da Jacobelli, p. 68.
L'antica lapide sulla loro tomba, tuttora visibile nella chiesa di san Marco a Firenze, in latino, dice:
Qui giace Giovanni Mirandola, il resto lo sanno
anche il Tago e il Gange e forse perfino gli Antipodi.
Morì nel 1494, visse 32 anni.
Girolamo Benivieni, affinché dopo la morte la separazione di luoghi non disgiunga le ossa di coloro i cui animi in vita congiunse Amore, dispose d'essere sepolto nella terra qui sotto.
Morì nel 1542, visse 89 anni e 6 mesi [9].
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Sul retro della tomba (non visibile nella chiesa) appare anche un'altra lapide che inizia in latino e si conclude in italiano (questa parte della lapide fu fatta evidentemente scrivere da altri):
Girolamo Benivieni per Giovanni Pico della Mirandola e se stesso pose nell'anno 1532.
Io priego Dio Girolamo che 'n pace
così in ciel sia il tuo Pico congiunto
come 'n terra eri, et come 'l tuo defunto
corpo hor con le sacr'ossa sue qui iace [10].
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Non sapremo mai se Pico fu casto o no, o se il suo amore con il Benivieni fu "consumato" o meno. A noi però questa delicata testimonianza basta comunque per capire che quello fra lui e Girolamo fu amore vero.
L'autore ringrazia fin d'ora chi vorrà aiutarlo a trovare immagini e ulteriori dati su persone, luoghi e fatti descritti in questa scheda biografica, e chi gli segnalerà eventuali errori contenuti in questa pagina. |
Note
[1] Giovanni Pico della Mirandola, Commento alla canzone di G. Benivieni: "Dell'amore celeste e divino", Lucca 1731, pp. 83-84.
Sul tema del rapporto fra "amore socratico" e omosessualità si veda: Giovanni Dall'Orto: "Socratic Love" as a Disguise for Same-sex Love in the Italian Renaissance, "Journal of homosexuality", XVI, n. 1/2 1989, pp. 33-65. Anche come: Kent Gerard e Gert Hekma (a cura di), The pursuit of sodomy: male homosexuality in Renaissance and Enlightenment Europe Harrington Park Press, New York 1989, pp. 33-65, specie alle pp. 43-44.
[2]-Ivi.
[3] Jader Jacobelli, Quei due Pico della Mirandola, Laterza, Roma e Bari 1993, p. 71.
[4] Ibidem, p. 30.
[5] Ibidem, p. 70.
[6] Anne Marie Moulin e Robert Delort, La sifilide: un male americano? In: Georges Duby (a cura di), L'amore e la sessualità, Dedalo, Bari 1986, pp. 207-218, alle pp. 207-208.
[7] Jader Jacobelli, Op. cit., p. 67.
[8] Da: Parnaso italiano, Antonelli, Venezia 1848, vol. XI, coll. 611-618, sonetto VIII.
[9] Isidoro Del Lungo, Florentia, Barbera, Firenze 1897, p. 277.
[10]
Ibidem, p. 278. Parafrasi: "Girolamo, io prego Dio che il tuo Pico
sia congiunto a te in Cielo nel modo in cui lo era in terra, e nel
modo in cui il tuo corpo defunto ora giace assieme alle sue sacre ossa".
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