Nel
1996 decorreva il bicentenario della nascita del poeta tedesco August,
conte von Platen-Hallermünde (1796-1835), del quale mi sarei aspettato
qualche commemorazione anche in Italia, non fosse altro che per il fatto
che nel nostro Paese egli visse dal 1826 alla morte, avvenuta a
Siracusa (qui si trova la sua tomba, nel cimitero protestante di Villa
Landolina, oggi all'interno
dell'area del Museo archeologico).
La mia aspettativa
è stata delusa, soprattutto nella speranza di traduzioni italiane
di Platen, assenti dal mercato editoriale (salvo un frammento dai diari:
il Diario
siciliano).
Mi accingo allora
a parlarne io, pur avendo l'handicap di non sapere il tedesco e
quindi poter leggere le poesie di Platen solo in traduzione inglese o francese[1].
Le note che
qui propongo sono quindi solo un "assaggio", in attesa che qualcuno più
competente di me esamini la copiosa documentazione in lingua tedesca [2].
Ovviamente nonparlerò
del poeta Platen, dato che non ho accesso alle sue poesie, bensì
dell'uomo Platen, che a mio parere è altrettanto interessante
del poeta.
I
dolori del giovane... Inverter
Platen è
infatti un omosessuale
molto peculiare, assolutamente anacronistico. Benché dal
punto di vista letterario egli fosse classicista ed anti-Romantico, aveva
respirato a sufficienza lo spirito del Romanticismo per apprezzarne la
rivalutazione dell'amore che noi oggi diciamo per l'appunto "romantico",
al punto da desiderare applicarla agli amori che egli provava... per
gli uomini.
A
differenza di milioni di suoi contemporanei Platen non si accontentava
(almeno finché fu in Germania) della compagnia puramente sessuale
di ragazzi proletari sensibili al fascino del denaro. Lui no: lui voleva
amare, spiritualmente e fisicamente, un giovanotto, possibilmente suo
pari, ed esserne addirittura ricambiato!
Noi sappiamo
oggi quanto sia difficile nel mondo gay trovare una relazione d'amore;
l'impresa, all'epoca di Platen, doveva essere semplicemente impossibile.
Da qui una lunga serie d'innamoramenti per giovani che si rivelavano
eterosessuali e quindi refrattari, o che erano omosessuali ma si spaventavano
di fronte all'audacia di Platen:
"Egli concentra
sugli amici il suo affetto e trasporta nell'amicizia le fiamme e le burrasche
d'amore; è passionato, esclusivo, geloso, violento talora, esaltato.
Chi lo può intendere? [Joseph] Xylander, Perglas, Brandestein,
Hornstein, Rothenthal: tutta una coorte di amici pazzamente idolatrati
sfila rinnovando nella sua anima impetuosa sempre la stessa inutile burrasca
e la stessa inutile tortura.
(...)
[Costoro non
intesero] la natura di quelle sue passioni. (...) Se ne allontanarono,
taluno impaziente, taluno disgustato, o, anche, edotti dall'esperienza
altrui, rifiutarono di avvicinarglisi" [3]. |
Le vicende amorose
appena citate si possono ricavare, oltre che dal suo epistolario dalle
sue poesie, soprattutto dal suo diario, eccezionalmente minuzioso,
in cui registrò (con ingenua precauzione) in francese e in portoghese
tutti i passi "sconvenienti", cioè quelli sui suoi amori [4].
Vorrei citarne
alcuni estratti che descrivono l'evoluzione della sua relazione forse più
celebre, quella che Platen ventitreenne, studente universitario, ebbe con
il ventunenne studente Eduard Schmidtlein. Credo che, nonostante
siano passati quasi due secoli, ogni omosessuale d'oggi s'immedesimerà
nelle esaltazioni e negli sconforti di Platen:
"3 giugno
[1819].
Lo splendore
della sua bellezza e la coscienza che egli ne ha lo rendono fatuo. Ma è
fin troppo vero che, quando entra nella mia camera, mi abbaglia come la
figura di un semidio, circondato da una corona di fiori sfavillanti.
8 giugno.
Se il cielo
si degnerà sempre di accordarmi una purezza inalterabile dell'anima,
potrò dirmi il più felice essere umano, perché Eduard
si comporta nei miei confronti con un'attenzione dolce e tenera.
Ieri per
la prima volta abbiamo passeggiato abbracciati; lui aveva messo il suo
braccio attorno al mio collo, e io lo tenevo abbracciato a metà
del suo corpo, il cui peso amato gravava sulle mie spalle... Ma perché
non dovrei godere dell'aspetto benefico della sua bellezza, purché
la mia anima sia pura?
24 giugno.
Qui
[in un giardino] finalmente Eduard si è abbandonato a una
tenerezza senza riserve, a una tenerezza uguale alla mia... Non eravamo
più che una sola anima e i nostri corpi somigliavano a due alberi
i cui rami si allacciassero strettamente ed eternamente. Tuttavia posso
affermare senza mentire che la mia inclinazione è migliorata, e
che ha guadagnato in purezza ciò che prima raggiungeva in ardore:
è perché quando l'amore vero, il reciproco amore, s'innalza
ad un grado così alto la sensualità diminuisce... (...)
La mia salute
stessa è migliorata, da quando mi sento felice, da quando le preoccupazioni
non mi lacerano più.
28 giugno.
Gli ho proposto
di darci del tu da domani mattina. Ha accettato subito guardandomi con
un'espressione di dolcezza amorosa, che i suoi occhi non avevano mai mostrato
finora. "Se lei ritiene che io ne sia degno", mi ha risposto modestamente...
2 luglio.
Sono molto
arrabbiato con Eduard. Ho smesso di dargli del tu. Ne è stato profondamente
ferito. Non è più lo stesso Eduard che mi diceva un giorno
che non poteva corrispondere alla mia amicizia. Ora, teme di perdermi e
diviene più arrendevole.
20 luglio.
All'inizio
mi ha trattato con durezza. Ha detto che non poteva sopportare tutti questi
pianti. Più tardi è sembrato un po' commosso. Il ricordo
del tempo passato non mi dona più alcuna gioia. Io non ero affatto
amato. La mia felicità non era che un sogno senza corpo e senza
esistenza. Vorrei avere posseduto per poter perdere. Ahimè! Non
ho perduto nulla!
26 luglio.
Perché
mi è impossibile amare le donne, perché bisogna nutrire inclinazioni
funeste, che non saranno mai permesse, che non saranno mai reciprocate?
Sono assolutamente
perduto. Non mi riconosco più. Dimentico tutto, i miei studi, i
miei amici, i miei genitori.
15 agosto.
Mi assicurava
della sua amicizia, ma mi diceva spesso di non potermi amare come io lo
amo. Ahimè! Il suo aspetto esteriore è troppo attraente.
È bello come Apollo e vigoroso come Ercole.
23 agosto.
Questo giorno
è stato funesto. Gli ho detto che conoscevo il suo segreto. Non
l'ho nominato, ma alla fine non ha potuto negare che io l'avevo capito
bene, come lui ha capito me.
Il suo segreto
non è altro che l'impossibilità di amare le donne e l'inclinazione
invincibile per il suo proprio sesso.
Queste parole
non sono state pronunciate, ma non ci sono più dubbi. Eduard è
il primo uomo che mi assomigli così tanto... Non mi sono dunque
ingannato credendo al suo amore.
Poi lui
mi ha detto che era necessario che ci separassimo. Gli ho chiesto se era
a causa del suo amore, e se fosse per virtù. Ma non voleva più
rispondere. Io ho continuato che se aveva intenzione di vincersi, io avevo
la stessa intenzione, e che avremmo potuto diventare l'uno il guardiano
dell'altro.
26 agosto.
Il 24 sono
andato a trovarlo di buon mattino. (...) Gli ho mostrato tutto il
mio amore, ma era più freddo che mai. Non poteva negare che non
amava affatto le donne, ma mi ha assicurato che non aveva mai avuto alcuna
inclinazione verso il suo sesso. Non ha risposto alle mie domande e ha
continuato a pregarmi di andarmene. Ma prima di separarci ci siamo abbracciati
ancora una volta con tutta la nostra tenerezza dell'inizio" [5]. |
Il primo settembre
i due infine si separano (con "un lungo bacio sulle labbra") perché
Eduard parte, e Platen tenta un bilancio dei quattro mesi precedenti,
rivelando anche un dettaglio che spiega perché Eduard avesse
all'improvviso tutta quella paura di Platen e della loro "amicizia":
"Tuttavia
sono stato felice. Mi chiamava amico e posso dire che mi amasse. L'uomo
che mi aveva spinto alla disperazione prima che lo conoscessi, che avevo
sempre adorato, quest'uomo riposava fra le mie braccia. Non ho forse scritto
un giorno che non era che il più bello ad essere degno di me? Ed
eccomi degno del più bello.
Forse però
se avessi saputo conservare la purezza del mio cuore la mia felicità
sarebbe durata. L'amore il più entusiastico non è nocivo.
Sed corpus tetigisse nocet, sed longa dedisse oscula, sed femori conseruisse
femur. [Ma ciò che nuoce è averne toccato il corpo, aver
dato lunghi baci, avere intrecciato gamba a gamba, NdR]" [6]. |
Preso d'amore,
Platen scrive poesie per Eduard e gliele spedisce. L'amato ne è
così spaventato che rompe i ponti: gli scrive che lo disprezza,
che ne ha orrore, che lo considera un appestato.
Qualche mese
dopo i due avrebbero fatto la pace, ma la vicenda mostra a qual punto fosse
invincibile a quell'epoca la pressione sociale per chi, come
Platen, non si accontentava di sesso a pagamento, come la stragrande maggioranza
dei suoi contemporanei, ma aspirasse ad una relazione d'amore.
Justus
von Liebig nel 1821, poco prima della relazione con Platen
|
C'è un
Platen una straordinaria "modernità"
che ce lo fa sentire più vicino di molti altri suoi contemporanei
che non ebbero il suo desiderio di sincerità, ma che al tempo stesso
ne fece un "diverso", un paria.
La ferita inferta
al suo bisogno di amore contribuì alla maturazione in lui
di una certa misantropia, un poco paranoica, condita dalla rabbia contro
quella Germania che l'aveva castrato e soffocato nei suoi affetti.
Per fortuna
non tutte le sue esperienze d'amore furono infelici. Di almeno una relazione
ricambiata, quella del 1822 con il celebre chimico Justus
von Liebig (1803-1873) (sì, quello
dei "dadi per brodo Liebig") è rimasta traccia [7].
Purtroppo fu
breve perché Liebig dovette partire per Parigi.
Verso
l'Italia
Il rimedio
alla solitudine, alla fine, fu per Platen l'Italia, dove l'omosessualità,
almeno in età giovanile, era vista con più indulgenza che
in Germania... specie se il partner era straniero e ricco.
A Platen l'Italia
piacque per i ricordi dell'antichità classica che gli portava, per
il suo paesaggio, ma anche per i suoi uomini:
"ma
tu fiorisci ancor sempre nelle tue creature,
e i modelli
di quell'arte s'aggirano ancor oggi
sul Longarno
come un tempo: ancora essi
popolano
come un tempo i tuoi teatri" [8]. |
E ancora:
"L'antica
forza romana riposa bensì nell'urna delle ceneri,
da quando
la Germania si sollevò con cuore di leone:
ma pur guarda,
ancora più d'una fragile forma rivela
l'originaria
anima di Roma: un giovane figlio di Roma,
ecco, io
vedo, intorno a cui sollevò nella lotta la sua polvere
il campo
di Marte, o intorno a cui spumeggiaron, divise, le onde del Tevere;
che pieno
di gioia di guerra portò anche contro i Cheruschi
lo scudo
difensore.
Sì,
io vorrei contemplarti in lotta contro l'Indiano,
quando maculate
pantere tirano il tuo carro trionfale,
vorrei vederti
come amante, quando il tuo
braccio
purpureo cinge cùpido Ariadne" [9].
|
|
Sicilia.
Mappa tedesca del 1834.
|
Perfino l'ultima
pagina del diario, scritta il 13 novembre 1835 nella locanda di Siracusa
in cui sarebbe morto, [10]
ci rammenta come il suo viaggio fosse anche un viaggio in cerca
di amori:
"Sono rimasto
un paio di giorni a Caltagirone perché non avevo motivo di
affrettarmi. Di questo mi sono convinto ancora di più una volta
arrivato qua. Là ho visto un giovane di straordinaria bellezza;
a quanto ho saputo si trattava di un palermitano" [11]. |
La
"querelle" con Heine e I bagni di Lucca
Insomma, c'è
in Platen il bisogno di vivere apertamente i suoi desideri omosessuali
e al tempo stesso c'è la paura di perdere la rispettabilità.
Non era facile
barcamenarsi tra i due desideri contrastanti, e il risultato fu che l'omosessualità
di Platen divenne non solo di pubblico dominio, ma anche oggetto di
scandalo generale.
Ciò accadde
nel 1829, quando Platen commise l'errore di sfottere per le sue origini
"razziali" lo scrittore Heinrich
Heine (1797-1856, ebreo convertito nonché esponente dell'estetica
Romantica che Platen, classicista, non amava).
La risposta
di Heine, I bagni di Lucca, gli rese la pariglia (specie
nei libri 10 e 11), nello stesso 1829, sfottendolo per la sua omosessualità [12].
Già in
una lettera del 2 maggio 1828 Heine aveva scritto, parlando delle
poesie di Platen:
"L'intero
libro non contiene che sospiri pederastici. E quindi mi ha disgustato,
fino a provocare in me un insopportabile senso di disagio" [13]. |
Ma i toni usati
nei Bagni di Lucca furono ben peggiori. Heine introduce se
stesso in conversazione con il banchiere Gumpel, che essendo indisposto
ha preso un purgante. Gumpel rimprovera Heine (sbertucciando
le teorie estetiche classiciste di Platen):
"Un animo
gentile si esprime solo in forma confacente, e questa la si può
apprendere solo dai greci, o dai moderni che tendono alla perfezione greca,
pensano alla greca, sentono alla greca, e in tal modo comunicano all'uomo
i propri sentimenti".
"All'uomo,
s'intende, non alla donna, come sogliono i poeti romantici", osservai" [14]. |
Dopo questa frecciata,
Heine nota un libro nella mano di Gumpel e gli chiede cosa sia:
"il volume
recava sul frontespizio: "Poesie del conte Augusto von Platen", (...)
e, sulla pagina interna, la scrittura a svolazzi: "Pegno di calda, fraterna
amicizia" [15]. |
A proposito di
questo brano Pino Di Silvestro [16]
nota come in realtà la dedica stia non sulla pagina "interna" bensì
"posteriore", e che in tedesco warme
Bruder ("caldo fratello") significa né più né
meno che "frocio".
Né Heine
si ferma qui. Implacabile, prosegue:
"Inoltre,
il libro esalava uno strano profumo, che non aveva la più lontana
parentela con l'acqua di Colonia ed era forse da attribuire al fatto che
il marchese vi aveva letto tutto la notte.
'Non
ho chiuso occhio', frignò. 'Che mossa avevo! Undici volte mi è
toccato alzarmi, e fortuna che avevo questa lettura edificante, alla quale
ho attinto non solo ammaestramenti d'arte ma conforto per la vita. Vede
come l'ho trattato bene? Neppure una pagina manca, sebbene, nello stato
in cui mi trovavo, sia spesso caduto in tentazione'.
'Non è
certo il primo, signor marchese!'.
'Lo giuro
su Nostra Signora di Loreto', continuò costui. 'Come è vero
che sono un gentiluomo, queste poesie non hanno l'uguale! Ieri sera, quando
il Fato mi vietò di possedere la mia Giulia, ha visto anche lei
che ero al colmo dello smarrimento, come dire au désespoir.
Ebbene, ho letto queste poesie, una ogni volta che dovevo alzarmi, e ne
ho tratto una così profonda indifferenza per le donne, che ho finito
per arrossire delle mie smanie amorose.
Il bello
di questo poeta è appunto che vibra di calda
amicizia, e questo è un onore di cui dovremmo essergli eternamente
grati.
In questo
è più grande di qualunque altro poeta; non lusinga i gusti
banali del gran volgo, ci guarisce dalla passione per le donne, che è
la nostra disgrazia...' " [17]. |
Per finire, Heine
accusa esplicitamente e violentemente Platen d'essere un rottinculo:
"Perché
il nome di uomo non gli si addice per nulla, il suo amore ha un carattere
passivamente pitagorico, nelle sue poesie egli è un pathicus
["sodomita passivo", NdR], è una donna, e una donna che si compiace
del suo sesso, direi quasi una tribade
[lesbica, NdR] maschile.
Questa natura
equivoca traspare in tutte le sue poesie d'amore; trova sempre un nuovo
bell'amico; nei suoi carmi ricorre sempre una specie di poliandrìa...
Chi volesse
oppormi che do troppa importanza al conte Platen vada a Parigi e osservi
con quanta cura e minuzia il fine e garbato Cuvier
descrive fin nei minimi dettagli l'insetto più immondo..." [18] |
E secondo Di Silvestro,
"la diffamazione
resa pubblica da Heine (...) produsse un terremoto nel mondo letterario
del tempo, divenne scandalo nazionale la cui eco si propagò oltre
la morte" [19]. |
Date queste premesse,
il soggiorno di Platen in quell'Italia, che era terra d'asilo di tutti
i profughi
sessuali dell'Ottocento, è assai comprensibile.
Morte
a Siracusa, Morte a Venezia
|
La tomba
di Platen a Siracusa verso il 1900, fotografata da un altro tedesco (omo)sessuale
in Sicilia: Wilhelm
von Gloeden.
|
Maggiori dubbi
ha invece creato la sua morte. Il "mistero" della morte di Platen
("mistero" probabilmente dovuto al fatto che egli, come ha dimostrato Di
Stefano, fu per paura del contagio abbandonato da tutti e lasciato morire
da solo) ha suscitato numerose ipotesi, comprese alcune più decadenti
e "psicologiche" legate all'omosessualità del poeta,
al proposito delle quali Di Stefano osserva:
"I sostenitori
della malattia intestinale come pretesto psicologico della morte, trovano
in Thomas Mann la maggiore loro intelligenza: il suo Aschenbach di Morte
a Venezia è ispirato alla figura di Platen, anzi, è più
giusto dire, ne è lo sdoppiamento.
Mann prende
quasi di peso le complicanze spirituali della natura omoerotica
di Platen e la sua misteriosa morte nella suburra siracusana del quartiere
Marina in trasposizioni intellettualistiche ambigue, al centro delle quali
il mortale fascino dell'apollineo Tadzio
folgora il poeta Aschenbach sulle spiagge della metafisica laguna.
Aschenbach-Platen
si lascerebbe morire di una "misteriosa" malattia batteriologicamente inesistente" [20]. |
E in effetti il
saggio che Thomas Mann (1875-1955) ha dedicato a Platen (in pratica
un'analisi sull'influenza dell'omosessualità nella sua arte)
non è altro che un lungo e moralistico esorcismo dell'omosessualità
repressa dello stesso Mann (che
ci viene rivelata con sempre maggiore chiarezza man mano che
vengono pubblicati i suoi diari).
Mann parla senza
vergognarsi di "scostumatezza micidiale del suo
eros" e ironizza sprezzante sul grande amore di
Platen, "uno stolto studentello di nome Schmidtlein" [21].
Egli cerca di
convincersi (e convincerci) che cedere al desiderio della bellezza maschile
equivale a cedere alla morte:
"Coloro
che in terra han scelto il segno di quell'Ordine, i cavalieri della Bellezza,
sono cavalieri della Morte" [22]. |
Per Mann non
c'è speranza:
"La bellezza
che egli venera, e che ha assoluto motivo di venerare, è l'antiutilità,
cioè anche l'antimoralità, giacché moralità
non è altro che utilità di vita (sic!). L'amoralità
del poeta con cui egli (sic) si trastulla è in realtà
una radicale antimoralità, una profonda alleanza con la bellezza,
anche contro l'interesse della natura" [23]. |
Una volta prese
le distanze dall'amore di Platen può però infine lasciarsi
andare a palpitare per la stessa estasi del poeta di cui condivide i desideri
erotici:
"La Bellezza...
è forse il ginocchio d'efebo su cui Pindaro
spirò nel Teatro per risalire agli dèi? Certo, questo pensava
Platen: così essa era nella sua mente, così lo inebriava:
la sua concezione di bellezza era di origine erotico-platonica, era il
prodotto di un'estetica assoluta, di cui egli si sentiva sacerdote per
consacrazione fatale
(...). Egli, da pochi riconosciuto, ha raggiunto miracoli di perfezione
spirituale e linguistica, e tutto ciò soltanto per rendersi degno
di salire fra gli dèi addormentandosi sul ginocchio del piccolo
Teoxeno" [24]. |
E ancora:
"La storia
letteraria, per ignoranza e per discrezione ormai superata, ha cercato
di dissimulare molto stoltamente un dato di fatto fondamentale nella esistenza
di Platen: il fatto decisivo ed essenziale della sua costituzione esclusivamente
omoerotica" [25]. |
Eppure, ad ascoltare
Mann si arriva al punto per cui se Platen, in quanto omosessuale, stava
male, la colpa era sua:
"L'incompleta
comprensione di se stesso, il non ammettere che il suo amore non era per
nulla più sublime, ma un amore come tutti gli altri, se pure - almeno
al tempo suo - con più scarse possibilità di felice esuadimento,
questo equivoco insomma lo spinse all'ingiustizia, all'insanabile amarezza,
all'esacerbato rancore per il dispregio e la durezza in (sic) cui
la sua ardente dedizione si scontrava quasi ad ogni momento ed esso ha
parte evidentissima nel suo risentimento contro la Germania e contro tutto
ciò che è tedesco, e finì per spingerlo all'esilio
ed alla morte solitaria" [26]. |
Anzi, l'ispirazione
omosessuale di alcuni scritti amorosi di Platen fa sì che
essi siano, agli occhi di Mann, "di seconda categoria":
"Platen
ha tratto da una sessualità profondamente scossa per profondità
non sensuale un grandioso lamento sulla bellezza di una serva, cioè
sulla prestanza fisica di alcuni mediocri giovanotti... un lamento che,
cerchiamo di non dimenticarlo, raggiunge talora le più sublimi e
misteriose vette immacolate della poesia.
"Ciò
che il corpo è allo spirito,
e lo spirito
al corpo, io son per te!
Cio che la
donna a l'uomo,
ciò
che l'uomo a la donna, io son per te!
Chi altro puoi
tu amar, quand'io baciandoti
le labbra,
scaccio la morte da te?"
Quali spirituali
accenti di indicibile amore!" [27]. |
Purtroppo questi
dubbi "apprezzamenti" critici (opera di un omosessuale "velato", ovviamente),
sono stati nel dopoguerra molto più letti e citati delle poesie
stesse di Platen, e ne hanno infine marchiato indelebilmente la memoria.
Io spero almeno
che le poche cose che ne ho appena detto siano riuscite a mostrare quanto
invece potrebbe essere interessante una rilettura e riscoperta di questo
artista così anomalo ed interessante.
L'autore ringrazia
fin d'ora chi vorrà aiutarlo a trovare immagini e ulteriori dati
su persone, luoghi e fatti descritti in questa scheda biografica, e chi
gli segnalerà
eventuali errori contenuti in questa pagina. |
Note
[1]
Insufficiente a farsi un'idea è l'antologia: Egloghe, idilli,
epigrammi, Andò, Palermo 1935.
[2]
Sull'omosessualità di Platen esiste un'ampia letteratura in tedesco,
a me inaccessibile:
Ludwig Frey,
Aus dem Seelenleben des Grafen Platen, "Jahrbuch für sexuelle
Zwischenstufen", I 1899, pp. 159-214 e VI 1904, pp. 357-447.
Magnus Hirschfeld,
Drei deutsche Gräber in fernem Land. Ein Bericht in gebundener
Form [1909], "Forum Homosexualität und Literatur", n. 24, 1995,
pp. 87-95 (poemetto, con commento di Marita Keilson-Lauritz).
Max Kaufmann,
Heines Charakter und die moderne Seele, Müller, Zürich
1902, capitolo 3: "Heinrich Heine contra Graf August von Platen und die
Homo-Erotik".
Isidor Sadger,
August von Platen, eine patologische Studie, "Nord und Süd",
vol. CXV, anno XXVIII 1905, pp. 103-sgg. e 223-sgg. (superato: lombrosiano).
Rudolf Schlösser,
August Graf von Platen, Piper, Munchen 1910-1913, 2 voll. (biografia
basata ampiamente sui diari).
Xavier Mayne
(pseud. Edward Prime-Stevenson), The
intersexes, edito in proprio, Roma 1908 [ristampa anastatica (pressoché
illeggibile): Arno press, New York 1975], pp. 56-62: "The life and diary
of an Uranian poet: August von Platen, 1796-1835", (non sono riuscito a
leggerlo).
Ottimo è
per gli amori del soggiorno italiano di Platen (che per ragioni di spazio
non discuterò): Robert Aldrich,
The
seduction of the Mediterranean. Writing, art and homosexual fantasy,
Routledge, London & New York 1993, pp. 57-68.
[3]
Giuseppe Gabetti, Augusto Platen e la bellezza come ideale morale,
Formìggini, Genova 1915, pp. 24-25 (se ne vedano anche le pp. 16-17,
149, 30, 50, 106 e 120-121).
[4]
August von Platen, Tagebücher, a cura di Rüdiger Görner,
Zürich 1990.
L'edizione
francese è stata pubblicata come: Journaux:
mémorandum de ma vie, 1813-1835, Editions de la différence,
Paris 1995.
[5]
Ho tradotto (dal francese) il brano da: Marc-André Raffalovich,
Chronique de l'unisexualité, "Archives d'anthropologie criminelle",
XXII 1907, pp. 767-786, alle pp. 769-773.
[6]-Ibidem,
pp. 773-774.
La citazione
latina è da Tibullo, libro I, Elegia
VIII, verso 25.
[7]
Due delle poesie per Liebig si leggono in Stephen Coote (cur.) The Penguin
book of homosexual verse, Penguin, Harmondsworth 1983, pp. 194-198,
alle pp. 196-197.
[8]
In: Gabetti, Op. cit., p. 120.
[9]-Ibidem,
p. 121 (con piccoli cambiamenti).
[10]
Oggi casa privata in via dell'Amalfitania 66; sulla facciata una
lapide ricorda la morte del poeta, avvenuta qui il 5 dicembre 1836.
Sulla morte
di Platen vedi: Pino Di Silvestro, August
von Platen. Morire a Siracusa, Sellerio, Palermo 1987.
[11]
In: Di Silvestro, Op. cit., p. 42.
[12]
Heinrich Heine, I bagni di Lucca. In: Arrigo Heine, Italia, impressioni
di viaggio, Rizzoli, Milano 1951.
Il testo
tedesco si trova online
qui.
Sulla lite
fra Heine e Platen si veda: Hans Mayer, "La lite tra Heine e Platen", in:
I diversi, Garzanti, Milano 1977, pp. 194-209. Questo libro è
stato riedito
nel 1992.
[13]
Hans Mayer, Op. cit., p. 199.
[14]
Heine, in: Di Silvestro, Op. cit., p. 31.
[15].Ivi.
[16]-Ibidem,
pp. 31-32.
[17]
Heine, in: Di Silvestro, Op. cit., p. 32.
[18]
Heine, in: Di Silvestro, Op. cit., pp. 33.
[19]
Di Silvestro, Op. cit., pp. 33-34.
[20]-Ibidem,
pp. 50-51.
Il saggio cui
allude Di Silvestro è: Thomas Mann, "Augusto von Platen" [1930].
In: Nobiltà dello spirito. Saggi critici (= Tutte le opere,
vol. X), Mondadori, Milano 1953 e 1973, pp. 363-380.
[21]
Thomas Mann, Op. cit., pp. 377.
[22]
Ibidem, p. 369.
[23]
Ibidem, p. 377.
[24]
Ibidem, pp. 370-371.
[25]
Ibidem, pp. 371.
[26]
Ibidem, pp. 372.
[27]-Ibidem,
pp. 374-375. |