Umanista.
Nacque a Napoli; le prime notizie che si hanno di lui lo vedono insegnante nello Studio (cioè l'Università) di Roma. Nel 1434 ebbe parte nella sollevazione che cacciò papa Eugenio IV da Roma e partecipò ad una missione al Concilio di Basilea ma, restaurato dopo breve il dominio pontificio, fu incarcerato per ben dieci anni. Alla liberazione prese a vagare di Corte in Corte, scrivendo poemetti adulatori in latino ed opere storiche per ingraziarsi i vari signori italiani: fu a Napoli, dove ebbe incarichi diplomatici e nel 1452 fu anche laureato poeta dall'imperatore Federico III, poi a Rimini (1456), a Milano (1456-1459), poi ancora a Napoli, e infine di nuovo insegnante all'Università "la Sapienza" a Roma: in questa città morì dopo il 1485.
Nonostante fosse sposato ed avesse almeno un figlio, il Porcellio ebbe per tutta la vita fama di sodomita. La testimonianza più clamorosa di tale fama è postuma: la novella (I, 6) che Matteo Bandello (1485-1561) pubblicò nel 1554, ma che è ambientata nel periodo in cui Porcellio viveva a Milano [1456-1459] presso il duca Francesco Sforza. Nel racconto Porcellio si ammoglia in tarda età spinto dalle insistenze del duca, che vuole distoglierlo dai ragazzi.
Accanto a questa testimonainza postuma, esistono anche testimonianze contemporanee della fama del Porcellio: per esempio il poeta Francesco Filelfo (1398-1481), che aveva ospitato a Milano Porcellio assieme al figlio e... due ragazzi con cui viaggiava, dopo aver litigato con lui gli scagliò contro nel suo De jocis et seriis [1458-1465] una serie di velenosi epigrammi latini chiamandolo "Porcellus Porcellius" ed accusandolo di sodomia qui e (secondo Rosmini) anche in un'epistola latina [2]. Così nell'"Eulogium in Porcellium Porcellum Grammaticum", che è un finto epitaffio, Filelfo dice fra l'altro:
E in un'altra composizione Filelfo afferma che la sua fama di sodomita è tale che è diffusa in tutta la Lombardia, e questo a dispetto della sua tarda età. Questa nomea è confermata da uno studente, tale "Pierangelo siciliano", che scrisse fra il 1470 ed il 1480 lamentandosi della scelleratezza degli studenti romani (che fra le altre colpe avevano anche, a suo dire, la pratica dell'omosessualità).
Quanto agli scritti del Pandoni, fra le sue poesie latine se ne legge una[5] per un "Petruccio", che fugge il poeta, e rifiuta le sue poesie d'amore. Eppure, argomenta Porcellio, la poesia fu amata da Apollo, da Ganimede, da Ila, dalle Muse, da Giove; dunque, conclude, se vuoi essere annoverato fra i dotti ama anche tu la poesia (sottinteso: "e le mie avances"). L'allusione a Ganimede (amato da Giove) ed Ila (amato da Ercole) rivela qui esplicitamente, infine, l'interesse omoerotico dell'autore di questi versi [6]. L'autore ringrazia fin d'ora chi vorrà aiutarlo a trovare immagini e ulteriori dati su persone, luoghi e fatti descritti in questa scheda biografica, e chi gli segnalerà eventuali errori contenuti in questa pagina. |
Note
[1] Matteo Bandello, Le novelle, Utet, Torino 1974, parte I, novella 6. [2] Vedili in: Carlo de' Rosmini, Vita di Francesco Filelfo da Tolentino, Mussi, Milano, 1808, vol. 3, pp. 161-163. Altri cenni alla sodomia del Porcellio alle pp. 32-34 e 44.
[3] Francesco Filelfo, De jociis et seriis [1458-1465]; citato in: Carlo de' Rosmini, op. cit., vol. 3 (appendice), pp. 161-163, documento n. XIII. [4] Edita nel: "Giornale storico della letteratura italiana", II 1883, pp. 139-140. [5]
Giannantonio de' Pandoni, detto "il Porcellio", "In Petrutium adolescentem
ut operam versibus daret", in:
Carmina
illustrium poetarum italorum, Tartini e Franchi, Florentiae 1719-1726,
11 voll., vol. 7, p. 506.
[6] Sul Porcellio come umanista si veda anche: Luigi Correra, Un umanista dimenticato: Porcellio Romano, Bona, s.l. ma Torino 1885. Ugo Frittelli, Giannantonio de' Pandoni detto "il Porcellio", Paravia, Firenze 1900. |