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AMICO E AMANTE:

PIERO SANTI (1912-1990)
 
di: Giovanni Dall'Orto 
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Piero Santi davanti al suo ritratto
Piero Santi davanti al suo ritratto
dipinto da Sergio Vacchi.
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Quando incontrai Piero Santi per la prima volta confesso di aver provato un po' di soggezione per questo signore settantenne.

Era il 1984 e stavo preparando un libro di interviste su "omosessualità e cultura" [2], La pagina strappata, e gli intellettuali omosessuali formatisi prima della nascita del movimento gay mi avevano trattato a pesci in faccia. Nessuno era disposto a discutere di un libro su "un tema così assurdo".

Fu perciò una sorpresa scoprire lo spirito scattante che albergava in questo squisito signore classe 1912.
Dalle sue parole traspariva la personalità d'un uomo che per tutta la vita era riuscito a tenersi al passo coi tempi, partecipando al dibattito culturale e artistico con l'occhio rivolto al nuovo, trovando quel coraggio di essere e di dire che per regola generale manca agli intellettuali italiani (specie a quelli gay).
Fugando i miei timori Santi accettò di discutere del mio progetto, pur avendo idee diversissime dalle mie, come emerge chiaramente dall'intervista pubblicata infine nel libro.
C'erano infatti in lui qualità importanti (disponibilità al confronto, curiosità innata, piacere per l'arte di conversare) che lo rendevano capace di accettare sfide che altri consideravano troppo "scottanti" o "compromettenti".

Il pregio principe del suo carattere era l'autoironia, la scanzonata volontà di non prendersi sul serio, insomma la sua umiltà di fondo che nel confronto degli altri si trasformava in disponibilità, e in un culto quasi sacrale dell'amicizia (quante volte questa parola torna nei suoi titoli!).

È questo pregio che, applicato ai suoi libri, conferisce loro quella leggerezza, quell'aerea attenzione alle piccole cose, quell'amore disperato e profondo per la vita  di cui sono costruite le sue pagine più belle. 


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Gadda, Santi e Penna negli anni Cinquanta
Da sinistra: Carlo Emilio Gadda, Piero Santi e Sandro Penna negli anni Cinquanta. Questa foto e quella successiva (Piero Santi a passeggio con Palazzeschi negli anni Cinquanta) mi furono prestate da Santi stesso perché le potessi riprodurre.

La riscoperta di un'opera
Nonostante i pregi che sto elencando, non è mistero per nessuno che la fama di Santi scrittore fosse più "di critica" che "di pubblico". Per quanto stimato, e a volte idolatrato, da una nutrita pattuglia di "fedelissimi" ammiratori, Santi era ed è ignoto al grande pubblico.
Ciò è dovuto in parte alla difficile reperibilità dei suoi libri, quasi tutti pubblicati presso piccoli editori (eccetto i pochi editi da Vallecchi), che pur garantendo una veste editoriale dignitosa non avevano grandi mezzi da impiegare per penetrare il mercato del grande pubblico.
Amare i libri di Santi ha voluto perciò dire fino ad oggi pellegrinare per bancarelle di libri usati e remainders.

Non si creda che ciò denunci in Santi una scarsità di talento che gli avrebbe precluso l'accesso alla "grandi" case editrici. Si trattava solo di una conseguenza del suo carattere.
Che non curava molto l'ovazione (e il denaro) del grande pubblico, preferendo la pacata conversazione con una cerchia di cari amici, di modo che ogni suo libro era una sorta di benevolo messaggio ad un pubblico in cui "lettore" ed "amico" finivano inevitabilmente per sovrapporsi. Alcuni dei libri di Santi non sono stati mai messi realmente in commercio, e sono stati stampati più che altro per essere regalati agli amici.
In un'epoca in cui la cultura è un business industriale, Santi è rimasto un artigiano della parola, paziente e lento nel labor limae.

La sorte ha però voluto che poco prima di morire Santi abbia assistito a un rilancio dell'interesse per  le sue opere, che ha addirittura richiesto la ristampa di parte della sua produzione.
Le edizioni Transeuropa di Bologna hanno infatti pubblicato Cronos eros, (Transeuropa, Ancona e Bologna 1990), una raccolta che comprende un inedito (quello che dà titolo all'opera) e la ristampa di tre leggendari libretti assolutamente introvabili: Pietro, Bernardo, Trittico per Luca, Due di loro. E lo stesso editore annuncia la ripubblicazione de Il sapore della menta (1963) e di Libertà condizionata (1966).

E non è stato solo il grande pubblico a riscoprire Santi: anche il mondo gay si è finalmente mosso. Lo scorso anno il "Cassero" di Bologna ha pubblicato, a cura di Andrea Papi, Intorno al cuore di Piero Santi, (Il Cassero, Bologna 1989), una miscellanea di saggi critici su Santi. 
Peccato solo che una malintesa concezione di "cultura", intesa come mera dissertazione accademica, ne abbia fatto un'opera criptica ed iniziatica, fino all'autoerotismo mentale.
Per fortuna il libro contiene anche belle rievocazioni (splendida quella, breve, di Sardella) e uno scritto di Santi, "Calispera".


I libri di Piero Santi
Piero Santi, Due di Loro, Pequod, Ancona 1997Volendo riesaminare la nutrita bibliografia di Santi con un occhio alla produzione omosessuale, non può non sorprendere la data della prima opera che si presenta all'attenzione: 1939.
Infatti già in Amici per le vie (Circoli, Roma 1939 e L'indiano, Firenze 1976) appare la novella "Michele" nella quale un giovane, attraversando un parco in cui si "batte", cede alle tentazioni della carne.

Del 1942 è la prima recidiva di Santi, con Avventure nel parco (Edizioni di Rivoluzione, Firenze 1942), un titolo che è tutto un programma. Filigrane omoerotiche e turbamenti emotivi si leggono nelle amicizie maschili di un paio di racconti: "Dopo le vacanze" (pp. 55-64) ma soprattutto "Amicizia" (pp. 87-102).

Nel 1950 appare il Diario (1943-1946), (Neri Pozza, Venezia 1950), che Vallecchi avrebbe ripubblicato nel 1968 come La sfida dei giorni, arricchendola degli anni 1957-1968.
Si tratta di uno scritto sommesso e poetico, nel quale appaiono a poco a poco le figure degli amici e degli amanti, ed in cui l'amore omosessuale è tratteggiato con una delicatezza e serenità che non si ritrovano in nessun'altra opera italiana di quegli anni.
Ancor oggi queste righe dolci e serene si leggono con commozione, nonostante il passare degli anni ci abbia allontanati da tante passioni di quell'epoca, che oggi ci paiono così lontane.

Nel 1954 ecco Ombre rosse (Vallecchi, Firenze 1954), un progetto di "storia dei cinema fiorentini" che riverbera fascinazioni da saga su storie umili e quotidiane. 
Qui la fauna "marginale" che frequentava i cinemini di periferia assurge a protagonista incontrastata, e nel quinto capitolo la presenza della realtà omosessuale emerge con tutta la sua esplicita crudezza. Se si è capaci di pensare a quanto puritana fosse l'Italia del 1954 non si potrà non ammirare l'audacia e il coraggio che ebbe Santi nel pubblicare quest'opera.

Nel 1963 apparve il romanzo che Santi mi disse di considerare la sua opera più riuscita, Il sapore della menta (Vallecchi, Firenze). È un romanzo "tradizionale" in cui si narrano le vicende, gli amori, le speranze e le disperazioni di una generazione di intellettuali fiorentini.
Fra costoro Marco, un autobiografico omosessuale che inizia a sentire il peso degli anni che passano, e un buffo "Bonetti", figura d'omosessuale che cela nient'altri che lo scrittore Carlo Emilio Gadda, che di Santi fu caro amico e spaventato complice.
Un romanzo in parte descrittivo, e in parte introspettivo.

Del 1966 è Libertà condizionata (Vallecchi, Firenze), un altro romanzo sulle vicende d'un gruppo di ragazzi fiorentini, e sulla loro vita quotidiana. Attorno a costoro ruota Giuliano, giornalista fallito e omosessuale in segreto. A lui si accompagna qualche altro personaggio "diverso", come Billi, un travestito. 
È un romanzo più freddo e impersonale degli altri, un chiaro tentativo di adeguamento a moduli di scrittura "rispettabili" non necessariamente congeniali a Santi.

Dello stesso anno è Ritratto di Rosai (De Donato, Bari 1966) che approfondisce una delle grandi amicizie di Santi, quella per il pittore Ottone Rosai, omosessuale ed anche un po' pedofilo. Con una scrittura lirica, delicata, misurata, Santi riesce qui a dare il ritratto di un uomo, dei suoi amori, dei suoi difetti e pregi, in modo smaliziato ma colmo d'affetto e dolcezza. 
Anche il modo in cui la contraddittoria omosessualità di Rosai è descritta (si vedano le magistrali pp. 22-23 e 45-47) è "vero" e profondo.

Da un tetto e nelle strade (De Donato, Bari 1967) è una dichiarazione d'amore per una grande passione di Santi: Firenze. Colpita dall'alluvione del 1966, ferita, sconvolta, a poco a poco Firenze riprende a vivere in tutti i suoi aspetti. Compresi (pp. 66-68) quelli omosessuali.

Nel 1971 appare Due di loro (Ca balà, Firenze 1971. Poi in: Cronos Eros, Transeuropa, Ancona e Bologna 1990. Poi: Pequod, Ancona 1997), fresco e brioso racconto che mette in scena due coppie eterosessuali terribilmente ordinarie, senza aspirazioni o momenti di gloria. Salvo uno, forse: durante una gita "due di loro", i ragazzi, hanno un inatteso rapporto omosessuale, che esce dalla routine prefabbricata della loro vita. Un racconto raffinato, ironico, che "sorridendo graffia", e affascina il lettore.

Piero, Bernardo (Banci, Firenze 1977. Poi in: Cronos Eros, Transeuropa, Ancona e Bologna 1990, e in: Due di loro, Pequod, Ancona 1997) propone due racconti. Il primo è una riflessione affabulatoria su Pietro, un ragazzo/amico, con stralci di dolcissimo abbandono amoroso. Il secondo descrive con grande tenerezza e simpatia umana alcuni giorni di vita di Bernardo, un giovane prostituto.

Un'incursione nel teatro si ha con Où les coeurs s'éprennent.[3] (Il fiore rosso, Firenze 1979), che parla della noia, e del modo di vivere forse falso di un "maschio" politicamente impegnato. Cosa resta di questo modo di vivere quando il desiderio (per sua natura irrazionale) sconvolge i calcoli fatti? E che dire se tale desiderio scatta per il giovane fratello della fidanzata?

Il breve ma delizioso Trittico per Luca (Il fiore rosso, Firenze 1979, poi in: Cronos Eros, Transeuropa, Ancona e Bologna 1990, e in: Due di loro, Pequod, Ancona 1997), propone tre intensissimi scritti d'amore per il giovane Luca [Graziani], colmi di poesia. Tre piccoli delicati gioielli: a mio parere personale una delle opere più belle di Santi, e uno dei più perfetti scritti d’amore omosessuale italiani, nella loro essenziale purezza.

Infine Sic (Vallecchi, Firenze 1985) sconfina nel fantastico: l'io narrante (un omosessuale) incontra, girando per Milano, persone nelle quali si sono reincarnate, come condanna,  alcune anime. Fra cui quella di Oscar Wilde e di un  prostituto di Firenze.
La scrittura è fluida e accattivante.

A questa bibliografia bisogna infine aggiungere il già citato Cronos Eros, mosaico di sprazzi di emozioni (soprattutto amorose, ma non solo), momenti rievocati e descritti sfumando l'uno nell'altro con un flusso ininterrotto della memoria. Come sempre, anche in quest'ultima opera di Santi c'è una scrittura alta, limpida, poetica, affascinante.
Curiosissimo il dialogo amoroso fra Cesare e Catullo (pp. 34-38). 
I capp. 4 e 5 sono infine una dolce storia fra un uomo anziano e un ragazzo calabrese.

Scritta in collaborazione è Due, firmato assieme a Luca Graziani  (L'Upupa/Quaderni di Barbablù, Siena s.d.): monologhi, sciarade, botte e risposte sulla vita, l'amore, la vecchiaia e la morte di due personaggi legati da un rapporto amicale-amoroso.

Non mancano opere di poesia, cataloghi d'arte (Santi gestì una galleria d'arte) e molti scritti di critica d'arte (fra tutti segnalo, in collaborazione con Anna Maria Amonaci, Andrea Papi, L'Upupa, Firenze 1984, con la riproduzione di undici dipinti (omoerotici) di Andrea Papi, dall'erotismo esplicito e ben riuscito). 

Lo scarso spazio m'impedisce una maggiore completezza.


Un giudizio

Piero Santi a passeggio per Firenze con Aldo Palazzeschi negli anni CinquantaQuando confessai a Santi che l'opera sua che avevo amato di più era forse Trittico per Luca egli si mise a ridere. "Oh, è una sciocchezza, una cosa minore".
È vero che il Trittico è una piccola cosa, di poche pagine appena. Ma quel che volevo dire è che è proprio nelle "piccole cose" che a mio giudizio Santi dà il meglio di sé
E dal mio punto di vista, io penso che non sempre egli se ne sia reso conto tentando, con opere come Il sapore della menta e Libertà condizionata, di scrivere romanzi "normali", con trama personaggi e "messaggio". Voleva probabilmente dimostrare (agli amici letterati?) di essere capace di scrivere anche lui romanzi "normali", oltre alle sue "piccole cose", e ci riuscì.

Resta il fatto che Santi è stato il cantore delle piccole cose, dell'introspezione delicata, delle cose dette e pensate sottovoce, dei sentimenti umani (l'amicizia, l'amore), della gioia di vivere, della pazienza di spremere il buono da una vita che non sempre è gentile, come non lo fu neanche con lui.

Credo che il paragone che nasce spontaneo per il "dono" di Santi sia con quello di Christopher Isherwood, anch'egli maestro nel distillare pagine stupende da momenti di vita quotidiana, dalle piccole cose di poche pagine di diario (come in Ottobre) o di una giornata qualunque (come in Un uomo solo). Come Isherwood, Santi poteva contare su uno stile limpido, scorrevole, leggero, padrone della lingua al punto da conferirle una duttilità e una facilità di lettura quasi "parlata".

E non credo che Santi se ne sia sempre reso conto, essendo un po' prigioniero di una concezione estetica che in un certo senso lo portava a tenere in scarso conto proprio quei momenti in cui era in grado di dire cose che solo lui riusciva a dire.

Santi aveva il dono di infondere poesia e grazie alla narrazione di vicende di tutti i giorni, e nella sua modestia non se ne era accorto.

Tocca allora ai lettori, ormai, accorgersi del lascito di questo scrittore, rampollo ingiustamente etichettato "minore" di quella stagione culturale che ci ha dato Montale, Landolfi o Gadda, con in più un pizzico di trasgressione birichina e di gioia di vivere che lungi dal guastare lo rendono ancora più affascinante.

L'autore ringrazia fin d'ora chi vorrà aiutarlo a trovare immagini e ulteriori dati su persone, luoghi e fatti descritti in questa scheda biografica, e chi gli segnalerà eventuali errori contenuti in questa pagina.

Note

[1] Questo articolo è una commemorazione scritta per la scomparsa di Santi (apparve col titolo Amico e amante su "Babilonia" n. 79, giugno 1990, pp. 46-47).

[2] Edito nel 1987 dalle Edizioni Gruppo Abele, Torino. 

[3] Il titolo è un verso di Paul Verlaine, dalla "Chanson de la plus haute tour": "Ah, che venga il tempo in cui i cuori si accendono!".



Originariamente edito come Amico e amante su "Babilonia" n. 79, giugno 1990, pp. 46-47.
Ripubblicazione consentita previo permesso dell'autore: scrivere per accordi.

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