Mario Stefani ritratto da Luigi Voltolina, 1985 - Da Poesie, 1989
Abbiamo perso un poeta, che una volta tanto era davvero grande. Mario Stefani, critico d'arte, giornalista e appunto poeta, s'è ucciso impiccandosi nella sua casa di Venezia nella notte fra il 3 e il 4 marzo. Era nato nel 1938.
Ho conosciuto Mario Stefani in modo bizzarro. Avevo trovato per caso su una bancarella un suo libro di poesie, che m'era piaciuto, e decisi di scrivere all’editore per sapere se ne esistevano altri (parlo di oltre vent'anni fa: all'epoca i libri a tematica gay erano tanto rari che andavano inseguiti uno per uno).
Così una banale ricerca di volumi divenne una richiesta d'indirizzo di Stefani. Scoprii che abitava a Venezia, e alla prima visita alla casa di mia nonna in quella città presi appuntamento con lo sconosciutissimo "celebre" poeta, per chiedere il permesso di traduzione (che fu concesso) per conto del mio corrispondente. L'incontro fu quanto di più scoppiettante potessi immaginare. Mario era un conversatore formidabile, abituato a intrattenere gli ospiti con aneddoti, barzellette, battute.
Scoprii addirittura che eravamo un po' parenti: la madre di suo padre e quella di mia nonna erano sorelle! Ci scherzammo anche su per un po': "Vuoi vedere che l'omosessualità è davvero genetica?"… Nacque così una conoscenza che è durata per tutti questi anni, complici i miei frequenti viaggi a Venezia. Mario mi teneva al corrente del suo lavoro, e mi aiutava nel mio: ad esempio per il libro -La pagina strappata, una serie d'interviste sul tema "omosessualità e cultura" che curai nel 1984. E devo aggiungere a suo onore che fu uno dei tre soli intellettuali italiani che accettarono l'intervista, perché tutti gli altri che contattai (da Bellezza a Patroni Griffi) rifiutarono con motivazioni raffinate del tipo: "non voglio avere nulla a che fare con queste porcate". La sua militanza gay è stata costante ma discreta: ad esempio negli ultimi anni, pur minato nella salute, Mario ha aiutato molto l'Agedo, stando dietro le quinte ma prodigandosi per trovare una sala per una conferenza, contattare l'assessore giusto, per… Con gli anni ho conosciuto Mario per quello che era: uno scrittore d'alto livello, ma ahimè pienamente "provinciale" (nel senso buono del termine). Amava Venezia oltre ogni dire, e a Venezia ha dedicato molte delle sue poesie.
Mario era al centro di una venezianissima gestapo, una ragnatela di spionaggio in cui tutti sapevano tutto di tutti… e in cui tutti sapevano della sua omosessualità sin dagli anni Sessanta e la rispettavano, incredibilmente, con la stessa deferenza con cui rispettavano lui. Mario scriveva libri dal titolo Vino ed eros, Poesie eroticheo Poesie a un ragazzo, si divertiva a provocare pubblicando libretti a forma di cazzillo in onore del gay pride, e i veneziani imperterriti facevano festa per presentarli e commentarli. Cosa ancora più incredibile, alla sua morte sono apparse sui muri di Venezia citazioni delle sue poesie. Solo la Provincia può, in Italia, produrre questi miracoli di venerazione per un poeta. E non si sa ancora per quanto. Questo fenomeno spiega perché Mario sia stato decisamente sottovalutato. Stefani è pur sempre uno dei pochissimi poeti italiani ad essere stati tradotti all'estero e a spese altrui per puro merito e non perché facesse parte d'una mafia letterario-politica, dunque la sua opera avrà pure avuto un valore! Ma so già che se chiedessi a chiunque di elencare i grandi poeti italiani, o anche solo i grandi poeti gay, il suo nome non apparirebbe. Venezia dunque lo ha portato alle stelle, ma lo ha anche incarcerato. Per "sfondare" avrebbe dovuto andarsene verso le "capitali" dell’editoria, e non poteva, e non voleva. Era attaccatissimo alla "sua" città, e ancor più a suo padre - la morte del quale alcuni anni fa ha innescato la spirale di depressione (aggravata da una severa forma di diabete) che lo ha portato a togliersi la vita.
Ma la figura pubblica aveva finito per imprigionarlo: "Sono le notti che mi fanno paura", aveva detto di recente a un mio amico veneziano. Di notte era solo, dopo incessanti bagni di folla durante il giorno.
Cosa ci resta di lui, ora che se n'è andato? Soprattutto le poesie, la parte meno "d'occasione" dei suoi scritti. Poesie per le quali Mario ha prediletto la forma breve, epigrammatica, traendo ispirazione tanto dalla lezione di Sandro Penna quanto dal modello classico dell'Antologia Palatina e delle ghazal (sonetti) persiane. Poesie che ora attendono una mano che le riordini e le selezioni "per i posteri", dato che ciò che colpisce nelle sue raccolte è la diseguaglianza tra gioielli sfolgoranti e filastrocche nate solo per far ridere gli amici in qualche "bàcaro" (osteria) sperduto. Bisognerebbe scegliere le sole gemme scartando i vetri, per quanto luccicanti… ma per ciò immagino occorra tempo. O forse no. Forse è un segnale positivo il fatto che negli ultimi anni cresceva il numero di studenti, soprattutto studentesse (e questo è un destino comune a quello di Sandro Penna), che s’interessavano al suo lavoro. Unico limite: erano tutti indigeni del Triveneto. Come volevasi dimostrare. Ora che il ciacolàr nel dolce dialetto veneziano dello Stefani in carne ed ossa tace per sempre, ci rimane la voce più limpida da lui affidata alla carta stampata.
Per leggere una scelta di poesie di Mario Strefani fare clic qui. Per una bibliografia su "Leggere Mario Stefani", in chiave gay, fare clic qui. L'autore ringrazia fin d'ora chi vorrà aiutarlo a trovare immagini e ulteriori dati su persone, luoghi e fatti descritti in questa scheda biografica, e chi gli segnalerà eventuali errori contenuti in questa pagina. |
Note
[1] Si trattava di No other gods: 55 poems, Kouros press, London 1982, traduzione di Anthony Reid.
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