La scomparsa di Piervittorio Tondelli ci obbliga a una riflessione sia sul suo lavoro di scrittore, sia sulle circostanze della morte, che tanto hanno fatto discutere. Ricordo ancora oggi l'uscita del primo libro di Tondelli, Altri libertini-[1]. Contrariamente a quanto tramanda la leggenda, sulle prime passò quasi inosservato. Io ne lessi la recensione su una rivista gay di allora, che ne parlava con educato entusiasmo come di un'opera di un'autore che avrebbe fatto strada. Lessi il libro e ne fui entusiasta a mia volta. Ricordo che pensai che questo nuovo scrittore, dopo averci dato un distillato così attento della sua vita, avrebbe taciuto per qualche anno, poi si sarebbe fatto vivo con un altro stupendo bilancio intimo, fino a diventare a poco a poco un "nome" nella narrativa italiana. Non fu così.
Tondelli diventò così il simbolo d'una generazione (quella del "Settantasette"), colui aveva dato voce a una fauna di "alternativi", femministe, tossici, gay, travestiti, "scoppiati" che fin lì non aveva avuto accesso all'aureo mondo della carta stampata. Un'intera generazione di giovani, gay compresi, elesse Tondelli a suo portavoce. E questo fu un equivoco mostruoso: senza paura di esagerare io ritengo che abbia "rovinato" la vita di questo scrittore. Tondelli si trovò (lui così paranoico di fronte all'idea di essere "ghettizzato" nell'identità di scrittore gay) inscatolato in un'etichetta ancora peggiore, quella di "scrittore giovane". Peggiore perché l'omosessualità è uno stile di vita e di cultura, mentre la giovinezza è solo una malattia che guarisce spontaneamente dopo un po', come il morbillo...
La lettura del recente Un week-end postmoderno [2], che raccoglie i pezzi giornalistici dello scrittore scomparso, ha già l'odore del "modernariato", segue un filo di nostalgia per autori, luoghi, persone e musiche amate in gioventù, ma spesso oggi inghiottite o quasi dall'oblìo e affidate alla carta solo per estremo atto della memoria. Il suo tentativo di rimediare al problema facendosi alfiere delle nuove generazioni di "giovani", specie in campo letterario (Tondelli ha curato tre antologie di racconti di esordienti "Under 25" [3]) merita il plauso per la sua generosità, ma non ha cambiato i termini del problema.
Piervittorio Tondelli divenne insomma famoso per i motivi sbagliati. Era un grande scrittore introspettivo e intimista, alla Isherwood, e invece lo si è creduto un autore trasgressivo, alla Burroughs.
Fu questa la persona a cui la sorte affidò il ruolo di personaggio-scandalo, di alfiere e trombettiere di una generazione, di persona pubblica destinata a trasformare la vita privata in letteratura! Tutto ciò che lui non poteva essere.
È paradossale notare oggi come Tondelli abbia aperto un'epoca nella letteratura italiana, ma che il protagonista ne sia stato Busi. Senza il successo di Altri libertini (40.000 copie vendute), che dimostrò che anche libri "scandalosi" erano un buon affare, a mio parere difficilmente un'opera esplosiva come Seminario sulla gioventù-[5]) di Busi avrebbe trovato in quegli anni chi la pubblicasse. Tondelli fu dunque catapultato alla notorietà quasi suo malgrado. Invece del destino di insegnante o giornalista che nei ritagli liberi distilla squisiti gioielli di introspezione, il caso gli riservò il ruolo di scrittore-scandalo, cosa che non fu mai. Nell'equivoco
cascammo un po' tutti, io compreso. Quando nel 1982 pubblicai la bibliografia
Leggere
omosessuale [6],
credevo sinceramente che Tondelli fosse "uno dei nostri", cioè "uno
di noi" militanti, ingannato dal linguaggio, che era quello che usavamo
noi gay del movimento di liberazione. In Altri libertini l'io narrante
sprecava la definizione - e la auto-definizione - di "busone", come
facevamo tutti in quegli anni, quando ribaltavamo i termini ingiuriosi
per indossarli con sfida, autodefinendoci "cule" e "frocie".
Racconto questo aneddoto perché è sintomatico. Tondelli non amava essere "busone", ma soprattuto non voleva essere "da sbarco". Altri libertini non era il "manifesto" di una generazione, come noi avevamo creduto, ma era un privatissimo sfogo, un esorcismo, un atto di cannibalismo verso una realtà di provincia di cui l'autore voleva liberarsi raccontandola. E da cui riuscì a liberarsi proprio grazie a questo libro. (Salvo poi recuperarla in toto una volta esorcizzatala: quando morì sembra che stesse scrivendo un libro sulla messa e l'eucarestia...). Non può essere altro che questa l'opera che, vista in mano ad un ragazzo in Camere separate suscita nell'io narrante/Tondelli il desiderio di "spaccare la faccia" (sic) a colui che la sta leggendo. Parlando di sé in terza persona Tondelli spiega che:
E in una pagina di introspezione lucidissima spiega tutta la sofferenza che gli causa lo scrivere per pubblicare, cosa che lo costringe a "mettersi in pubblico". Che altro si può dire di uno scrittore che prova fastidio nel fatto che si legga ciò che scrive? Ecco un ulteriore paradosso del "fenomeno Tondelli".
Dal successo di Altri libertini Tondelli fu certo spiazzato. L'editore Feltrinelli fece evidentemente pressione perché cavalcasse l'onda del successo, perché un anno dopo fu scodellato Pao Pao [8], ricordini di un anno di naja. Per molti di noi fu una delusione: Pao Pao è un libro esile, senza profondità, un raccontino scorrevole, di gradevole lettura ma senza passione. Benché narrativamente robusto trovo senza anima anche Rimini, del 1985 [9], un super best-seller da 100.000 copie, da cui fu tratto anche un film, costruito con la sicurezza e l'abilità di chi ormai conosce a menadito il mestiere dello scrivere. Un romanzo di consumo come Via col vento o come quelli della Fallaci. Ora, quale scrittore non darebbe l'anima al diavolo per vendere 100.000 copie di un romanzo di consumo? Quanti passano la vita nel vano tentativo di imbroccarne uno? Tondelli non era uno di questi scrittori. Il fastidio che trasuda da Camere separate verso quel che aveva scritto fin lì, l'insoddisfazione che lo porta a sognare di "scrivere libri per dieci, venti persone", mostrano che in lui c'era il desiderio di essere non (o non solo) uno scrittore che sforna best-seller, ma uno scrittore che esprime qualcosa. Quel "qualcosa" che né Pao Pao né Rimini ahimé contengono. Solo Camere separate gli permise di ritrovare il filo che aveva perso dopo Altri libertini. Chi lo ha letto un anno fa, lo rilegga adesso, dopo la morte di Tondelli per Aids, per scoprire come questo sia un romanzo di addio, un faccia-a-faccia con la morte incombente, infinitamente reticente ma costellato di insistiti indizi che permettono al lettore di capire che chi parla è Tondelli stesso. Ad esempio una pagina parla di un dipinto dell'Allegri, pittore di cui ci dice che è dello stesso paese da cui proviene il protagonista del romanzo.
Camere separate è insomma una bomba a tempo, un messaggio in codice che solo oggi possiamo decifrare. Come è stato anche Un week-end postmoderno, summa di scritti che al momento della pubblicazione parve un gesto autocelebrativo ed arrogante per uno scrittore di soli trentacinque anni: oggi invece sappiamo che è nato come una sorta di opera postuma, un riordinamento delle carte sparse fatto poco prima di andarsene... Leggendo Camere separate si rimpiange lo scrittore che Tondelli avrebbe potuto essere e non è stato. Sparse in un romanzo sempre di ottimo mestiere appaiono come fuochi d'artificio pagine di bellezza assolutamente perfetta che rivelano la mano del grande scrittore. Io adoro la breve, ma folgorante ed intensissima descrizione della madre e delle sorelle che si preparano per la messa, ma ognuno potrà citare il suo brano preferito. Cosa sarebbe stato Tondelli se avesse potuto scrivere solo pagine come questa? Cosa sarebbe stato Tondelli se non fosse stato afflitto dal problema di essere un omosessuale, e per di più uno di quelli che vivono con estremo pudore la loro diversità? Ancora un paradosso: l'omosessualità ha dato (attraverso lo "scandalo") le ali a Tondelli, ma poi gli ha tagliato le gambe. La storia non si fa con i "se", e Tondelli è stato lo scrittore che è stato. Non è lecito darsi a illazioni, ma certo è lecito esprimere il rimpianto per tanti scrittori che inseguono per anni una scrittura sempre più capace di scavare nel proprio animo, e poi non possono applicarla perché ciò significherebbe mettere a nudo i particolari di un "privato" omosessuale. Le modalità della morte stessa di Tondelli, l'insistenza della famiglia nel negare che sia morto di Aids, confermano una volta di più, nel caso ce ne fosse bisogno, la difficoltà che questo scrittore aveva nel rendere pubblico un "privato" percepito come "scandaloso". Preso in mezzo tra la scelta di scrivere romanzi di successo ma senza anima come Rimini e scrivere ciò che davvero sentiva ma ahimé solo per dieci persone fidatissime, Tondelli ha esitato, e le tracce di questi ondeggiamenti si vedono in Camere separate, un toccante diario della sua convivenza con l'Aids e l'idea della morte, che però fa i salti mortali per non nominare ciò di cui parla. Nel 1991 non è ancora nata (letterariamente) la generazione di scrittori italiani che capirà che non ha senso inseguire il fantasma di una "cultura universale" rinnegando la cultura gay, perché la cultura gay è universale, e l'esperienza intima di un omosessuale è anch'essa universale, come hanno dimostrato da anni scrittori come Edmund White o David Leavitt. C'è da sperare che Tondelli sia l'ultimo grande scrittore italiano per il quale un'omosessualità imperfettamente accettata ha costituito un handicap espressivo gravissimo.
A fianco delle considerazioni sul Tondelli scrittore sta la discussione sulla sua morte. Mi ha colpito l'accanimento con cui se ne è discusso nel mondo gay, e pur rispettando il dolore della famiglia dello scrittore, ho trovato di pessimo gusto i comunicati stampa che negavano che il figlio fosse morto di Aids. Ormai (e questo è un ulteriore segno di quanto abbia influito su di noi l'epoca dell'Aids) siamo bravissimi a leggere dietro il linguaggio ufficiale dei referti di morte. Michel Foucault è morto di "setticemia del sistema nervoso". James Baldwin di "tumore alla pelle" o in alternativa di "cancro allo stomaco". Giuseppe Caputo, docente di diritto canonico a Bologna, è morto di "tumore alle ossa". Tondelli è morto di "polmonite bilaterale".
Sia chiaro, non ho colpe da imputare a Tondelli. La morte è l'estremo momento di una vita umana e appartiene solo a colui che lo sta vivendo. Morire la morte che ci siamo scelti, per quanto strana appaia agli altri, è un diritto umano inalienabile. Tondelli ha voluto morire nel silenzio, nella famiglia e nella religione cattolica, ed aveva il pieno diritto di farlo. Tanto più se, come ho sostenuto fin qui, a Tondelli è stato imposto un profilo che non era il suo. La notizia della sua morte è stata come un fulmine a ciel sereno perché tutti ci aspettavamo che una persona come lui avrebbe "testimoniato", se fosse stata in quella condizione (perciò ci siamo impediti di pensare all'Aids, pur notando i suoi "strani malesseri" e il suo deperimento fisico). Tondelli però non era in realtà "una persona come lui" (quella era una creazione degli uffici-stampa degli editori, e della nostra fantasia), e di fronte alla morte ha scelto di essere finalmente se stesso: il ragazzo di provincia, cattolico, legato alla famiglia e agli affetti famigliari. Del tutto diversa è però la riflessione quando si parla della piccola "bagarre" sulle cause della morte. L'atto di morte è per definizione un atto pubblico e falsificarlo è addirittura un reato. Nel caso dell'Aids poi, stiamo assistendo allo scontro fra due filosofie: quella di chi tratta l'Aids come una malattia come tutte le altre, e quella di chi ne fa la "Peste del Duemila", un morbo oscuro carico di pesanti connotazioni morali negative.
Sono allucinato di fronte a quanto Mario Fortunato ha scritto sull'"Espresso" del 5/1/1992 a proposito del fatto che della sieropositività dell'amico non aveva mai saputo nulla:
Come come come: io sto lottando contro l'Aids, e questo è considerato dai miei amici "un elemento esterno" alla nostra amicizia?
Togliamo le parolone reboanti e riduciamo l'apprezzamento a una parola: Fortunato è grato all'"amico" perché non lo ha coinvolto. È proprio verissimo che gli amici si vedono nel momento del bisogno. La scelta del "dirlo" assume allora un'importanza enorme di fronte ad una società che prega le persone sieropositive di una sola cosa: di non essere coinvolta. Signori sieropositivi, signori ammalati, vi spiace togliervi dai piedi? Con quell'arietta un po' sbattuta che avete ci fate una certa impressione. Ci coinvolgete in una cosa che non ci riguarda. L'Aids in fondo è affar vostro: non tirate in ballo chi non c'entra. Perché non andate a trovare la mamma, che so, in quel di Correggio? Mi fa pensare ancora di più il piccolo "referendum" che l'"Espresso" ha pubblicato nello stesso numero, sul tema "meglio dirlo o non dirlo?". Mi ha colpito il fatto che tutti coloro che sono contrari al "dirlo" sono, con una sola eccezione, omosessuali (velati). Al contrario gli eterosesuali sono tutti, meno uno, tra i favorevoli al dirlo. Segno che una volta di più ciò che conferisce un'aura terrificante all'Aids è il suo collegamento con l'omosessualità, e non qualche caratteristica intrinseca. A questo punto il quadro è chiaro. Il silenzio come scelta individuale va rispettato, però laddove il silenzio è la sola scelta possibile, perché gli amici non vogliono essere "angosciati" da te e soprattutto sono terrorizzati dall'idea di essere "sputtanati" in quanto omosessuali perché hanno un amico con l'Aids, in questo caso è vero più che mai che "silenzio = morte". Laddove il silenzio è imposto ma presentato graziosamente come "rispetto" per la tua privacy, allora "silenzio = morte". Laddove il silenzio serve a nascondere che l'Aids sta decimando una generazione di gay (celebri e oscuri, letterati e non) allora "silenzio = morte". Testimoniare è un modo per combattere questo silenzio, cioè per combattere la cultura della morte.
A volte un lapsus, una telefonata intrasentita o un pettegolezzo ti fanno sapere della sieropositività di una persona che conosci, e che non te l'ha mai detto. Tu rispetti la sua scelta, e ti comporti come se non sapessi nulla, anche se a volte noti che sta male e non puoi nemmeno dirle una parola perché ufficialmente "non sai".
Ad ogni modo è ovvio che non è certo a Tondelli che si può far carico di tale situazione. Anch'egli, come migliaia di altre persone, è stato vittima di questa "congiura del silenzio".
Non parliamo più di Tondelli e delle sue scelte, e di quelle della famiglia. Concediamo loro il rispetto dovuto di fronte alla morte. Leggiamo ancora i due suoi libri più belli, e parliamo di noi stessi, piuttosto. Un nostro amico potrebbe parlarci della sua sieropositività senza aspettarsi un rifiuto? È di questo che dobbiamo discutere. Tondelli non c'è più, ma i nostri amici ci sono ancora, e quello che è successo a lui succede ancora ogni giorno, succederà ogni giorno per molti anni a venire. E noi, da che parte stiamo?
Appendice 2002: Tondelli sul web. L'omosessualità di Tondelli crea tutt'oggi (2002) un fortissimo imbarazzo, al limite della vera e propria rimozione, specie da parte degli esegeti cattolici e gli esecutori testamentari o eredi, che oggi ne gestiscono l'immagine pubblica. Quindi non se ne troverà che qualche scarsa traccia nel materiale disponibile online, nonostante sia presente, e spesso centrale, in tutti i suoi romanzi. Fra i siti disponibili segnalo: Un utile elenco di link, compilato da un gesuita. Caro Pier, un sito monografico di gay studies creato da un gruppo di estimatori. Il sito monografico del Comune di Correggio, che presenta anche: Segnalo anche tre saggi:Elena Buia, Verso casa: viaggio nella narrativa di Pier Vittorio Tondelli Cristina Masi, Il punto su Pier Vittorio Tondelli; Bart van den Bossche, Profilo di Pier Vittorio Tondelli. Online è infine: Un altro Pier. La riscrittura dell'omosessualità nell'opera di Tondelli, opera di un docente di anglistica, Luca Prono, che fra l'altro critica quanto sostenuto nel presente scritto affermando che:
Le cose staranno anche come dice Prono, ma in tal caso ci deve spiegare come abbia fatto Tondelli a diventare uno scrittore del cànone cattolico (come peraltro lo stesso Prono lagna), e come mai a oltre dieci anni dalla sua morte una lettura e valutazione gay della sua opera sia assente. Qualche motivo, magari piccolo piccolo piccolo, ci sarà pure... L'autore ringrazia fin d'ora chi vorrà aiutarlo a trovare immagini e ulteriori dati su persone, luoghi e fatti descritti in questa scheda biografica, e chi gli segnalerà eventuali errori contenuti in questa pagina. |
Note
[1] Pier Vittorio Tondelli, Altri libertini, Feltrinelli, Milano 1980. [2] Pier Vittorio Tondelli, Un week-end postmoderno (Bompiani, Milano 1990 vol. 1 e 1993 vol. 2). [3] Pier Vittorio Tondelli (a cura di), Under 25, (in tre volumi):
[4] Pier Vittorio Tondelli, Camere separate, Bompiani, Milano 1989. [5] Aldo Busi, Seminario sulla gioventù, Adelphi, Milano 1984. [6] Giovanni Dall'Orto, Leggere omosessuale, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1984. [7] Pier Vittorio Tondelli, Camere separate, Op. cit., p. 95. [8] Pier Vittorio Tondelli, Pao pao, Feltirinelli, Milano 1982. [9] Pier Vittorio Tondelli, Rimini, Bompiani Milano 1985. [10] Mario Fortunato, Vita e morte di Pier Vittorio Tondelli: due anni di solitudine, "Espresso", 5/1/1992, pp. 10-14 (citazione da p. 11).
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